BORG VS McENROE: I DUELLANTI ROCK! DA UNA PARTE IL GENTILUOMO SVEDESE CHE CAMBIO’ IL GIOCO DEL TENNIS, DALL'ALTRA L’ISTRIONE AMERICANO CHE LO RESE TEATRO: L’EPICA FINALE DEL 1980 A WIMBLEDON ORA DIVENTA UN FILM (PRESENTATO IERI AL FESTIVAL DEL CINEMA DI ZURIGO) - FEDERER: "ERANO MOLTO PIU’ ROCK DI NOI" - VIDEO

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Da gazzetta.it

BORG McENROE 9 BORG McENROE 9

 

C'era anche Roger Federer a Zurigo, alla prima del film "Borg McEnroe", che racconta la rivalità di duo fuoriclasse della racchetta degli anni Ottanta. Il film è diretto da Janus Metz Pedersen, e gli interpreti sono Shia LaBeouf (McEnroe) e Sverrir Gudnason (Borg). Il campione svizzero ha avuto parole di grande ammirazione per i due grandi tennisti

 

 

2. QUANDO ERAVAMO RE

 

Daniele Azzolini per Avvenire

 

M cEnroe era un pazzo, che credeva di essere John McEnroe. Borg al contrario sapeva che per essere davvero Björn Borg poteva recitare solo nei suoi panni. E ne fu presto annoiato.

 

Se mai i poli opposti di uno sport finirono per essere così distanti, attraendosi al punto da ritrovarsi presto amici, provate a considerare l’insolita natura del tennis di quegli anni, che fra molte e variopinte sfaccettature finì per offrire un palcoscenico sperimentale alla recita quotidiana di molti e superbi attori, anch’essi portatori sanissimi di novità e in grado tutti assieme di rendere comprensibili le esasperazioni tecniche e personali dei due che, fra tutti, furono gli autentici innovatori.

 

McEnroe Bjon Borg McEnroe Bjon Borg

Era il tennis degli anni Settanta, intriso di quell’ansia di cambiamento che veniva da vari strati della società e dalle masse giovanili in particolare. 

 

Un tennis da poco professionalizzato (fu del 1968 la dizione Open, aperto a tutti) che cercava le sue strade e affrontava il nuovo senza rinunciare ai gesti antichi, affiancando ai colpi morbidi le prime esagerazioni del top spin, alla strategia la corsa, all’educazione

la rissa.

 

Ma era un modo di azzuffarsi che, con gli occhi di oggi, si rischia di rammentarlo persino gioioso. Borg venne prima e altre antitesi si trovò ad affrontare, in attesa dell’avvento del suo esatto contrario, un tennista che sembrava tagliato per fare tutto in termini esattamente opposti ai suoi.

 

Fu un riformatore, lo svedese, e lo fu per altri versi anche McEnroe. Uno cambiò il gioco. L’altro lo rese teatro. La racchetta pesante come un tortore - impossibile da utilizzare per i tennisti odierni -, Borg imprimeva al gioco rotazioni allora fuori da qualsiasi schema. Lo faceva colpendo la palla nella parte superiore, da maestro del top spin. La sfera subiva un’accelerazione in avanti e un innalzamento della traiettoria, al contempo anticipava la ricaduta. Si disse, a ragione, che Borg aveva allargato il campo da tennis. Una sua pallata sulla riga obbligava l’avversario a retrocedere di quattro metri buoni per recuperarla.

BORG McENROE 7 BORG McENROE 7

 

McEnroe inseguiva ben altri estri, ma tutti proiettati in avanti, verso una rapida soluzione dello scambio. Tocchettava, smistava, accelerava d’improvviso e piombava a rete per volleare con naturale eccentricità, tenendo la racchetta fra le dita come un cucchiaino da tè. Borg diventò il capofila di una generazione sbagliata. Al grido di «vince chi sbaglia meno» il suo tennis gonfiò insieme l’orda degli imitatori e il settore dei tennisti di cui si poteva fare a meno.

