JAKE LA MOTTA FOR EVER – I PUGNI, LA FAME, LA SCONFITTA CON ROBINSON ("SUGAR RAY NON MI HAI MESSO GIU’"), LE 7 MOGLI, LE SCOMMESSE E LA MAFIA: LA VITA DA OSCAR DI “TORO SCATENATO” SCOMPARSO A 96 ANNI - "IL FILM CON DE NIRO? ME LO RIVEDO OGNI TANTO, SCORSESE E’ UN GENIO. QUELLO ERO IO, AL CENTO PER CENTO" - E DE NIRO GLI RENDE OMAGGIO: "RIPOSA IN PACE, CAMPIONE”- VIDEO

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Enrico Franceschini per la Repubblica

 

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«Sugar Ray, non mi hai messo giù». L' arbitro aveva appena sospeso l' incontro alla tredicesima ripresa, assegnando la vittoria allo sfidante, Sugar Ray Robinson, una leggenda della boxe, per ko tecnico. Lo sconfitto era l' italoamericano Jake La Motta, che perdendo il match perse anche il titolo di campione del mondo dei pesi medi e non lo riprese mai più. Aveva il volto ridotto a una maschera di sangue. Prese così tanti pugni che quella sfida, il 14 febbraio 1951, viene ricordata come "il massacro di San Valentino".

 

Ma non è entrata nel mito per il successo di Robinson. Ci è entrata per la sconfitta di La Motta. Per la sua ostinata resistenza a un avversario chiaramente migliore. Per il suo rifiuto di andare al tappeto. Mentre il vincitore festeggiava nel suo angolo, sentì che qualcuno gli toccava la spalla. Si girò e si trovò di nuovo davanti l' uomo che aveva appena battuto.

Sanguinante. Ma in piedi.

 

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«Sugar Ray, non mi hai messo giù» è diventata un' espressione proverbiale: il simbolo di tutti coloro, nello sport come nella vita, che perdono ma non si arrendono. A renderla una frase celebre, naturalmente, ha contribuito "Toro scatenato", il film del 1980 con Robert De Niro, che vinse l' Oscar per la sua interpretazione, diretto da Martin Scorsese, di cui qualcuno lo giudica il capolavoro.

 

Non è stata un capolavoro la vita di Jake La Motta, morto ieri negli Stati Uniti, a 96 anni, in una casa di riposo. Figlio di un muratore di Messina emigrato senza un soldo negli Usa, cresciuto nel Bronx, il quartiere più tosto di New York, aveva la lotta per la sopravvivenza nel dna. Sul ring era coraggioso e aggressivo, conquistò il titolo contro il grande campione francese Marcel Cerdan, lo difese tra gli altri contro l' italiano Tiberio Mitri, ma in tutto perse 19 dei suoi 106 combattimenti, incluso uno su pressioni della mafia, per questioni di scommesse, come confessò in seguito (contribuendo a fare luce sul lato oscuro della boxe).

 

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Litigò ferocemente con il proprio fratello e manager, accusandolo di andare a letto con sua moglie, anche se poi da vecchi hanno fatto la pace - e di mogli ne ha avute sette. Lasciato lo sport finì a fare il cabarettista in squallidi night-club di Atlantic City, diventando grasso come un pallone; ma poi è dimagrito, ha scritto libri, tra cui l' autobiografia da cui è tratto il film di Scorsese.

 

«Era un uomo dolce, forte, ironico, speciale», ha dichiarato Denise, la settima moglie, annunciandone la scomparsa. «Finalmente sono in Sicilia», disse lui a Lucio Luca di "Repubblica" nel settembre del 2005, visitando per la prima volta la sua terra, «come ho fatto a non venirci prima? ». Il film sulla sua turbolenta esistenza, affermò in quella occasione, gli era piaciuto molto: «Me lo rivedo ogni tanto, penso che Scorsese sia un genio. De Niro? Ero io, in quel film c' era il La Motta originale. Al cento per cento». E De Niro gli rende omaggio: «Riposa in pace, campione».

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La notte della prima, in un cinema di Times Square, a Manhattan, mi capitò di guardarlo insieme a Jake. All' uscita lo avvicinai emozionato e gli dissi: lei è un grand' uomo, mister La Motta. Rimase impassibile: non sembrava tanto convinto della propria grandezza. Ma contro Robinson non andò al tappeto. Sugar Ray non lo mise giù. E la sua epica sconfitta rimane come una lezione per tutti, dentro e fuori dal ring.

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