"SENZA RENZI NON NASCE NESSUN GOVERNO" - FRANCESCHINI SI DIFENDE DAI VELENI CHE LO DESCRIVONO PRONTO A VOLARE A PALAZZO CHIGI CON LA BENEDIZIONE DI MATTARELLA: "IO NON COMPLOTTO CONTRO NESSUNO. HO SEMPRE DETTO A MATTEO CHE NON SI DOVEVA DIMETTERE"

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Paolo Festuccia per la Stampa

 

renzi franceschini con mogli renzi franceschini con mogli

C' è chi aspetta il canto del gallo e chi accende la miccia per il prossimo congresso del Partito democratico. A cinque giorni dall' esito del referendum e a consultazioni iniziate la volata per il governo rischia di rimanere schiacciata dal regolamento dei conti tutto interno al Pd proiettato già nello scontro per la segreteria.

 

Un cliché peraltro visto più volte dove ora però l' ex premier Matteo Renzi accusa il «suo» ministro Dario Franceschini di condurre una partita tutta personale, giocata di sponda anche con Forza Italia, con Berlusconi, pur di acchiappare la poltrona di Palazzo Chigi. Accuse che non fanno breccia all' interno di AreaDem la corrente guidata dal ministro dei Beni culturali dove si ribatte che «senza Renzi non c' è nessuno sbocco alla crisi». Anzi, ricordano come in più circostanze proprio Franceschini avesse ribadito che anche «in caso di sconfitta al referendum Renzi non si dovesse dimettere...».

 

franceschini franceschini

«Senza di lui infatti - ha spiegato ai suoi Dario Franceschini - non nasce nessun governo». Come dire: senza Renzi non si canta messa. E le accuse di doppiogiochismo? I suoi descrivono Franceschini tra l' incazzato e il divertito: «Tramo contro di lui... ma se ho sempre detto che non si sarebbe dovuto dimettere...». Poi, analizzando la fase della crisi politica che si è aperta formalmente mercoledì sera, dopo che Renzi si è dimesso, si aggiunge, «addirittura col Cavaliere starei trattando...Basta con i tentativi di sfregiare figure ad ogni costo...».

 

E già, perché in queste ore chi ha parlato con il leader di AreaDem non esita a sottolineare che «stavolta le fughe in solitaria non sono possibili...». Ma, «di quale complotto si parla?».

 

dario franceschini michela di biase dario franceschini michela di biase

Non è mistero, infatti, che «qualsiasi cosa nasca dalle consultazioni non potrà che avvenire in accordo con il segretario del pd». Niente, insomma, si potrà «confezionare» senza che Renzi sia il protagonista, o indichi il percorso da avviare per la soluzione della crisi di governo. La «road map», dunque, spetta a lui. E quindi - è il ragionamento che Franceschini fa con i suoi - «il complotto, il timore per azioni in solitaria non sta nei fatti. Il Pd non potrà prescindere dalla volontà del suo segretario».

 

Altra cosa, invece, sono le posizioni di singoli esponenti politici di altre forze in Parlamento che in più circostanze hanno veicolato in Transatlantico che si «sentirebbero garantiti da un governo guidato» dall' attuale ministro per i Beni Culturali. Ma anche qui, «non c' è nessuna presa di posizione pubblica da parte di Forza Italia né ci potrebbe essere....». Del resto come «potrebbe esserci, visti i conflitti del passato molto forti proprio con Berlusconi?». Così, almeno per ora, le accuse tornano al mittente con un messaggio chiaro: «Non ci saranno ribaltoni in solitaria...».

BEPPE FIORONI BEPPE FIORONI

 

Poi, a fine serata a chi gli chiedeva commenti ha risposto ironicamente di non poter parlare «sono a Arcore a chiudere l' accordo...». Comunque attacca il popolare Beppe Fioroni, «è un copione stantio quello di indicare i democristiani come tramatori quando invece indicano con saggezza la necessità che il Parlamento approvi una legge elettorale prima di andare al voto». Renzi, quindi, indicherà la strada poi sarà Mattarella a fare le scelte.

 

sergio mattarella dario franceschini sergio mattarella dario franceschini

Ma al netto dei buoni propositi il percorso per uscire dalla crisi è ancora da definire. Tutto è nelle «sagge mani» di Sergio Mattarella che alla fine delle consultazioni dovrà indicare il nome a cui affidare il mandato. Una poltrona mai incandescente come in questo momento che rischia - è il convincimento di molti dentro il Pd - di non avere così tanti pretendenti al punto che potrebbe alla fine tornare nelle mani dello stesso Matteo Renzi.

 

 

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