TUTTI GLI UOMINI (E LE DONNE) DI CULATELLO - MENTRE RENZI SI CIRCONDA DI “SPIN” COME GIORGIO GORI, BERSANI SI FIDA SOLO DEGLI EX PCI EMILIANI - IL TRIAO MERAVIGLIAO DEL SEGRETARIO: VASCO ERRANI, MIRO FIAMMENGHI, MAURIZIO MIGLIAVACCA - ENRICO LETTA COMPAGNO DI BIRRETTE - GOTOR NELL’OMBRA MA NON TROPPO - LA SCALATA DI CHIARA GELONI, DIRETTRICE DI YOUDEM, E “GRAN CUSTODE (NELLA RETE E NON SOLO LI’) DELL’ORTODOSSIA BERSANIANA…”

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Claudio Cerasa per Il Foglio

BERSANI RENZI BERSANI RENZI

Ci sono i contenuti, certo. Poi ci sono le idee. Ci sono i linguaggi. Ci sono i modelli. Ci sono le scuole di pensiero. Ci sono i programmi diversi. Ci sono le differenze sul fisco. Ci sono le distanze sul welfare. Ci sono le dissonanze sull'Europa. Ci sono le divergenze sulla forma partito. Ci sono le discordanze sull'agenda Monti. E insomma ci sono mille piccole sfumature da raccontare per raffigurare il vero senso della sfida tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani.

BERSANI RENZI BERSANI RENZI

Ma tra i tanti spunti di riflessione che offre la battaglia tra i due gran duellanti del centrosinistra ce n'è uno che forse più degli altri ci aiuta a inquadrare in modo plastico la distanza reale tra il Rottamatore fiorentino e il leader del Pd: la squadra. E in fondo è anche su questo terreno che si gioca la partita tra il sindaco e il segretario.
Di Renzi, ne abbiamo parlato a lungo anche su questo giornale, ormai si sa quasi tutto. Si sa chi sono i suoi uomini più fidati. Si sa chi sono i suoi collaboratori. Si sa chi sono i suoi sostenitori. Si sa chi sono i suoi contributors. Si sa quali sono i suoi sogni proibiti. E si sa anche con quale stile il sindaco di Firenze sta organizzando il suo team. Uno stile più da manager che da politico tradizionale. Uno stile più da "Ceo" che da classico capo partito.

E uno stile che riflette l'idea del sindaco di creare un gruppo di lavoro in cui, più che le appartenenze politiche, contano soprattutto le competenze e le capacità. Modello partito azienda, per capirci. Un modello, però, distante anni luce dal tratto con cui il segretario del Pd ha disegnato e sta disegnando il perimetro della sua squadra. Bersani, come Renzi, in questi anni si è circondato di persone serie e competenti.

GORI E RENZIGORI E RENZI

Ma, a differenza del sindaco, il leader del Pd - anche per evitare di ritrovarsi impantanato in nuovi casi Penati (Bersani stimava Penati, ma l'ex presidente della provincia di Milano proviene da una tradizione culturale diversa rispetto a quella di Bersani) - oggi ha scelto di riunire attorno al suo tavolo prevalentemente collaboratori e consiglieri della sua stessa famiglia politica.

Certo: ci sono naturalmente alcune eccezioni, e in alcuni casi Bersani, come vedremo, ha allargato la famiglia offrendo un posto intorno al tavolo anche a, per così dire, diversi parenti acquisiti; ma alla fine dei conti, andando a studiare uno a uno i profili degli uomini e delle donne che compongono l'inner circle del segretario (e che fanno parte del team con cui il leader del Pd proverà a resistere alla rincorsa del Rottamatore), la fotografia della squadra di Bersani è lo specchio della recente evoluzione del Pd: una squadra competente e preparata, sì, ma non contaminata da contributi esterni e in sostanza sbilanciata sul suo versante più famigliare: quello sinistro.

VASCO ERRANIVASCO ERRANI

In parte, una prima spia della natura della squadra del segretario - o del famoso "Tortello magico", come da ormai nota definizione del deputato del Pd Mario Adinolfi - è emersa qualche giorno fa quando Bersani ha presentato i nomi dei ragazzi scelti per guidare il suo comitato per le primarie (Alessandra Moretti, Tommaso Giuntella e Roberto Speranza: tutti, seppur con molte sfumature, provenienti da una tradizione politica dichiaratamente post-diessina).

Ma al di là di questi singoli nomi, la verità è che le persone che ormai da mesi (alcuni da anni, altri da decenni) costituiscono la vera famiglia del segretario sono altre e sono più o meno queste. Teniamo a mente l'esempio dei tavoli, perché il mondo di Bersani potrebbe essere davvero raffigurato come fosse un piccolo pranzo di un matrimonio. E dunque: al centro della sala si trova il tavolo con il segretario e i parenti più stretti; poi attorno a quel tavolo se ne distribuiscono altri occupati a titolo diverso dagli amici più cari e dai parenti acquisiti.