 

Presero da lui gli aspetti più difensivi, senza tentare di capire perché mai, un simile e così poderoso palleggiatore, riuscisse con facilità a domare la superficie più infida, l’erba dei Championships (lì Björn vinse cinque volte di seguito), che si diceva nata per i soli attaccanti. Al lato opposto della tecnica, McEnroe fu invece inimitabile. Chi si azzardò ne porta ancora le conseguenze alla schiena e ai legamenti del polso. Quando i due vennero a contatto, ben prima che le finali di Wimbledon avvampassero, McEnroe fu subito in grado di battere Borg.

 

Si era nel 1978 a Stoccolma, Bjorn aveva vinto già due volte Wimbledon e tre il Roland Garros, insieme con altri 33 tornei; Mac aveva 19 anni e si era fatto conoscere nel 1977 scalando i Championships fino alle semifinali, dove si era arreso a Connors scoprendo che poteva esistere, sul campo, uno più antipatico di lui. A dirla tutta, nel percorso compiuto per «sentirsi sempre più McEnroe», John titillò assai di rado le corde dell’antipatia.

 

Poteva riuscire grossolano, strafottente, e dire le cose più impensabili, mai però con quella punta di astio che muove dalle profondità più sulfuree dell’animo. Era il bimbo che è in tutti noi, ma più di noi capace di pessime sortite quando Ego e Realtà prendevano strade diverse. Fu bandito dal Queen’s, il Club della Regina, perché in pochi secondi dette una spiegazione orribile all’anziana signora che chiedeva accesso al campo, sui mille modi per utilizzare una racchetta. Era la moglie del presidente del club, e dama di corte. Ne scaturì un terremoto sui media. Poi venne cancellato dall’elenco dei soci dell’All England Club, il club dei Championships (e riammesso, ma solo più avanti) per aver sentenziato che certo Wimbledon era importante, «ma se fosse stato in Tanzania» lui si sarebbe trovato decisamente meglio. Inutile qui elencare le marachelle, le sfide agli arbitri, le urla con cui McEnroe condì il suo tennis. Più che il Grande Cattivo, o il Grande Antipatico, John fu il Grande Attore del tennis.

BORG McENROE FILM BORG McENROE FILM

 

Gli errori, i momenti di sbandamento, erano sottolineati da espressioni di disgusto verso se stesso, quasi fosse lui l’unico responsabile dei punti ottenuti dall’avversario. Mac sapeva come pretendere rispetto, soprattutto dagli arbitri. Di più, sapeva come influenzarli. Ed era bravissimo a sfruttare a proprio vantaggio le sue stesse sfuriate, rientrando in partita più carico di quando l’aveva lasciata. Borg era distante, solido, concentrato. Ma anche lui in maschera. Dietro la corazza che indossava ogni mattina scorreva sangue caldo. Spesso bollente. Panatta, suo grande amico, lo dipinge come un «matto calmo», e racconta delle infinite volte che lo riportò a braccia in albergo, tramortito da qualche epica bevuta.

 

«Sapevo che la mattina successiva si sarebbe presentato sul campo incapace persino di sudare. Era una macchina». Le due finali a Wimbledon del 1980-81 furono al centro di una disputa finita nel mito. Borg vinse il primo confronto (e il suo quinto Championship) ma non riuscì a impedire a McEnroe di realizzare, anche nella sconfitta, l’impresa della giornata, vincendo al 34° punto il tie break del quarto set, forse il più avvincente mai giocato. Due forme distanti di tennis che si saldarono in un insieme di straordinaria purezza. Borg si vide cancellare, uno a uno, 5 match point. Ma vinse al quinto, perché, disse, «ero ancora convinto di essere il più forte».

mcenroe borg mcenroe borg

 

L’anno dopo quella convinzione non c’era più, e McEnroe si prese tutto. Borg finì battuto anche nella successiva finale degli Us Open e capì che non avrebbe più potuto governare il tennis come avrebbe voluto. La nuova stella era diventata più lucente e attraente della sua. Giocò ancora una stagione, litigando con i padroni del circuito. Accettò anche di passare dalle qualificazioni. Si ritirò nel 1983, e aveva appena 26 anni. Ci riprovò sei anni dopo, e si era ormai perso. Si sposò con Loredana Bertè, e fu un disastro. Ora è un signore dai capelli lunghi e bianchi che sembra aver colto uno dei segreti della vita: starsene tranquillo. McEnroe, alla fine, l’attore l’ha fatto davvero. Non come professione piena, ma come divertimento.

