RESTA CON NOI, NON CI LASCIAR - RENZI HA FINITO DI FARE IL BULLETTO DI PROVINCIA: SALE SUL COLLE E PREGA INUTILMENTE RE GIORGIO DI NON DIMETTERSI A DICEMBRE - RENZI DEVE COMPLETARE LE RIFORME MA HA UN PARTITO SPACCATO, IDEM IL SUO ALLEATO BERLUSCONI

Sulle dimissioni Napolitano è stato irremovibile: al massimo aspetterà fine anno, non oltre - Re Giorgio ha anche chiesto di approvare le riforme in fretta ma di scriverle a dovere, per evitare bocciature in un secondo momento - Minacciato dalla sinistra PD, Renzi deve rinsaldare l’asse col Banana per chiudere le riforme…

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1. ADDIO AL COLLE POSSIBILE GIÀ A METÀ DICEMBRE: L’IPOTESI INQUIETA IL PREMIER

Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera

NAPOLITANO RENZI NAPOLITANO RENZI

 

Il presidente della Repubblica è preoccupato per le voci di elezioni anticipate che si rincorrono da qualche giorno. Il presidente del Consiglio è preoccupato perché ha saputo della tentazione del capo dello Stato di annunciare il suo addio a metà dicembre nel consueto scambio di auguri pre-natalizio con le istituzioni e le alte autorità. 
 

Non è stato un incontro facile, quello al Quirinale tra Matteo Renzi, accompagnato dalla ministra Maria Elena Boschi, e Giorgio Napolitano. Il premier si è speso per convincere l’inquilino del Colle a restare, garantendogli la prosecuzione della legislatura e l’approvazione delle riforme.

 

silvio berlusconi (9) silvio berlusconi (9)

Ma pare che Napolitano sia stato irremovibile: al massimo aspetterà fine anno, non oltre. E certo non potrà certificare lui la fine della legislatura. «Ma la legislatura andrà avanti, se si faranno le riforme», gli ha ribadito il premier, il quale, però, ha dovuto ammettere che «il quadro non tiene come dovrebbe». E non solo perché Berlusconi sta mandando tutto per le lunghe. C’è anche il problema della minoranza pd, che ieri si è presentata al gran completo in commissione Affari costituzionali del Senato.

 

La quale commissione lavorerà a ritmo forsennato, pur di arrivare al dunque, in quei tempi «brevi» richiesti da Renzi. «Siamo a un passo dalla chiusura, tra dicembre e gennaio tutto sarà finalmente realizzato», dice il premier. E per tutto intende non solo la riforma elettorale, che dovrà essere approvata dall’aula di Palazzo Madama, ma anche quella del Senato, che la commissione della Camera dovrà licenziare in tempi brevi, e il Jobs act, varato a Montecitorio, e approdato ora nell’altro ramo del Parlamento.

maria elena boschi imbronciata maria elena boschi imbronciata

 

Anche a Palazzo Madama, lascia intendere, il premier, il governo potrebbe non chiedere la fiducia su questo provvedimento. Un modo per tentare di svelenire il clima, e, nel contempo, per sfidare la minoranza interna. Perché far cadere quella legge delega equivarrebbe a far saltare la legislatura. 
 

Non è questo l’ obiettivo primario del presidente del Consiglio, il quale lo ha ribadito più di una volta a un preoccupatissimo Napolitano. Il suo traguardo è un altro: mandare a termine lo «storytelling», ossia la narrazione, che ha fatto all’Italia e su cui si gioca la «credibilità»: «È su quello che promettiamo e che poi manteniamo che la gente ci giudicherà e che restituiremo fiducia nella politica e nelle istituzioni». Ma per raggiungere questo obiettivo sulla riforma elettorale Renzi non può pensare di far a meno di Berlusconi e di un ampio consenso in Parlamento, è stato il ragionamento del presidente della Repubblica.

 

Se così non fosse, il premier deve comunque sapere che il capo dello Stato, a un certo punto si dimetterà, a riforme fatte o non fatte, e quindi il cerino gli rimarrà in mano. E non è un caso, allora, se, intervistato dal Tg1 , il premier ripete che il «patto del Nazareno ha ancora un senso» e che le «regole del gioco si fanno con Berlusconi». 
 

parlamento italiano parlamento italiano

Insomma, non è vero che Renzi intende andare avanti comunque senza Forza Italia. La sua era stata una minaccia, un tentativo per costringere Berlusconi a non continuare a temporeggiare. Ma, come gli ha spiegato il capo dello Stato, un «accordo va trovato».

