SINISTRA OSSESSIONE - FULVIO ABBATE: “CHE GENERE DI INCUBO IMPEDISCE AL CETO INTELLETTUALE E ARTISTICO ROMANO (E NON SOLO) DI SPUTARE IL ROSPO, DI SBRACARE DI BRUTTO? COSTA DAVVERO COSÌ TANTO SBOTTARE E MANDARE AL DIAVOLO QUEL GALATEO IPOCRITA E DESOLANTE, PERFINO SESSUALE, IMPOSTO IN MOLTI CIRCOLI CITTADINI DAL PASSAGGIO DI UN WALTER VELTRONI E DELLA SUA 'VOCAZIONE MAGGIORITARIA'?"


FULVIO ABBATE

Fulvio Abbate per “il Dubbio”

 

Poche parole sul silenzio della “bella gente” di sinistra votata alle arti, alle lettere, al cinematografo, alla televisione, alla poesia sull’esistenza della sinistra stessa, cioè in preda del coraggio che consente di immaginare oltre l’esistente. Un silenzio davvero incomprensibile in questi giorni in cui sarebbe invece naturale opportuno buttarsi, sputare il rospo, sbracare di brutto, tornare a ripetere “vogliamo tutto!”, altro che trovarsi crocifissi ai discorsi sulla legge elettorale così come accade da più di vent’anni.

 

Quasi che da questa possa sgorgare un orgasmo. Poche parole sul senso della moderazione che li trattiene, anzi, li pervade da molti lustri ormai. Vorrei farlo nel modo più semplice, raccontando alcune storie, storie da strapaese, straquartiere. Per fare questo, prendo subito spunto dalla timorata condotta di un prestigioso vicino di casa, Nanni Moretti, regista assai amato e premiato dalla sinistra orgogliosamente a tacco basso e zuppa di farro.

fulvio abbate

 

Abitiamo infatti il medesimo quartiere di Roma, Monteverde Vecchio, crogiuolo di piccola borghesia con aggiunta di ceti medi riflessivi affacciati sul mare aperto di Trastevere. Con Moretti condividiamo talvolta lo stesso bar, la premiata pasticceria “Dolci Desideri” di via Anton Giulio Barrili, un salottino-parlamento (con annessa bacheca del “Nuovo Sacher”) che, fra gli altri, mostra d’avere tra i clienti quotidiani Umberto Orsini, Carlo Verdone, Adalberto Maria Merli, Nicola Piovani, Luigi Lo Cascio, Gabriele Lavia, Paola Cortellesi, la cantante pop salentina Emma e molti altri amabili amici.

NANNI MORETTI 1

 

Tutte creature votate alla cordialità e dunque alla consapevolezza che nel quartiere si è innanzitutto “indigeni”, senza connotazioni ulteriori. E qui, per non sembrare cattivo, darei la parola al dottor Verdone, primario internista già citato tra i residenti: “E passa Umberto Orsini e se ferma. E passa Gabriele Lavia e se ferma. E passa Nanni Moretti e non se ferma, anzi se mette con la mano in fronte per far vedere che non c’ha visto e che sta’ a pensa’ ai fatti suoi importantissimi e noi già l’avemo cioccato da lontano con la coda dell’occhio e facciamo sempre lo stesso commento, ‘è fatto così’…”.

 

NANNI MORETTI

Dove voglio arrivare? Semplice, è davvero così costoso concedersi al mondo? Siamo davvero così obbligati a pensare che nel mondo artistico-intellettuale romano non ci possano mai essere gesti votati all’assoluta gratuità, al volo, all’urlo, all’abbandono dell’ipocrisia? Detto in soldoni, costa davvero così tanto sbottare e dunque mandare al diavolo quel galateo ipocrita e desolante, perfino dal punto di vista sessuale, imposto in molti circoli cittadini dal passaggio di un Walter Veltroni e della sua “vocazione maggioritaria”? Vedi, ho solo domande.

VELTRONI

 

Ora, essendo uno scrittore, provo a ragionare in termini di fantasia. Dai, ci provo davvero. Che genere di incubo impedisce insomma alla bella gente del ceto intellettuale e artistico romano (e non solo) di affacciarsi alla finestra per gridare con tutto il fiato che custodisce in corpo: “Mai più!”?

 

Escludendo che si tratti ancora della vecchia sindrome comunista che portava il militante del Pci a presentarsi a votare al seggio alle 7 del mattino “perché non si sa mai, e se fanno un golpe?!”, escludendo ancora che possa ancora esistere l’antico riflesso condizionato rispetto al “Partito” con la P maiuscola, mettendo da parte tutto questo la sensazione finale mostra, ahimè, una sorta di assenza di amor proprio: c’è infatti il sospetto che tutti costoro che tacciono siano abbonati  a un bisogno di “bondage” politico, e dunque, escludendo la pavidità e la demotivazione, mi sembra di vederli legati al trapezio con corde e funi come in certe foto di Nobuyoshi Araki,  maestro fotografo nippo del genere erotico. Legati a testa in giù sullo sfondo di via dei Giubbonari.

 

carlo verdone

Anni fa ho visto un bel film dedicato al mirabile compositore sovietico Šostakovic, meglio, a tutti gli incubi che costui dovette subire sotto Stalin. C’era perfino una scena in cui lo sventurato Dmitrij contempla la salma del dittatore composta nella bara al centro della Sala delle Colonne e teme che da un momento all’altro il trapassato possa resuscitare, tornare alla vita, riprendere il mano il libro nero e così tornare a picchiare tutti in testa come “martello di Dio”; oh, povero Šostakovic costretto proprio da Stalin a comporre partiture dedicate all’elettrificazione dell’Urss. Timori nel suo caso comprensibili…

 

WALTER VELTRONI

Ma nel caso della bella gente di sinistra sparsa tra Rione Monti, Parioli e, appunto, Monteverde in luogo del martello di Dio staliniano c’è forse da immaginare un immenso Ercolino Sempre in Piedi con le fattezze e il triplo mento di Veltroni lì a inibire ogni scatto d’orgoglio, di “vogliamo tutto”? Siamo forse, anche in questo caso, ancora una volta al “perché non si sa mai”?

 

Forse coloro che tacciono temono che da un giorno all’altro anche Walter nostro possa risorgere. Schizzare fuori d’improvviso dalla sua urna di Nutella, e da lì ce lo so possono ritrovare alla presidenza della Rai o magari addirittura al Quirinale. O perfino al Centro sperimentale di Cinematografia. Poi uno dice che la sinistra non c’è più. Dice. La prossima volta che incontrate Nanni Moretti, anche fuori dal quartiere, assodato che non ha detto neppure cosa voterà al referendum, provate voi a domandargli se è davvero così, magari con voi si ferma a parlare.