RADIO CUCCHI MEMORIES - IL CONSIGLIO DI AMERI PER INIZIARE UNA CRONACA ("VAI IN BAGNO PERCHÉ POI NON AVRAI PIÙ TEMPO"), IL TIFO PER LA LAZIO, LA FINALE MONDIALE (“DOPO I RIGORI HO VAGATO PER BERLINO TUTTA LA NOTTE”), LE NUOVE DOMENICHE DA PENSIONATO: “NON GUARDERÒ LE PARTITE IN TV, RESTO FEDELE ALLA RADIO” - VIDEO

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Tommaso Pellizzari per Il Corriere della Sera

 

CUCCHI CUCCHI

Le interviste vengono meglio se fatte di persona. A meno che l' intervistato non sia Riccardo Cucchi. Cioè l' uomo che dal 1982 (Campobasso-Fiorentina di Coppa Italia) fino al 12 febbraio 2017 ha raccontato dai microfoni di RadioRai calcio di ogni competizione.

 

Sentirlo al telefono è quindi al tempo stesso straniante (quanto può esserlo una conversazione con una voce a dir poco familiare che però di solito non interloquisce con te) e tranquillizzante, perché è come ascoltare una radiocronaca, ma personalizzata. Quello che cambia è l' argomento: da una diretta di una partita a una retrospettiva su una carriera. E sul primo mese di pensione.

 

Durante un' interruzione della sua carriera, Helenio Herrera una domenica pomeriggio andò con la moglie a fare una passeggiata per Venezia. E restò sconvolto: «I negozi sono tutti chiusi!». Avendo lavorato sempre la domenica, non ne aveva idea. È successo anche a lei, nella sua prima domenica da pensionato?

«No, ma quasi. Dopo aver ascoltato "Tutto il calcio", io e mia moglie siamo andati a fare un giro nel centro di Roma. E sono rimasto molto colpito dalla bellezza della domenica, con tutte le persone in giro. Dopo una vita di calcio, stadi e aeroporti, ho scoperto di avere un sacco di cose da recuperare».

 

STRISCIONE CUCCHI STRISCIONE CUCCHI

Tipo?

«Il violino. L' ho ripreso in mano ed è stato un disastro assoluto».

 

Come mai il violino?

«Mio nonno paterno Piero era direttore d' orchestra al Regio di Torino. D' estate andavo là in vacanza. Ho cominciato così».

 

 

ENRICO AMERI ENRICO AMERI

Sembra di capire che, comunque, ora che è libero, le partite continua a seguirle alla radio, invece che alla tv.

«Quelle della domenica pomeriggio rigorosamente alla radio. Voglio tornare a essere solo un ascoltatore, anche se ci sono colleghi che mi chiamano per sapere come sono andati. Ma non mi permetto di giudicare.

 

E nemmeno lo voglio: mi è rimasto solo il piacere di ascoltare, tornando il bambino nato nel 1952 e che quindi ha ascoltato "Tutto il calcio minuto per minuto" fin dalla sua prima puntata, nel 1960. E quando suo padre gli regalò un registratore Geloso, si produceva in finte radiocronache con giocatori veri, scelti tra le figurine».

 

E non ha la tentazione di andare a vedere la sua amata (ora si può dire) Lazio?

«Certo che ce l' ho. Ma fra i tifosi. Sono curioso di sentire che effetto mi fa la partita senza la mia voce sopra, riassaporando il sapore del pubblico, dei suoi rumori e del suo silenzio».

 

A proposito: è complicato fare la cronaca di una partita della squadra per cui si tifa?

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«Posso solo dire che Gianmarco Calleri, presidente della Lazio a cavallo tra gli anni 80 e i 90 una volta chiamò il mio capo di allora, Mario Giobbe e gli disse: "La smetti di mandarmi radiocronisti tifosi della Roma?"».

 

Complimenti...

 

SANDRO CIOTTI ENRICO AMERI SANDRO CIOTTI ENRICO AMERI

«Da ragazzo io andavo in trasferta coi torpedoni della Lazio. Nel 1974 ero in curva quando vincemmo lo scudetto grazie al rigore di Chinaglia contro il Foggia. Ovviamente, avevo la mia radiolina all' orecchio, dalla quale sentivo Ameri gridare "Lazio campione d' Italia!" e mi dicevo "Chissà se un giorno una cosa del genere capiterà anche a me". Nel 2000 mi è successo... Ma nel frattempo avevo imparato che quando fai questo lavoro impari ad apprezzare tutti e a rispettare la passione di chi ascolta. In una partita ci sono la gioia e la delusione: tutti i tifosi devono poter godere le loro emozioni attraverso di te. Ho gioito per tutti gli scudetti, dico davvero: compreso quello della Roma nel 2001. Anche se so che non mi crede nessuno».

 

 

A vedere com' è finita la sua carriera, si poteva pensare che fosse tifoso dell' Inter...

«E invece no. Il caso ha voluto che la mia ultima partita sia stata Inter-Empoli. Ma non mi aspettavo né l' applauso di tutto lo stadio né lo striscione di saluto degli ultrà ("A te il nostro applauso per averci emozionato davvero in un mondo finto", ndr) né di vedere sul tabellone i gol di Milito nella finale di Champions 2010, raccontati dalla mia voce: cosa che per me è stata una prima assoluta. Ho fatto fatica a non commuovermi».

 

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Anche il Mondiale 2006 non dev' essere stato un' emozione da poco.

