- - VIVA VIVA LA TRATTATIVA! – BELLA NAPOLI SOTTO INTERROGATORIO CONFERMA CHE CI FU IL RICATTO DIETRO LE BOMBE DELLA MAFIA, MA DICE CHE NON CI FURONO CEDIMENTI DOPO LA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO – PM BLOCCATI QUANDO GLI CHIEDONO DEI “41 BIS” TOLTI AI BOSS -

Nei ricordi del presidente della Repubblica affiorano dubbi e sospetti. L’ipotesi che qualcun altro sapesse degli “indicibili accordi” dei quali parlava il suo consigliere Loris D’Ambrosio. Loro però non affrontarono la questione. Anche Napolitano si chiede, come D’Ambrosio, perché qualcuno sapeva degli ultimi spostamenti di Falcone

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Attilio Bolzoni per “la Repubblica”

 

Ci fu il ricatto con le bombe però non ci furono cedimenti subito dopo le stragi Falcone e Borsellino, nessuno scese a patti, nessuno pensò mai di fare favori ai boss in carcere. E il suo predecessore Scalfaro fu «molto intransigente» in materia di lotta al crimine. Cioè la trattativa con la mafia non c’è mai stata.

 

giorgio napolitano giorgio napolitano

È la cronaca dell’interrogatorio del testimone Giorgio Napolitano, verbale del procedimento numero 1/13 a carico di “Bagarella Leoluca Biagio + 9”, udienza del 28 ottobre 2014.

Se così ha risposto in sostanza il presidente della Repubblica ai magistrati di Palermo che l’hanno ascoltato al Quirinale, sfogliando pagina dopo pagina la lunga desposizione del capo dello Stato qua e là ci sono passaggi dove affiorano dubbi, perplessità, drammatiche incertezze. Soprattutto quando Napolitano parla con grande emozione di Loris D’Ambrosio, il suo consigliere giuridico morto per un infarto nell’estate del 2012 dopo la pubblicazione delle sue telefonate con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

 

Sono ricordi che si rincorrono sempre intorno a quegli «indicibili accordi». E se il consigliere non gli spiegò mai nulla di più, di certo oggi sappiamo che solo e soltanto lui, il capo dello Stato, comprese fino in fondo in quei giorni il tormento dell’uomo che aveva accanto. Lo dice nella sala del Quirinale lasciando intendere una sofferenza fortissima: «Questa è una lettera che poteva concludersi con le dimissioni se le avessi accettate o poteva concludersi forse anche drammaticamente».

giorgio napolitano giorgio napolitano

 

È uno dei passi decisivi della testimonianza del presidente che per moltissime pagine va avanti e indietro sempre su quel punto, sempre intorno a quelle parole. Chiede ancora una volta il pubblico ministero Vittorio Teresi e risponde Napolitano: «... Rimangono tre righe, a cui è difficilissimo dare un’intepretazione». Ma aggiunge: «Io, poi, ripeto, credo che altre personalità che hanno avuto rapporti in quegli anni, come soggetti istituzionali, con D’Ambrosio, possono più facilmente di me essersi fatte delle idee in proposito, non lo so…»

 

E ancora: «Naturalmente coloro che avevano la responsabilità in tutti gli aspetti dell’impostazione, della guida e della gestione della politica antimafia e della lotta contro la criminalità organizzata, erano naturalmente il ministro della Giustizia, il ministro dell’Interno, la commissione antimafia... tutti incarichi che io certamente non ho ricoperto fra il 1989 e il 1993». Il presidente della Repubblica racconta di non avere avuto spiegazioni al riguardo dal suo consigliere giuridico ma, nello stesso tempo, presume che altri forse potrebbero conoscere i segreti di quelle parole scritte nella famosa lettera.

