VIENI AVANTI, TONINO – MA COME È STATO USATO IL FINANZIAMENTO DELLA DINASTIA BORLETTI? - NEL CORSO DEGLI ANNI DI PIETRO HA DATO DIVERSE VERSIONI, L’ULTIMA A FELTRI: “ C’HO COMPRATO CASE” – MA NEL 2000 DICHIARAVA CHE RESTAVANO SOLO 62 MLN DI LIRE…

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Laura Maragnani per \"Panorama\"

Correva l\'anno 1995 quando la contessa che viveva a Londra proclamò: «Soltanto quei due possono cambiare l\'Italia». I tempi erano difficili, la prima Repubblica crollava in macerie, il nuovo avanzava ma piuttosto a stento. Romano Prodi girava in pullman l\'Italia e Antonio Di Pietro, appena dismessa la toga, ancora meditava di buttarsi in politica. Fu allora che Maria Virginia Borletti, detta Malvina, la milanesissima erede delle macchine da cucire «Borletti, punti perfetti», decise che era venuta l\'ora di dare il suo personale contributo al cambiamento. Chapeau!

AntonioAntonio Di Pietro

Il 22 maggio, davanti all\'avvocato londinese Claudio Del Giudice, in Great Eastern Street, firmò l\'atto di donazione più straordinario nella storia della Repubblica: il 20 per cento dell\'eredità del padre Mario sarebbe andato a Romano Prodi e ad Antonio Di Pietro, «le persone che più hanno da dire al nostro Paese e che riflettono la miglior parte degli italiani». Sette miliardi di vecchie lire in due, fu la strabiliante stima dell\'epoca.

Tre miliardi e mezzo a testa che avrebbero potuto, calcolarono preoccupatissimi figli e fratelli, diventare ancora di più. E infatti chiusero i cordoni della borsa non appena possibile.

Ma di soldi ne erano già usciti tanti: un miliardo e mezzo che i beneficiari giurarono di avere accortamente investito in attività politica. Fino al colpo di scena del 9 gennaio scorso, quando su \"Libero\" Antonio Di Pietro ha illustrato la destinazione di 300 dei 954 milioni da lui incassati dalla contessa: acquisto di case. Possibile?

AntonioAntonio Di Pietro

Da Londra arriva un secco «no comment». Non parla la contessa che voleva «cambiare l\'Italia», né i fratelli che le contestarono la donazione, e neppure i figli Federico e Francesca, quelli che protestarono: «Sprechi i soldi». Alessandro Manusardi, il commercialista milanese che all\'epoca seguiva gli affari italiani di Malvina, si sente però di «escludere in maniera assoluta che l\'obiettivo della signora fosse il finanziamento di qualsivoglia acquisto immobiliare altrui».

Il finanziamento era tutto politico, e come tale è stato regolarmente denunciato alla Camera sia da Romano Prodi che da Antonio Di Pietro. Romano Prodi passa all\'incasso il 19 ottobre del 1998, dieci giorni dopo aver lasciato Palazzo Chigi: 198 mila 479 sterline 22 pence, che al cambio corrente facevano 545 milioni 817 mila 855 vecchie lire, pagati a Ginevra da un conto Ubs. Esentasse, visto che Prodi aveva accettato la donazione solo per i fondi depositati oltreconfine e poteva dunque avvalersi della legge 346 del 1990 che esclude dalla tassazione le donazioni liquide fatte da residenti all\'estero.

Non si hanno dettagli sulle trattative con Di Pietro, ma sono note le date e gli importi dei versamenti: 571 milioni il 15 giugno 1988; altri 83 milioni il 13 agosto; terza tranche di 300 milioni il 19 marzo 1999. Totale dichiarato alla Tesoreria della Camera: 954 milioni 317 mila 14 lire.

AntonioAntonio Di Pietro

E qui cominciano le pene di Manusardi, alle prese con il 740 della contessa. In base alla legge può detrarre solo le donazioni a partiti, non quelle ad personam; e dunque si mette disperatamente in caccia di una ricevuta che attesti il passaggio delle somme dai due politici ai partiti di riferimento. Da Prodi ne ottiene una: le 198 mila sterline sono state girate al Comitato Italia che vogliamo, che ne rilascia regolare quietanza. Ma Di Pietro? «Ho parlato più volte col suo tesoriere, Renato Cambursano» racconta il commercialista. «Non sono mai riuscito a ottenere nemmeno un pezzo di carta».

