VOCI DEL GHETTO DI ROMA – “I NOSTRI FIGLI IN GUERRA E CI SI DIMENTICA DEI RAZZI CHE CI LANCIANO” – “MA SI PARLA SOLO DELLA NOSTRA REAZIONE” – “CHI NON È STATO LAGGIÙ NON PUÒ CAPIRE COME SI VIVE” “CESSATE IL FUOCO? OK. CESSATE IL TERRORISMO NO?”…


Maria Lombardi per \"Il Messaggero\"

Riccardo Pacifici

La guerra questa volta è più vicina. E\' lì, davanti agli occhi, «vai su Internet e vedi i morti e i feriti. L\'immedesimazione è più forte e anche l\'ansia», Umberto gestisce un locale nel Ghetto di Roma e si collega alla rete appena può. Il pensiero di tutti è altrove, ai parenti, agli amici, ai figli di amici che sono andati a combattere.

Il pensiero è perennemente lontano da Roma, in questi giorni, corre a chi laggiù è in guerra. «Viviamo uno stato d\'angoscia e non potrebbe essere altrimenti. Abbiamo troppi legami», Roberto Cohen, consigliere della comunità ebraica romana, insegue ogni notizia che arriva dal fronte.

La preoccupazione cresce, col passare dei giorni, «perché la situazione non sta migliorando e non si sa come possa evolvere. Gli israeliani sono abituati ad affrontare situazioni del genere, da quel che mi raccontano le città continuano a vivere un\'apparente normalità, il dramma è nelle famiglie».

In quel mondo piccolo così, l\'ansia di una mamma che ha il figlio militare diventa quella di un\'intera comunità. «Speriamo finisca presto, speriamo che si trovi una soluzione, che arrivi una tregua, un armistizio», Cohen sa bene di sperare troppo al momento.

Giuseppe Di Segni

L\'agitazione, certo, l\'apprensione sotterranea che accompagna i gesti di sempre, ma anche una «leggera irritazione», confessa Nando Tagliacozzo, studioso della Shoah. «Lascia un po\' perplessi il modo in cui i media stanno rappresentando questa guerra. Si dimentica che Israele è sotto attacco da mesi, come si può pensare che un paese possa vivere così?

Si invoca il cessate il fuoco, ma non si chiede contemporaneamente ad Hamas di smettere di lanciare i missili. Insomma, quel che passa sempre in secondo piano è che si tratta di una reazione a un attacco, poi si può discutere se la reazione è proporzionata o esagerata. Per noi ebrei l\'atmosfera, in questo momento, non è gradevole».

L\'ingegnere Tagliacozzo è stato un mese fa in Israele, ancora avverte una morsa allo stomaco a ripensare a quei giorni: entri al supermercato e ti controllano la borsa, vai alla stazione e viene di nuovo ispezionato, ogni passo ti senti in pericolo. «Chi non c\'è stato non può rendersi conto di come si vive lì. C\'è una brutta atmosfera - ripete lo studioso - la stessa che c\'era nel 1937 o nel 1938, quando qualcuno diceva \"vogliamo distruggere gli ebrei\" e la gente non ci credeva. Così è oggi, la gente non ci crede.

Ci si dimentica che quelli che lanciano razzi hanno espressamente dichiarato la volontà di distruggere Israele. Ma è come allora, la gente non ci crede. E così si parla solo dell\'eccesso di reazione piuttosto di quello che l\'ha provocato».

Renzo Gattegna

Un timore che riecheggia anche nelle parole di Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, «ci mobiliteremo in ogni sede istituzionale per riaffermare il diritto di Israele ad esistere e a non fare la fine toccata ai nostri nonni 60 anni fa».

Ma questa volta non è come tutte le altre, «questa volta - sostiene Daniela Di Castro, direttrice del museo ebraico romano - anche le persone da sempre pronte ad accusare Israele ammettono che non c\'erano alternative. Noi ebrei siamo abituati a sentire parole ben più dure e ipocrite, stavolta Israele ha ricevuto un sostegno mai avuto». Facile parlare di alternative, quando si è lontani, quando non si vive con la paura dei razzi che possono piovere nelle case. «Chi non è stato laggiù non può capire qual è il palcoscenico di questa tragedia. Una situazione terribile».

Tullia Zevi

Intorno al Ghetto di Roma la sorveglianza delle forze dell\'ordine è aumentata, racconta chi ci vive, e con questa è cresciuta la tensione. «Noi vogliamo la pace», dice il titolare di un negozio di tessuti. «E chi può gioire per la guerra?», due anziani che si scambiano notizie nella piazzetta le hanno conosciute tutte, dalla seconda guerra mondiale in poi, e adesso sono in ansia «perché è difficile parlare al telefono con chi sta in Israele, noi chiediamo ma loro non rispondono, fanno attenzione a tutto quel che dicono». Michele, nel suo negozio, ha raccolto molti attestati di solidarietà, «ma l\'avete mai visto al mondo uno Stato che vince, stravince e poi restituisce tutto?».

Qualche dissenso suscita l\'iniziativa della comunità ebraica romana e dell\'unione delle comunità italiane di raccogliere 300mila euro per i bambini palestinesi e quelli del sud di Israele. «C\'è stata un po\' di polemica - racconta Umberto - non tutti sono d\'accordo, anche se si tratta di una piccola percentuale, non più del 20%. Dicono: non ci sembra giusto sostenere e aiutare chi ci lancia i missili addosso».