 

Anche se lo stesso presidente non sembra tanto ottimista, dal momento che non lega più la sua permanenza al Quirinale alla riforma del sistema elettorale. Il che complica non poco le cose a Renzi. Che a casa sua, cioè nel Pd, deve fronteggiare l’offensiva della minoranza che chiede meno capilista bloccati nell’Italicum e degli alleati che reclamano la clausola sospensiva della legge per esorcizzare la paura del voto anticipato. Paura comprensibile, dal momento che il Pd di Renzi, persino se si andasse alle elezioni con il Consultellum avrebbe una maggioranza ben consolidata al Senato e di stretta misura (320 voti) alla Camera, stando alle proiezioni dei voti delle europee. 
 

laura boldrini laura boldrini

Insomma, per farla breve, come ammette lo stesso Renzi «le elezioni in realtà converrebbero solo a me, con qualsiasi sistema, di certo non a Berlusconi, checché se ne dica, anche ne caso in cui il centrodestra schierasse Salvini di cui non ho certo paura. Ma, ripeto, non sono le elezioni il mio obiettivo». 
 

«Il mio obiettivo sono le riforme. Però questa legislatura ha un senso solo se le fa», confida più tardi ai collaboratori. Ben sapendo che, comunque, le elezioni del presidente della Repubblica, inevitabili, dopo la presa di posizione di Napolitano, non gli permettono grandi spazi di manovra. Un accordo con Berlusconi va comunque fatto. 

 

2. PRESSING PER RINVIARE LE DIMISSIONI MA IL PRESIDENTE RESISTE

NAPOLITANO CONSIGLIA DI EVITARE FORZATURE NELL’APPROVARE LE RIFORME COSTITUZIONALI

Fabio Martini per “la Stampa

 

matteo renzi pietro grasso matteo renzi pietro grasso

Un incontro diverso da tanti altri. Per più di un’ora Giorgio Napolitano e Matteo Renzi si sono parlati, stavolta dentro un’aura di commiato che - pur senza commozioni - ha lasciato il segno su un incontro molto significativo anche dal punto di vista politico. 

Anzitutto perché il presidente del Consiglio, ascoltando le parole del Capo dello Stato, ha preso atto che Giorgio Napolitano è intenzionato a lasciare il Quirinale nelle prime settimane del prossimo anno. Certo, la conferma di un’intenzione ventilata da tempo. Certo, il presidente della Repubblica non ha dettagliato date o modalità, che restano aperte, ma dentro un range di settimane, non di mesi. 

Dopo il colloquio al Quirinale, Matteo Renzi ha capito che è destinato a restare inattuato il suo auspicio, sincero ed interessato, di vedere Giorgio Napolitano al Quirinale fino all’inaugurazione dell’Expò di Milano, fissata per il primo maggio del 2015. Il presidente del Consiglio ha preso atto a malincuore, perché avrebbe gradito avere più tempo, per gestire al meglio un passaggio complesso come l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ma Renzi, rispettoso come è nei confronti di Napolitano, ovviamente non ha avanzato obiezioni.
 

pietro grasso e moglie grasso pietro grasso e moglie grasso

Ma il Capo dello Stato non soltanto ha reso più esplicito il suo intendimento di lasciare il campo nelle prime settimane del 2015. Sensibilissimo come è al completamento delle riforme istituzionali, Giorgio Napolitano si è fatto aggiornare da Renzi e dal ministro delle Riforme Maria Elena Boschi sullo stato di avanzamento dei due principali provvedimenti, “cambio” del Senato e legge elettorale. E ha preso atto delle nuove difficoltà insorte dopo l’esito delle elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria. Difficoltà non insormontabili, ma neanche trascurabili. 

 

Così come hanno lasciato il segno le critiche, in alcuni casi molto stringenti, messe a verbale dai costituzionalisti - interpellati dalla apposita Commissione parlamentare - sulle “imperfezioni” contenute nella prima stesura di riforma del Senato.

 

Ecco perché - e questo è un altro elemento di grande importanza - il Capo dello Stato ha lasciato intendere che le riforme istituzionali vanno sì portate a termine in tempi ragionevoli ma non necessariamente a tambur battente. Come dire, anche se nessuno lo ha detto: riforme presto ma è altrettanto importante che siano ben fatte.
 

Un’indicazione indirettamente fatta propria dal Parlamento: proprio ieri la conferenza dei capigruppo della Camera, chiamata a decidere il timing della riforma del Senato, ha finito per accogliere - con governo e Pd blandamente contrari - la proposta della presidente della Camera, Laura Boldrini, di rinviare di sei giorni il passaggio in aula del provvedimento.

 

senato-della-repubblica senato-della-repubblica

Un rinvio che fa slittare al 2015, con data da destinarsi, l’”abolizione” del Senato, provvedimento giunto al secondo passaggio, dopo il primo via libera di palazzo Madama. E se la riforma del Senato a questo punta slitta al 2015, analogo destino sembra attendere quella elettorale, ferma in Commissione a palazzo Madama. Un complessivo ralenti.
 

Eppure, nel corso dell’incontro il Capo dello Stato ha dimostrato di essere preoccupato dalla situazione economico-finanziaria, ancora più che sull’esito delle riforme istituzionali. E a questo riguardo è tornato, durante il colloquio il tema dello scioglimento anticipato, uno scenario che Giorgio Napolitano ha sempre temuto proprio in relazione alla tenuta del tessuto economico e sociale. Il presidente del Consiglio, al riguardo, è stato molto chiaro: «La mia intenzione è di completare la legislatura».

 

 

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