Giancarlo Dotto per Dagospia
Mancavano dieci secondi. Parlare di beffa è troppo poco. Roma già sicura d’avercela fatta e ultima palla gestita oscenamente da uno Strootman ancora legittimo convalescente. Choc assoluto. De Santis ha il rigore del baccalà e non arriva a deviare quella cosa che vale oro, la qualificazione anticipata.
Con la scusa del concerto di David Gray, sono finito in treno a Zurigo arrampicandomi lungo il Gottardo a vedere la Roma russa non da fazioso, ma da neutrale. Partita glaciale là e qua. Più là che qua. Freddo e vuoto. Un pianeta sconosciuto. Si sente solo la voce di quel pazzo di De Santis, che evoca corpi e fantasmi.
La palla rimbalza ubriaca. Il cosiddetto manto verde sembra la pelle di un lebbroso, attaccata con lo sputo, e i giocatori sembrano fumetti, bocche che buttano ossigeno e azoto. Ritmi lenti, calcio da frigidaire. La Roma tiene palla ma non trova varchi.
Quelli del Cska si adeguano e aspettano per fare male in contropiede, terrorizzati senza motivo da Gervinho, che invece non esiste, è rimasto al sole della Costa D’Avorio. Si gioca da fermo e da fermo non può che arrivare la saetta del fuoriclasse alias Totti.
Meraviglioso Florenzi a procurarsi la punizione e comunque giocatore ubiquo e generoso come un alpino. Nainggo e Ljajic sprecano nel secondo tempo e di solito il calcio ti punisce. Lo fa anche stavolta, nel modo più crudele, e Zurigo sembra più buia.