Attorno al primo tavolo, quello di Bersani, ci sono le quattro persone più vicine al segretario: Vasco Errani (governatore dell'Emilia Romagna), Miro Fiammenghi (consigliere regionale dell'Emilia Romagna), Maurizio Migliavacca (responsabile organizzazione del Pd), Enrico Letta (vicesegretario del Pd). Accanto a questo ce ne sono poi molti altri. Ne abbiamo scelti tre. Nel primo ci sono i quattro motori silenziosi e discreti della macchina bersaniana: Stefano Di Traglia (portavoce storico di Bersani), Roberto Seghetti (addetto stampa di Bersani), Chiara Geloni (direttore di YouDem) e la new entry Miguel Gotor (storico e non solo).

Nel secondo, il gruppo di economisti e professori universitari più ascoltati da Bersani(fanno parte del forum economia del Pd, si riuniscono una volta al mese e offrono sempre spunti utili al segretario del Pd): oltre a Stefano Fassina, ci sono Vincenzo Visco (ex ministro delle Finanze tornato a essere molto, molto vicino a Bersani), Massimo D'Antoni (docente di Scienze delle Finanze a Siena), Ronny Mazzocchi (docente di Economia monetaria e finanziaria a Trento), Michele Raitano (Ricercatore di Politica economica alla Sapienza), Vito Peragine (docente di Scienza delle finanze a Bari), Alessandro Santoro (Ricercatore di Scienza delle finanze alla Bicocca di Milano), Emilio Barucci (docente di Ingegneria finanziaria al Politecnico di Milano), Antonio Lirosi (ex mister prezzi e oggi direttore generale del gruppo alla Camera), Giovanni Sernicola (direttore del centro studi Nens) e Maurizio Ferraris (che non è un economista, ma un filosofo, e che è uno dei professori universitari più ascoltati e seguiti dal segretario).

Maurizio MigliavaccaMaurizio Migliavacca

Nel terzo tavolo, invece, si trovano i ragazzi del comitato elettorale (Speranza, Giuntella, Moretti, con un Gotor a coordinarli da dietro le quinte, e vedremo perché); e insieme con loro un gruppo di giovani bersaniani - né turchi, né bindiani, né dalemiani, ma proprio bersaniani - alla Marco Marchetta (30 anni, segretario provinciale del Pd di Pesaro e Urbino), Enzo Amendola (35 anni segretario regionale della Campania), Patrizio Mecacci (28 anni, segretario cittadino di Firenze) e molti altri: tutti ragazzi non appartenenti ad alcuna corrente in particolare, che nei prossimi mesi il segretario del Pd lancerà nella mischia anche per dimostrare di essere egli stesso in lotta silenziosa contro le oligarchie del proprio partito e contro i signori del papello.

Il primo tavolo è quello che conta di più ed è il tavolo delle persone con cui Bersani si confronta più spesso. Con Enrico Letta - unico dirigente cattolico di peso del Pd che insieme con Rosy Bindi a queste primarie appoggerà Bersani nonostante una profonda stima e simpatia per il professor Mario Monti - il segretario ha un rapporto di amicizia sincero.

Letta e Bersani studiano più o meno insieme da leader da quando nel 2004, alle elezioni
europee, si ritrovarono a fare insieme i capolista per le circoscrizione nord-est e nord-ovest all'interno del primo vero embrione del Pd (la lista Uniti nell'Ulivo) e oggi si può dire che Letta sia l'unico dirigente del partito con cui Bersani si confronta anche in orario extra lavorativo (i due almeno una volta a settimana si concedono un boccale di chiara media Baladin a Roma, a due passi dal Ghetto, alla birreria Open, la stessa dove Bersani venne immortalato alcuni mesi fa con una pinta in mano mentre scriveva un suo discorso prima di un'assemblea nazionale.

ENRICO LETTA A CERNOBBIO jpegENRICO LETTA A CERNOBBIO jpeg

Piccola nota: Bersani scrive sempre da solo i suoi discorsi, non ha ghostwriter, non ha consulenti, non ha scrittori che gli riscrivono e gli sistemano gli speech, e al massimo accetta alcune piccole schede da alcuni suoi collaboratori).

Letta però, pur essendo un buon amico di Bersani, è più che altro una sorta di parente acquisito del leader democratico e non rientra nella categoria di quei familiari che hanno una maggiore consuetudine con il mondo, la cultura e la terra del segretario del Pd. I veri confidenti del segretario arrivano infatti esclusivamente dall'Emilia Romagna e sono le tre persone con cui Bersani ha una maggiore confidenza all'interno del Pd. Sia per via della comune terra di nascita sia per via della comune provenienza politica (i quadri dirigenti del Pci emiliano, e poi, via via, il Pds, i Ds e quindi il Pd). Il primo tra questi è Vasco Errani, il secondo è Valdimiro Fiammenghi (detto Miro), il terzo è Maurizio Migliavacca.