 

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A lungo è stato un venditore d’arte e la sua galleria privata, a New York, aveva una lista d’inviti infinita. Per un anno condusse “The Chair”, un quiz televisivo sulla Abc. Ora commenta il tennis in tv. Ma davanti alla cinepresa vi finì per vie naturali. Due volte nei film di Adam Sandler, poi in altre pellicole di minor successo, come Freak Show di quest’anno. Fu il modello dichiarato di Milos Forman per il suo Amadeus e nel 2008 protagonista di un episodio di Csi New York. Interpretava un folle omicida. «Sembra proprio vero», fu la recensione di quasi tutti i critici.

 

 

bjorn borg john mcenroe bjorn borg john mcenroe

LA SFIDA INFINITA TRA IL GENTILUOMO E IL VILLANO

 

Alessandra De Luca per Avvenire

 

 

Senza alcun dubbio è il match più famoso della storia del tennis quello che vide sfidarsi Bjorn Borg e John McEnroe durante l’epica finale di Wimbledon, nel luglio del 1980. Quel leggendario duello al cardiopalma vinto dal campione svedese è ora raccontato da un film, Borg vs. McEnroe diretto da Janus Metz Pedersen e interpretato da Sverrir Gudnason e Shia LaBeouf nei panni dei due fuoriclasse. Il primo, il re del tennis, ambiva alla sua quinta vittoria consecutiva nel prestigioso torneo, il secondo, astro nascente, sognava di diventare il nuovo numero uno proprio in quella occasione.

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Ma il film, che ha inaugurato ieri la tredicesima edizione del Festival di Zurigo e che in Italia arriverà il 9 novembre distribuito da Lucky Red, non è solo la rievocazione di quello storico avvenimento sportivo, ma una ghiotta occasione per scavare nella vita di due uomini e per scoprire quello che si nasconde oltre la maschera dell’icona. Perché, come dice un altro celebre tennista, Agassi, in un a frase citata all’inizio del film, «ogni match è una vita in miniatura».

bjorn borg john mcenroe bjorn borg john mcenroe

 

 

All’incrocio tra dramma psicologico e thriller sportivo, Borg vs McEnroe si muove avanti indietro nel tempo, con ampi squarci sull’infanzia e l’adolescenza dei due futuri campioni, ognuno impegnato a combattere i propri demoni, il primo in Svezia, il secondo a New York. Quello che tutti chiamano “Iceborg” e che considerano una macchina priva di emozioni, è in realtà un vulcano pronto a esplodere, abile nell’incanalare rabbia e panico in ogni colpo di racchetta. Super Brat invece, come viene soprannominato McEnroe, fischiato dal pubblico per le sue istrioniche scenate all’arbitro e al pubblico, insegue un ideale di perfezione suggerito da un padre assai oppressivo. Il primo si allena meticolosamente, tenta di sottrarsi alle pressioni degli sponsor, testa le sue racchette salendo sulle corde a piedi nudi e osserva un preciso, nevrotico rituale a ogni partita. Il secondo si stordisce di musica rock, gioca a flipper e frequenta party.

 

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Il “gentiluomo” e il “villano”: entrambi vogliono vincere, ma nel tennis importa anche come vinci, per questo secondo alcuni non è uno sport adatto a tutte le classi sociali. Ma quell’incontro cambierà molte cose, nel tennis e nella vita dei due protagonisti. «Se perdo nessuno saprà che ho vinto quattro Wimbledon di seguito, ma tutti ricorderanno che ho fallito nel quinto», teme Borg, cupo e tormentato fino a quando lo vedremo inginocchiarsi sul terreno e baciare per la quinta volta la coppa. McEnroe perde ma è finalmente diventato un uomo e un vero campione.

 

Tra i due è l’inizio di una grande amicizia perché, come dice il regista, «erano due personalità agli antipodi, ma solo tra di loro riuscivano veramente a capirsi. Il nostro obiettivo era quello di raccontare uno straordinario percorso umano dietro la leggenda». Il tennis tornerà anche in chiusura del Festival di Zurigo con il film La guerra dei sessi di Tim Story (nelle nostre sale il 19 ottobre) sulla famosa sfida tra Bobby Riggs, tennista ormai cinquantenne, e Billie Jean King, neo star del tennis femminile.

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