Della vicenda Panorama si occupa già nel giugno del 2000. Cambursano, intervistato all\'epoca, è lapidario: «Né l\'Italia dei Valori prima, né i Democratici poi hanno avuto alcun contributo proveniente dalla donazione Borletti». A bilancio dunque non è mai stato iscritto alcunché. Anzi: «A quei tempi io ero sempre con Di Pietro, ma mai l\'ho sentito dire che aveva incassato un miliardo dalla contessa» giura Elio Veltri, ex sodale e oggi avversario di Tonino.

Anche Antonio Di Pietro e Romano Prodi, nel frattempo, non vanno più d\'amore e d\'accordo. Di Pietro nel 2000 esce dai Democratici minacciando addirittura un decreto ingiuntivo per ottenere parte dei rimborsi elettorali incassati dal partito; alla fine se ne andrà coi soli mobili dell\'ufficio. E\' la fine del sogno politico della contessa. C\'è da stupirsi se il 13 giugno del 2000 il figlio di Malvina, Federico Forcolini, per un\'intera giornata si consulta con Manusardi e pochi giorni dopo blocca ogni ulteriore pagamento?

RomanoRomano Prodi

Né Prodi né Di Pietro dicono «ah». No, scusate, qualcosa dicono: a Panorama, sempre nel giugno del 2000, spiegano come hanno speso i soldi Borletti. Romano Prodi ha utilizzato i suoi 545 milioni per «la campagna elettorale a Bologna», e il suo commercialista Fabrizio Zoli fornisce addirittura il numero degli stipendi pagati grazie alla donazione.

Antonio Di Pietro elenca «attività politiche diversificate» (vedi box) e assicura di avere in cassa «un residuo di 62 milioni circa» che pensa di utilizzare per i suoi futuri impegni politici. Dell\'acquisto di case non parla. Non ancora. Ma ci tiene a sottolineare che «la donazione non era, nel mio caso, finalizzata ad attività politiche, ma all\'uso che ne avrei ritenuto più opportuno». Resta solo un dubbio, che forse oggi attanaglia anche la contessa Borletti: comprar casa grazie alla sua donazione era un uso opportuno? E con quali soldi, poi, visto che già nel 2000 Di Pietro giurava di aver speso tutto in attività politiche?

A OTTO ANNI DI DISTANZA LE CIFRE SONO CAMBIATE
Il 22 giugno 2000, su richiesta di Panorama, Antonio Di Pietro precisò di aver utilizzato il denaro ricevuto dalla signora Borletti, 954 milioni di lire, per attività politiche diversificate, anche se, scriveva l\'ex pm, «la donazione non era, nel mio caso, finalizzata ad attività politiche, ma all\'uso che ne avrei ritenuto più opportuno».

VittorioVittorio Feltri

Di Pietro affermò che con i finanziamenti provenienti dalla donazione aveva sostenuto spese relative a: 1) Referendum (la maggior parte per la raccolta delle firme); 2) Attività nell\'Italia dei Valori; 3) Campagna elettorale per le elezioni europee del 1999 condotta sotto la sigla dei Democratici; 4) Osservatorio sulle questioni inerenti la giustizia. Nel 2000 Di Pietro disse di avere ancora in cassa «un residuo di 62 milioni circa» che pensava di utilizzare per i suoi futuri impegni politici.

Lo stesso Di Pietro  il 9 gennaio 2009 ha dichiarato a Libero, nell\'articolo intitolato «Vi spiego tutte le cifre»:
«Mi si dirà: hai fatto delle compravendite e hai stipulato mutui, ma per il resto dove hai preso i soldi (per comprare tanti appartamenti ndr)? Ebbene, i miei redditi ammontano dal 1996 a oggi a oltre 1 milione di euro (al netto delle tasse). A tutto ciò devono aggiungersi ulteriori rinvenienze attive, tra cui una donazione mobiliare per circa 300 milioni di vecchie lire ricevuta nel 1996 dalla contessa Borletti (...)»

 

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