ORA CHE GLI STATI UNITI SONO I PRIMI PRODUTTORI DI GREGGIO AL MONDO, WASHINGTON HA MENO BISOGNO DEL MEDIO ORIENTE - COSÌ SI SPIEGA IL DISIMPEGNO IN IRAQ E AFGHANISTAN - E TRA RUSSIA E USA, L’EUROPA RESTA COL BARILE IN MANO

Rispetto a cinque anni fa gli americani estraggono quasi 4 milioni di barili di greggio al giorno in più. E oggi Washington si sta attrezzando a vendere gas e oil in giro per il mondo. Gli Usa hanno in pratica fatto marcia indietro dall’Africa e cresce la tentazione di ridurre la presenza in Asia centrale…

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Ugo Bertone per “Libero Quotidiano

 

OBAMA PUTIN OBAMA PUTIN

Il sorpasso è già avvenuto. O forse occorrerà attendere ancora un mese. Ma la sostanza non cambia: gli Stati Uniti sono i nuovi sceicchi del greggio. La produzione oil a stelle e strisce sta superando quella di Arabia Saudita e Russia: 8,85 milioni di barili al giorno cui va aggiunta la produzione di propano ed etano sufficienti a varcare la soglia dei 10 milioni e così superare d’un soffio sia gli sceicchi sauditi, fermi a 9,7 milioni e la Russia di Putin.

 

Naturalmente, però, non è in gioco un posto in classifica, semmai i nuovi equilibri geopolitici provocati dalla rivoluzione dello shale gas, la nuova tecnica di estrazione del greggio e del gas che ha consentito il sorpasso degli States, con rilevanti risvolti economici ma, soprattutto politico. Vediamo perché. Partiamo dai numeri. Rispetto a cinque anni fa gli americani estraggono quasi 4 milioni di barili di greggio al giorno in più.

INCONTRO TRA PUTIN E OBAMA DURANTE IL G INCONTRO TRA PUTIN E OBAMA DURANTE IL G

 

Tanto per intenderci, è come se fossero spuntati nelle praterie del Texas e del North Dakota due gruppi grandi quanto l’Eni. Una sorta di miracolo reso possibile dalla tecnologia che, secondo gli esperti,ha appena cominciato a produrre i suoi effetti. Fino ameno di un anno fa era proibito esportare greggio dagli Usa.

 

Oggi, al contrario, Washington si sta attrezzando a vendere gas e oil in giro per il mondo,a partire dai Paesi dell’Est Europa, Polonia in testa, che vogliono emanciparsi dal ricatto di Mosca.

 

Più facile a dirsi che a farsi, visto che occorre investire in porti, oleodotti per non parlare dei giganteschi investimenti nelle raffinerie e nella petrolchimica che stanno cambiando la geografia economica del Paese, che punta di nuovo più sull’industria che sulle banche. Nell’attesa della grande trasformazione, però, già si vedono gli effetti politici. Gli Usa hanno in pratica fatto marcia indietro dall’Africa, Nigeria in testa, ricca di greggio come di pericoli.

Siria OBAMA E PUTIN Siria OBAMA E PUTIN

 

Cresce intanto la tentazione di ridurre la presenza in Asia centrale,dove Mosca e Pechino, affamata di materie prime, è pronta a sostituire il rivale Usa. Si spiega così il «patto del caviale», ovvero l’intesa tra i Paesi che s’affacciano al mar Caspio (Russia, Kazakhstan, Iran, Turkmenistan e Azerbaigian) «sui principi fondamentali della cooperazione». Ovvero, dopo aver a lungo flirtato con gli Stati Uniti, Paesi ricchi di gas e greggio riprendono la via di Mosca. Per carità, il ruolo di leadership tecnologica Usa è ancora incontrastato.

 

shale gas shale gas

E non sarà facile per Rosneft, il colosso russo vicino a Putin, sfruttare gli immensi giacimenti di Pobeda, sotto i ghiacci del mar di Kara, una volta cessata la collaborazione con Exxon, come disposto dalla Casa Bianca in risposta alla minaccia di invasione in Ucraina. Ma la sensazione è che Washington, una volta cessata la fame di greggio del suo apparato industriale e dei suoi automobilisti abbia una gran voglia, Isis permettendo, di ridurre il suo impegno nelle aree calde.

 

petrolio e dollari petrolio e dollari

I democratici, del resto, sanno che le loro chances di successo alle prossime elezioni di mid term sono legate al prezzo della benzina (guai a varcare la soglia dei 4 dollari a gallone) e al ritiro dell’esercito, magari sostituito da droni e incursioni aeree. Che cosa comporta la novità dello sceicco Usa per l’Italia?

 

Grazie all’abbondanza del greggio in Usa, è venuto meno un cliente del Medioriente. Questo, assieme alla crisi economica che ha ridotto i consumi, spiega perché nonostante il black out dei pozzi libici, della mancata ripresa della produzione irachena e i ritardi nell’avvio dei pozzi in Kazakhstan, il greggio è passato dai 125 dollari al barile del 2012 a poco più di 95. Inoltre, l’Eni è stato rapido a occupare posizioni in Africa, approfittando della minor pressione americana.

logo exxon logo exxon

 

Ma, inutile negarlo, l’Europa nel nuovo puzzle energetico fa tenerezza, piuttosto che pietà. Si moltiplicano, ultima interprete Ségolène Royal in Francia, le prese di posizione contro l’estrazione di shale gas. L’Italia vieta i pozzi in Adriatico a tutto vantaggio di serbi, croati e sloveni. La Germania rinuncia a caro prezzo al nucleare, spingendo le sue imprese a investire in Usa dove l’energia costa la metà (anche dell’Italia). Ancora una volta il Big Game (Usa, Russia, Asia) ci taglia fuori.

 

Igor Sechin di rosneft Igor Sechin di rosneft

 

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