NEL NOME DI DIEGO. E DELLO SCUDETTO DEL 1987 – 30 ANNI FA IL NAPOLI CONQUISTAVA IL SUO PRIMO TITOLO. QUELLA VITTORIA RESTA SULLA CARTA DI IDENTITA’ DI MOLTISSIMI 30ENNI – 515 I BAMBINI REGISTRATI ALL'ANAGRAFE IN ONORE DEL PIBE: UN PAPÀ ESAGERÒ E CHIAMÒ IL BIMBO “DIEGO ARMANDO MARADONA”, SENZA VIRGOLA – VIDEO

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Angelo Carotenuto per “il Venerdì - la Repubblica”

 

maradona festeggia il primo scudetto del napoli maradona festeggia il primo scudetto del napoli

'O scudetto. Al singolare. I napoletani ne parlano come se fosse esistito solo quello del 10 maggio 1987. Non ne hanno per la verità molti altri da esporre, appena uno, ma dai racconti e dalla memoria collettiva il secondo è semi-espulso. Conta questo. Il primo. Conta la vittoria che fu lavacro di decenni di scorno, la vittoria capace di saziare una volta e forse per sempre la fame di successo. 'O scudetto.

 

Da festeggiare come dio comanda, ieri, oggi e in ogni tempo. I figli dello scudetto stanno per compiere trent' anni. In quel mese di maggio durante il quale si scollava dall' idea ancestrale di essere condannato alla sconfitta, il popolo napoletano crebbe nella stima di sé. Crebbe, e soprattutto si moltiplicò. Avendo avuto in certi passaggi dolorosi della sua storia i figli della guerra e i figli del terremoto, almeno per una volta Napoli si regalò una progenie in tempi di gioia.

festa per il primo scudetto del napoli festa per il primo scudetto del napoli

 

 

Nove mesi dopo il gol di Andrea Carnevale e l' 1-1 decisivo alla penultima giornata di campionato contro la Fiorentina, furono 1.090 i bambini nati in città, 529 i maschi, 46mila in tutta la provincia entro dicembre 1988: tendenza al rialzo rispetto ai tre anni precedenti. Il boom demografico nidificò soprattutto tra Afragola e Boscoreale, tra Arzano e Volla.

Era, quella, una città che a sette anni dal terremoto aveva realizzato il 70 percento del suo programma di ricostruzione. Settemila alloggi dei quattordicimila previsti erano in piedi, cinquemila già abitati, con trentadue istituti scolastici costruiti, sei impianti sportivi e due piscine, poi aperte nel '94 da Bassolino sindaco. Ventiduemila persone erano già residenti nei loro nuovi insediamenti di periferia. E per ogni fiocco azzurro in ballo, ballava il nome che più di ogni altro andava imposto.

 

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Diego. Nei sette anni trascorsi da Maradona a Napoli (1984-1991) sono stati 515 i bambini registrati all' anagrafe del Comune in onore suo. Dodici papà si concessero il lavoro completo, spingendosi fino ad avere in casa un bimbo di nome Diego Armando. Uno è riuscito a superarli tutti. Antonio Mollica uscì dall' ospedale di Torre Annunziata avendo in tasca un patto stretto con sua moglie. Il nome di Diego aveva battuto quelli di Roberto e Christian. «Quando mio padre tornò dal Comune, disse che aveva apportato una piccola modifica».

 

 

Il figlio del signor Antonio di nome fa Diego Armando Maradona. «Senza virgola, e dunque su ogni documento» racconta da Boscoreale, dove è titolare della pizzeria Il Vulcano «il mio nome va scritto per intero». Diego Armando Maradona Mollica ha trascorso i suoi 30 anni a raccontare e a spiegare. «In banca, in ogni contatto con le forze dell' ordine, a scuola. Ogni volta che ho cambiato una maestra o un professore, ho dovuto ripetere la storia di questa bizzarria voluta da mio padre per il tifo». Sarà pure per questo che il suo, di tifo, è assai più blando. «Ho avuto lavori che mi hanno impedito di andare spesso allo stadio. Ma in un programma tv, dieci anni fa, ho conosciuto Maradona».

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Per chi l' ha visto e per chi non c' era, andrebbe ricordato che in quei giorni di maggio 1987, Napoli si divertiva fino in fondo a recitare la parte di se stessa, raccontandosi come il resto d' Italia pretende tuttora che essa si racconti, con una buona dose di cliché, e figliando dopo furiosi amplessi con la retorica una serie di fattarelli memorabili. Gli inviati dell' epoca calarono in città per raccontare da un lato il revanscismo di massa, dall' altro il dotto disquisire dell' intellighenzia sul significato profondo da attribuire a quel triangolino verde bianco e rosso. In mezzo, un fiorire di vicende che se non vere, bastava fossero verosimili. E così ai posteri sono stati consegnati: uno striscione da 12mila metri quadri cucito da venti sarti; una sfilata di ciucci che dalla città dovevano arrivare in cima al Vesuvio; una mongolfiera azzurra in viaggio da piazza Plebiscito verso il Vomero; un drago di cartapesta di venti metri, animato da cento persone con la testa di Maradona; la statua di san Gennaro a cui in largo Donnaregina erano state mozzate le dita della mano affinché restassero solo l' indice e il medio, nell' universale segno della vittoria.

