Giancarlo Dotto per Dagospia
Fernando Llorente esulta dopo aver segnato per la Juventus contro il Malmoe
La Roma si è suicidata a Mosca ingigantendo con la lente deformante una squadretta di mezze scamorze che non aveva addosso nemmeno il fiato dei tifosi, la Juventus suda sette camice per spezzare le reni ai volenterosi del Malmoe, che, quando si dice “volenterosi”, è come dire una banda di pippe, che non avendo l’abecedario del calcio la buttano sull’uomo chiamato cavallo, profittando di un campo tutto fango dove c’è solo da sguazzare e zoccolare fino a rarefazione del polmone.
Malmoe-Juventus, in Champions League
Il gol dell’ottimo Llorente e la ciampicata di Tevez arrivano e qualificano di fatto la Juventus agli ottavi (basterà un pareggetto a Torino con i già qualificati madrileni dell’Atletico) ma non cancella il concetto: le italiane, maramalde nei confini, appena vanno oltre si squagliano come topi nel microonde. Si scoprono pollicine e inadeguate. Tornano in Europa con la coda delle gambe e si risvegliano scoprendo di avere Tavecchio presidente. Dimmi che è un incubo! No, tutto vero.
L’Europa è la nostra ferita narcisistica. Ci restituisce alla nostra parrocchia così meschini da non poter più inebriarci con quello che prima sembrava oro colato. Lo sappiamo tutti. Lo diciamo tutti. Il pallone in Italia è malato grave. Ma non abbiamo nemmeno la forza di darci una classe dirigente appena dignitosa.