ZITTO ZITTO, GENTILONI CI CREDE DAVVERO DI FARE IL PREMIER – SU CONSIGLIO DI MATTARELLA, LA MOSSA PER DISINNESCARE LA VOGLIA DI URNE ANTICIPATE DEL DUCETTO E’ STATA QUELLA DI NON IMBARCARE VERDINI – CON DENIS FUORI, SARA’ PIU’ DIFFICILE PER RENZI FAR FUORI IL GOVERNO COME FATTO CON ENRICO LETTA: FAR CADERE UN ESECUTIVO PD UNA VOLTA VA BENE, MA DUE E’ DIABOLICO


Stefano Folli per la Repubblica

 

RENZI GENTILONI

Il tono vigoroso, anzi perentorio con cui il ministro Calenda è intervenuto sul caso Alitalia dice qualcosa sullo spirito del governo Gentiloni, al di là del malessere che ha imposto una breve pausa al presidente del Consiglio.

 

Allo stesso modo l’attività di Minniti al Viminale è significativa di un modo nuovo di interpretare i temi della sicurezza e i problemi legati all’immigrazione. Non è un caso che il ministro dell’Interno risulti essere il più apprezzato dagli italiani nei sondaggi di questi giorni. Né Minniti né Calenda sembrano voler essere mere ombre cinesi in una compagine destinata a durare al massimo due o tre mesi.

 

mattarella e gentiloni

Come sappiamo, l’attuale ministero, secondo la “vulgata”, altro non sarebbe che un mero non-governo di fine legislatura. Dovrebbe limitarsi a sistemare alcuni pasticci ereditati (in primo luogo il Monte dei Paschi), nonché ad assecondare un rapido accordo sulla legge elettorale. E poi di corsa alle elezioni anticipate, secondo i desideri del leader del Pd, Renzi. Tuttavia non pare che le cose stiano andando in tale direzione.

 

È opinione generale che il mancato referendum sull’articolo 18 abbia allontanato e non certo avvicinato lo scioglimento delle Camere. Per quanto fosse bizzarra e probabilmente autolesionista l’idea di dissolvere il Parlamento pur di evitare un referendum sul lavoro, tali erano in effetti i termini della questione.

 

Ma la Corte Costituzionale ha risolto il dilemma, sia pure con disappunto della Cgil che aveva raccolto, come è noto, oltre tre milioni di firme. E dei due quesiti che sono stati ammessi, almeno uno - quello relativo ai “vouchers” - si presta a un ritocco legislativo tale da rendere inutile il referendum di primavera.

 

gentiloni e renzi

In sostanza, l’ostacolo ora è rimosso e il governo Gentiloni ne guadagna in stabilità. Appare chiaro a questo punto che l’esecutivo non rinuncia ad avere un orizzonte strategico. S’intende, è un orizzonte limitato; se non altro perché alla fine dell’anno la legislatura si esaurisce naturalmente. Ma già oggi siamo al di là dell’ordinaria amministrazione.

 

A parte la crisi bancaria e l’Alitalia, che sono emergenze imposte dalle circostanze e dai ritardi accumulati, è evidente che il ministro dell’Interno si pone degli obiettivi politici. Si coglie lo sforzo di recuperare una parte dell’opinione pubblica che ha voltato le spalle alle forze di governo perché irritata e delusa a causa del lassismo verso gli immigrati. Minniti, con sobrietà ma anche con determinazione, sta cambiando una certa filosofia di fondo. Resta la solidarietà, ma finisce l’eccesso di tolleranza verso chi abusa dell’ospitalità italiana. Si tenta insomma di togliere argomenti alla Lega e un po’ agli stessi seguaci di Grillo. È appunto un obiettivo politico, peraltro ambizioso, e per dare risultati apprezzabili avrebbe bisogno di tempo.

enrico letta matteo renzi campanella

 

Se Gentiloni fosse indotto alle dimissioni all’inizio della primavera, quel lavoro resterebbe incompiuto. Lo stesso accadrebbe in altri campi, dalla giustizia alla pubblica amministrazione. Vero è che al momento il problema dello scioglimento non si pone perché la Consulta non si è ancora pronunciata sulla legge elettorale. Quando lo farà, verso la fine del mese, il Parlamento dovrà armonizzare il modello della Camera con quello del Senato.

 

E i tempi non sono prevedibili. Tuttavia è bene non sottovalutare il dato di fondo: di fronte a una precisa volontà di andare alle elezioni da parte della forza di maggioranza, le obiezioni vengono meno. Tutte tranne una, come ha giustamente osservato Ferruccio de Bortoli. Arriverà il momento in cui Renzi dovrà chiedere o imporre a Gentiloni di dimettersi. E non sarà facile per lui ripetere lo schema con cui tre anni fa defenestrò Enrico Letta.

VERDINI RENZI

 

Un governo del Pd allora, un governo del Pd oggi: entrambi dismessi dal leader di quel partito. Sarebbe stato diverso se il gruppo di Verdini fosse entrato nel governo. Renzi avrebbe avuto a disposizione un’eccellente “clausola di dissolvenza”. Il giorno che avesse deciso, le dimissioni dei verdiniani avrebbero determinato la crisi dell’esecutivo. Ma le cose non sono andate così. Qualcuno ha bagnato le polveri di Verdini e Renzi dovrà “metterci la faccia”.