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Di contorno: femminielli che dai Quartieri spagnoli calavano verso la città vestiti da ballerine brasiliane, tonnellate di pizze preparate e distribuite gratis al popolo tifoso e ovviamente, signore e signori, i numeri per l' ambo. Gli inviati giunti dal nord riferivano di file ai banchetti del lotto per puntare sul 61 (gli anni di attesa prima di vincere) e il 43.

 

Ora, bisogna sapere che il 43 era il numero con cui all' epoca venne iscritto Maradona tra i fogli della Smorfia. Quarantatré era infatti la somma di 42 - il giocatore di pallone - e il numero 1, cioè dio, perché Diego era "'nu ddio 'e jucatore". Successe che sei giorni dopo lo scudetto, il 16 maggio 1987, uscì sulla ruota di Napoli, proprio l' ambo 43 e 61. E allora, agli inviati, che cosa gli vuoi dire?

 

Nel suo romanzo Tre terroni a zonzo (Sperling & Kupfer, 2013), lo scrittore Antonio Menna racconta la storia di tre venticinquenni - dunque tre napoletanini concepiti in quelle notti di maggio - neolaureati, dinanzi al dilemma: andarsene o restare? «Alla fine chi decide di rimanere è uno dei tre, e si chiama proprio Diego Armando Russo. Si sente imbrigliato dalla città, ma ha più resilienza.

 

Alla fine, chi se ne va, vive pagando il prezzo della ferita della distanza. Non mi appassionano i localismi. Credo che se il calcio è metafora di come si sta al mondo, è necessario che sia critico pure l' amore per la propria squadra di calcio. Non ci farebbe male».

 

Nella Napoli che teneva insieme falsi invalidi e aziende produttrici di pezzi per la Nasa, anche il capotifoso della curva B offrì al mondo un erede e lo chiamò Diego Armando. «Ho scoperto il motivo con il tempo» racconta lui «e lo considero un privilegio». Gennaro Montuori, in arte "Palummella" aveva già chiesto a Maradona e sua moglie Claudia di fare da padrini al battesimo della primogenita.

 

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«Chiamare il maschio come lui fu un atto d' amore, anche se oggi Diego vive Napoli solo a parole. Quando viene, scappa. Non vinse da solo. Aveva dietro una squadra e una città». Diego Armando Montuori ha provato a fare il calciatore. Un centinaio di gol da attaccante nelle giovanili del Napoli. Scherza: «Per me più che il nome ha pesato il cognome». Era pur sempre il figlio di "Palummella". A un compleanno del padre, Maradona volle baciarlo sulle labbra. In bocca, come dice lui. «Avrei preferito chiamarmi Pincopallino ma essere già nato in quel 1987, anziché chiamarmi come mi chiamo e non aver vissuto lo scudetto».

festa per il primo scudetto del napoli festa per il primo scudetto del napoli

 

Si chiama Diego Armando pure il vero figlio napoletano che solo da poco Maradona ha abbracciato. Diego Armando è anche il figlio di Pasquale Contento, emigrato in Germania con l' idea che il suo bimbo sarebbe stato un calciatore, e infatti oggi bello cresciuto gioca in Francia, nel Bordeaux.

 

In quel maggio '87 su Repubblica Rosellina Balbi scrisse che lo scudetto era «come aver messo piede in teatro, per chi finora s' era dovuto contentare di guardare quelli che vi entravano. Un momento di felicità regalato a tanti napoletani: sia quelli che vivono nella loro terra, sia quelli costretti ad andare in giro per il mondo e che per un giorno si riappropriano della loro comune identità».

 

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Glielo aveva portato per giunta un argentino uguale a loro, nel bene e nel male. E lui felice di essere uguale tra gli uguali, in un posto che non aveva la pretesa di ripulirlo. «Sono figlio di Napoli» diceva il Diego Armando capostipite. Figlio di una città dove negli ultimi anni, per il solito vizio, cinquantuno bambini sono stati chiamati Marek. Come il nuovo capitano, Hamsik. Ma 'o scudetto resta sempre uno, è sempre quello là.

 

festa per il primo scudetto del napoli il gol di carnevale alla fiorentina festa per il primo scudetto del napoli il gol di carnevale alla fiorentina

 

 

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