Errani, figlioccio politico del segretario e conosciuto dal leader Pd ai tempi della Fgci emiliana, è il vero braccio destro di Bersani, e nel Pd si dice che una delle poche cose certe di un possibile governo guidato dall'attuale leader del Pd è che il governatore è destinato a essere il Gianni Letta del segretario (già nel 1996, tra l'altro, Errani rivestì il ruolo di spalla di Bersani quando il leader del Pd era governatore della regione).

CHIARA GELONICHIARA GELONI

Errani, uno dei principali canali di collegamento di Bersani con il mondo di Prodi, è la persona a cui il segretario del Pd comunica le decisioni più importanti prima di portarle all'attenzione del resto della sua squadra (l'ultima: i nomi dei tre ragazzi del comitato elettorale); e chi frequenta il consiglio regionale emiliano racconta che il governatore durante l'estate ha rivelato ad alcuni consiglieri di essere stato lui in persona a persuadere Bersani a fare le primarie nonostante le resistenze delle oligarchie del Pd.

Mentre Maurizio Migliavacca, uomo macchina di Bersani, piacentino come il segretario, riveste un ruolo più operativo e di apparato all'interno del mondo del leader del Pd, Errani, oltre a essere consigliere fidato, è anche una delle pochissime persone da cui Bersani si lascia convincere più facilmente. E anche per questo nel Partito democratico chiunque abbia un suggerimento da dare a Bersani più che parlare con lo stesso segretario (cosa non sempre facilissima) si rivolge al governatore nella speranza che questi poi rigiri il messaggio al leader del Pd.

Gli uscieri al terzo piano di via del Nazzareno, a Roma, raccontano però che tra gli esponenti emiliani del Pd che hanno maggiore facilità d'accesso nella stanza del segretario non c'è solo Vasco Errani ma c'è anche un misterioso e semi sconosciuto consigliere regionale che ogni tanto si presenta a Roma alla sede del Pd e passa minuti e minuti e minuti a chiacchierare con il compagno Pier Luigi.

MARIO ADINOLFIMARIO ADINOLFI

Il suo nome è Miro Fiammenghi, è un vecchio amico di Bersani, è di Ravenna, è un gran sostenitore di Errani (raccontano in consiglio regionale che ogni tanto Vasco e Miro si fanno un cenno in Aula e dopo pochi istanti si ritrovano in corridoio a confabulare su alcune richieste di aiuto arrivate da Roma da Bersani), ha appena fondato a Ravenna (circoscrizione marittima) un comitato per Bersani; e, tra le altre cose, è anche il canale di collegamento in Emilia tra i bersaniani e i dalemiani della regione (nel 2008 fu uno degli animatori di "Red" in Emilia Romagna) e l'uomo che gestisce i rapporti sul territorio con il mondo dei piccoli e medi poteri locali (da Hera fino alle Coop passando per Unipol).

Miguel-GotorMiguel-Gotor

Questo per quanto riguarda il primo tavolo. Poi, a fianco del segretario, si trovano altri parenti acquisiti, non di provenienza emiliana, che nel corso degli anni si sono ritagliati un ruolo importante nel cerchio magico bersaniano. Oltre a Stefano Di Traglia (storico portavoce e braccio operativo del segretario sul Web, funzione importante, questa, considerando che Bersani pur avendo imparato da poco a utilizzare Twitter non ha ancora grande dimestichezza neppure con la posta elettronica, per non parlare di Facebook) e a Roberto Seghetti (addetto stampa di Bersani anche ai tempi del ministero dello Sviluppo, e uomo fidato del segretario), chi ha un ruolo importante tra i "comunicatori" di Bersani è Chiara Geloni ed è soprattutto Miguel Gotor.

Scriviamo "comunicatori" tra virgolette perché in realtà Bersani, a differenza di Renzi e a differenza anche dei precedenti segretari e leader del Pd, non ha un vero e proprio "staff" che gli cura nei dettagli la comunicazione (a volte si nota); non ha una squadra che lo informa passo dopo passo sugli umori del paese con sondaggi, sondaggi e sondaggi; non ha i suoi spin doctor; non ha i suoi Lothar; non ama (come per esempio faceva Veltroni) organizzare lunghi e interminabili brainstorming nella sua stanza del Nazareno con scrittori, consulenti, esperti di marketing e giornalisti vari; ma ha piuttosto solo alcune persone di cui si fida e a cui chiede alcuni consigli.