«Chi se lo immaginava, prima, che l' Italia sarebbe potuta andare anche solo in finale. Ancora adesso ho i brividi a ripensare che ho avuto lo stesso onore toccato a Nicolò Carosio nel 1934 e '38 e a Martellini nel 1982. Mi ricordo che ero così pieno di adrenalina che ho vagato tutta la notte a piedi per Berlino».

Ha ripetuto 4 volte «campioni del mondo», come Martellini.

«Mi ero preparato delle cose. Ma poi decisi che non era il caso di avere pronte due versioni, per la vittoria o per la sconfitta. Mi dissi: "Andrò come mi viene". E mi è venuto spontaneo fare così. Magari è stato banale, ma Martellini (che tra l' altro veniva dalla radio) era stato straordinario. Mi sembrò coerente, per quanto non pianificato, citarlo omaggiandolo».

 

A proposito di grandi maestri. Alla «Gazzetta» lei ha raccontato della risposta di Enrico Ameri quando gli chiese un consiglio su come iniziare una radiocronaca.

«Mi disse: "Vai in bagno perché poi non avrai più tempo". Ero entrato in Rai per concorso nel 1979. Avevo fatto un lungo corso di formazione: il nostro maestro di dizione era un certo Arnoldo Foà. Poi era iniziato un lungo periodo di affiancamento. Dovevamo stare al fianco di Ameri e Ciotti. Muti. E guardare come lavoravano. Al massimo tenevamo il conto dei corner.

 

Col terrore di sbagliare. Avevo 27 anni, quella frase di Ameri fu in realtà il suo modo di dirmi di stare calmo. E comunque fu un consiglio fondamentale: che ho seguito sempre, verificando ogni volta quanto avesse ragione...».

Oggi il «Vecchio Maestro» è diventato lei.

Per il critico televisivo del «Corriere» Aldo Grasso i telecronisti di oggi parlano troppo, ovvero fanno una cronaca troppo radiofonica.

chinaglia chinaglia

 

È d' accordo?

«Posso rispondere con una domanda affettuosamente provocatoria?».

Prego.

«Non è che i telecronisti di oggi fanno così perché, in fondo, sanno che la radio è più emozionante? Io spero di sì...».

 

Si dice Sanetti o Zanetti? Big-h-lia o Biglia?

«Ma Zanetti e Biglia, tutta la vita!».

 

Però anche la radiocronaca ha dovuto cambiare. In che modo?

«Primo, sulla valutazione della decisione arbitrale, tipo è rigore sì o no. Una volta bastava dire "Lo Bello decreta il rigore", l' ascoltatore non ci chiedeva il giudizio sulla decisione dell' arbitro. Oggi, invece, noi dobbiamo essere in grado anche di dare un giudizio sulla decisione dell' arbitro. Un giudizio che non sia tassativo (perché può sempre arrivare un' immagine che smentisce tutto), ma attendibile, chiaro, fedele e leale. Il secondo cambiamento riguarda lo stile della radiocronaca. Raccontare un' azione dell' Inter di Herrera era facile: il contropiede, azione rapida e veloce, si racconta quasi da solo. Ma se in campo c' è il Barcellona di Guardiola, che in 6-8 minuti tocca il pallone 40 volte nello spazio di 20 metri, la cosa si fa molto più complessa».

 

E quindi?

RICCARDO CUCCHI RICCARDO CUCCHI

«Quindi mi allenavo: accendevo la tv su una partita del Barça, abbassavo il volume e facevo io la cronaca di quello che vedevo».

 

Oggi i materiali a disposizione sono tantissimi, soprattutto quelli statistici. Quanto bisogna usarli (o quanto non abusarne)?

«Resto dell' idea che non dobbiamo citare troppi dati. Meglio avere pochi appunti e raccontare molto. Anche perché si corre un rischio».

 

Quale?

«Di abbassare lo sguardo sui fogli mentre la palla è in gioco, perdendo qualcosa di fondamentale. Quindi: gli appunti vanno guardati solo a palla ferma».

 

È la sua regola n. 1?

«No, la mia regola n. 1 è "raccontare sempre dov' è la palla": se non lo fai, impedisci all' ascoltatore di ricostruire quello che sta succedendo. Locuzioni come "tiro sotto misura" di Ciotti, cioè da vicino, sono fondamentali. Bisogna sempre dire se la palla è nella zona di centrocampo o se un tiro viene effettuato da 25 metri. Solo così si aiuta a visualizzare il pallone».

 

Oltre al tiro «sotto misura», cosa ha imparato da Ciotti?

«Sono laureato in Lettere moderne, feci la tesi con Walter Pedullà, sulla "Voce" di Prezzolini e Papini. La letteratura dei primi del '900 italiano è la mia passione».

Un giro lungo per arrivare a Ciotti...

«Tutti studi che mi sono stati utilissimi per una cosa che mi disse Sandro: "Portati sulle spalle uno zaino ideale che contenga tutti i vocaboli di scorta"».

 

RICCARDO CUCCHI RICCARDO CUCCHI

E questi sono i consigli da trasmettere ai Riccardo Cucchi di domani. Il suo consiglio al calcio, invece?

«Non dimenticare mai che, pur essendo una grande industria, non produce macchine o cioccolatini ma passione. Quindi il tifoso va trattato da appassionato, non da cliente. I dirigenti (italiani, cinesi o di qualsiasi Paese siano) sappiano che maneggiano cose come il tifoso che piange perché Totti segna 2 gol in 3 minuti. È di questo che stiamo parlando».

 

 

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