STRAGE DI CAPACI FALCONE MORVILLO FOTO REPUBBLICA STRAGE DI CAPACI FALCONE MORVILLO FOTO REPUBBLICA

 

Dice di non sapere altro. E precisa: «Perché detta una volta per tutte, scusi signor Presidente, Loris D’Ambrosio era un magistrato di tale qualità, di tale sapienza giuridica, di tale lealtà istituzionale, che se lui avesse avuto in mano degli elementi che non fossero solo ipotesi, lui sapeva benissimo quale era il suo dovere, andare all’autorità giudiziaria competente e fornire notizie di reato o elementi utili a fini processuali. Evidentemente queste cose non le aveva, tanto meno le disse a me».

 

Strage Capaci Strage Capaci

Comunque sia il capo dello Stato di quella lettera è rimasto «molto colpito»: «Per me fu un fulmine a ciel sereno, ci riflettei e il giorno dopo, il giorno dopo subito lo pregai di venire nel mio ufficio, avendo già redatto una risposta che gli consegnai». Il tormento e il travaglio di Loris D’Ambrosio sembrano diventati da quel momento anche il tormento e il travaglio del presidente. Che a un certo punto però vuole dire una cosa: «Vorrei pregare la Corte e voi tutti di comprendere che da un lato io sono tenuto e fermamente convinto che si debbano rispettare le prerogative del capo dello Stato che sono sancite dalla Costituzione, dall’altra mi sforzo per dare il massimo di trasparenza al mio operato e il massimo contributo anche all’amministrazione della Giustizia. Sono, come dire, certe volte proprio su una linea sottile, quello che non debbo dire non perché abbia qualcosa da nascondere, ma perché la Costituzione prevede che non lo dica».

giovanni falcone paolo borsellino lap giovanni falcone paolo borsellino lap

 

Poi il capo dello Stato cita sempre il suo consigliere giuridico e si catapulta al 23 maggio del 1992, la strage dell’autostrada, l’attentato che ha ucciso Giovanni Falcone: «Perché in effetti usa in quella lettera un linguaggio forte quando dice io sono convinto che qualcuno sapeva, aveva saputo che quel viaggio a Palermo sarebbe stato fra gli ultimi, sarebbero diventati meno frequenti a seguito del trasferimento della sua consorte a Roma. E lui dice: “qualcuno quindi lo sapeva”... Altra cosa per cui esprime con grande forza, in contatto con quello che ho appena accennato e riassunto in queste righe: nessuno mi convincerà mai che altri non sapessero che da quel giorno i viaggi a Palermo si sarebbero diradati…».

 

Giovanni Falcone Giovanni Falcone

È come se Napolitano si addentrasse ancora nei pensieri di Loris D’Ambrosio condividendone angosce, timori, paure. Qualcuno sapeva. Qualcuno che aveva utilizzato quell’informazione su Falcone e i suoi spostamenti che solo in pochi conoscevano.

 

Si arriva alle bombe del luglio 1993. Parla di come le alte cariche dello Stato decifrarono quell’attacco. «...I nuovi sussulti della strategia stragista dell’ala più aggressiva della mafia, si parlava in modo particolare dei Corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di valore religioso, artistico e così via, si susseguono secondo una logica che apparve unica ed incalzante per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut, perché questi aut aut potessero avere per sbocco un alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi, o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politicoistituzionale del Paese era ed è materiale opinabile ».

 

Napolitano dice che non ci fu «assolutamente sottovalutazione». Chiede il pm Nino Di Matteo: «E quindi lei ha detto che si ipotizzò subito... ad una sorta di aut aut, di ricatto, ho capito bene?». Il presidente: «Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema…probabilmente presumendo che ci fossero reazioni di sbandamento delle autorità dello Stato, delle forze dello Stato».

PAOLO BORSELLINO CON LA MOGLIE AGNESE PAOLO BORSELLINO CON LA MOGLIE AGNESE

Sbandamento che secondo Napolitano non ci fu. Sicuramente non nel 1992, dopo Falcone e Borsellino. E poi? Glielo chiede ancora il pm Di Matteo: «È a conoscenza se il 1° novembre del 1993 non venne prorogato il 41 bis per 330 detenuti?». Il presidente della Corte di Assise ferma il pm, la domanda non è ammessa. Saranno altri a rispondere su questo punto nelle prossime udienze.

 

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