VINCENZO VISCOVINCENZO VISCO

Una di queste è Chiara Geloni, direttrice di YouDem, simpatica e spietata fustigatrice (su Twitter, su Facebook, sul blog e anche via sms) dei commentatori e dei giornalisti che si occupano di Pd (soprattutto di quelli che di Pd non scrivono in modo corretto, qualsiasi cosa voglia dire corretto) e gran custode (sulla rete e non solo lì) dell'ortodossia bersaniana.

Geloni, oltre a essere direttore della tv del Pd, è da qualche tempo entrata nel giro che conta agli occhi del segretario, e quando Bersani si occupa di temi legati al Terzo settore, e alla bioetica, ogni tanto le capita di dare una mano nel preparare alcune schede per i discorsi (la direttrice di YouDem ha conosciuto anni fa Bersani quando da vicedirettrice di Europa stimolò l'allora ministro dello Sviluppo sui temi bioetici, e Bersani, ai tempi, apprezzò molto di essere trattato non come un ministro "tecnico" ma come, alleluia, un ministro politico a tutto tondo).

Oltre a Geloni però (che insieme con Letta è l'unica post-democristiana a far parte del giro ristretto del segretario) il vero motore operativo della campagna di Bersani è uno storico che il leader del Pd ha conosciuto in circostanze rocambolesche. Lui è Miguel Gotor, è uno studioso molto stimato (soprattutto per i suoi saggi su Aldo Moro), è editorialista di Repubblica e Bersani lo conobbe nel 2009 quando Gotor scriveva per il Sole 24 Ore. All'epoca, Gotor scrisse un durissimo articolo contro il quasi segretario del Pd (Bersani era in corsa contro Franceschini) in cui ironizzava (eufemismo) sullo stile e sulla comunicazione e sul lessico e sui vari "ehi ragassi..." del leader del Pd.

ENZO AMENDOLAENZO AMENDOLA

Gotor, in particolare, notò che "il candidato alla segreteria del Pd sembra rivolgersi a una platea di cattolici e socialisti dell'Ottocento, ma che il pubblico che lo ascolta si sente come estraniato, quasi fosse in un museo davanti a un quadro di Pellizza da Volpedo"; e che "la narrazione di Bersani può forse bastare per motivare un pezzo di partito e per rafforzare il recinto del proprio elettorato tradizionale, ma certo non gli sarà sufficiente se vorrà davvero vincere la sua partita, ossia raggiungere pezzi di società (si pensi soltanto alla piccola e media impresa) che oggi non votano il Pd".

Lo storico romano, il giorno dopo la pubblicazione del suo fondo, ricevette una lettera di Bersani (pubblicata dal Sole) e da lì iniziò tra i due un simpatico scambio epistolare che si trasformò poi in un rapporto di amicizia dal giorno in cui Gotor, insieme con l'allora cronista del Messaggero Claudio Sardo (diventato poi direttore dell'Unità), propose a Bersani di scrivere un libro-intervista (libro uscito lo scorso anno con Laterza).

Era il 2011, e Bersani si innamorò politicamente di Gotor (classe 1971) a tal punto da aver scelto proprio lui come volto chiave per dare un senso alla sua storia e in particolare alla sua campagna elettorale. Come? Gotor, oltre a essere un consigliere di Bersani, è da qualche giorno, ufficialmente, il collettore e il coordinatore della squadra che guida il comitato per le primarie del segretario, e a lui il leader del Pd ha chiesto di girare l'Italia nei teatri e nelle piazze per raccontare la sua scommessa e la sua idea di paese.

Gotor darà così vita a un piccolo tour (ieri era a Rimini e a Faenza e a Ravenna, il giorno prima era ad Acquapendente, nei prossimi giorni sarà a La Spezia, Milano, Venezia, Vicenza e naturalmente Firenze); e lo farà - racconta lo stesso Gotor, che nei prossimi tre mesi interromperà la collaborazione da editorialista con Repubblica per evitare conflitti di interesse - "per spiegare il significato della sfida di Bersani, per approfondire le ragioni che rendono il segretario un uomo politico con una sua unica originalità e per ricordare perché il nostro leader ha fatto delle cose che non possono passare come se fossero scontate: la scelta di convocare le primarie, la rottura con Di Pietro, la battaglia contro il Porcellum: cose che non è detto che avrebbe fatto Renzi se fosse stato al suo posto".

Lo farà per tutto questo, Gotor. Ma lo farà soprattutto per provare anche a dimostrare che il candidato alla segreteria del Pd - che un tempo sembrava rivolgersi goffamente solo a "una ristretta platea di cattolici e socialisti dell'Ottocento", e che spesso dà l'impressione di fare un po' di confusione tra istinto familiare e istinto di conservazione - oggi ha finalmente imparato a non farsi più vedere dal pubblico come fosse in un museo davanti a un quadro di Pellizza da Volpedo. Chissà se ci riuscirà.

 

 

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