VE LO RICORDATE? HA PERSO UNA CHAMPIONS GIA’ VINTA E UNA FINALE MONDIALE MA HA VINTO DIVERSI TORNEI DI POKER – LEGGEVA “LA REPUBBLICA” NELLA “CASA” DEL LEADER DEL CENTRODESTRA, HA GIRATO UN FILM ACCOLTO MALE NEL MONDO DEL CALCIO, SI E’ PRESO DELLO STRON*O DA VIEIRA E A MILANO E’ STATO SCAMBIATO PER UN ACCATTONE – DI CHI SI TRATTA?

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Francesco Persili per Dagospia

 

“Sei un grande campione, Dhorasoo, sei un grande campione…”. Milanello, esterno giorno. “Un tizio abbronzato, con il sorriso ultrawhite e la bandana in testa” se ne va in bici in giro per il centro sportivo e dispensa elogi a un centrocampista francese di sinistra che gira con “La Repubblica” sottobraccio.

 

Il "tizio" è Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio italiano e proprietario del Milan. Quel calciatore intellò, Vikash Dhorasoo, è un francese di seconda generazione cresciuto a Le Havre tra effluvi di curry, fritture e furori anticapitalisti e “lusingato” dal ricevere quel genere di complimenti. “Volevo giocare a calcio, anche se questo avrebbe potuto portarmi ad avere a che fare con uomini che la mia morale disapprova o con cui non ho nulla da spartire. Avrei giocato anche per la setta di Moon in Corea del Sud o per Berlusconi. Avrei potuto, sì. Meglio ancora: l’ho fatto”, scrive nel libro “Con il piede giusto” (66thand2nd, 147 pagine).

BERLUSCONI BANDANA BERLUSCONI BANDANA

 

Il racconto fuori dagli schemi di “un radical chic” prestato al mondo del pallone, il viaggio non convenzionale dell’ultimogenito di una famiglia di mauriziani che a Le Havre da piccolo si tuffava nel fango per imitare le parate di Rinat Dasaev, “il portiere con le ginocchiere dell’Unione Sovietica uscito direttamente da un episodio di “Holly e Benji”, e a Milano fu scambiato da un fioraio per un accattone: “Sarei potuto diventare campione del mondo nel 2006. Bastava che Domenech mi avesse fatto giocare. Perché io le finali che gioco non le perdo”. E invece l’Italia vince ai rigori.

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Il cielo è azzurro sopra Berlino e a lui non resta che far partire la sua Super 8 nello spogliatoio per “filmare i suoi piedi”, secondo la versione al veleno dell’ex ct francese: “Non è vero. Ero in un film, il mio film. Ho acceso la videocamera e fatto il giro dello spogliatoio.Trezeguet, Domenech che discute con il presidente Chirac e Vieira che mi dava dello stronzo. Ho ripercorso il corridoio in senso inverso, dagli spogliatoi al pullman. ‘Substitute’, il mio film, era finito…”.

 

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Se dovesse tornare indietro, giura che non lo rifarebbe: “La pellicola è stata accolta male nel mondo del calcio. Ho realmente disputato una Coppa del Mondo eppure nell’inconscio collettivo sono ancora un sostituto che ha tradito l’intimità della nazionale francese”. Un tifoso un giorno gli chiese: “Ma tu chi sei? Ti credi Zizou?” “No, non mi credo Zidane ma Vikash Dhorasoo". Avete capito il tipo?

 

SILVIO BERLUSCONI CON LA BANDANA IN SARDEGNA SILVIO BERLUSCONI CON LA BANDANA IN SARDEGNA

Uno che quando ha appeso gli scarpini al chiodo ha continuato a giocare. A poker. Ha vinto dei tornei, molti soldi e una battaglia estenuante con il Fisco francese. Dopo aver intascato quasi mezzo milione di euro di premi è stato denunciato per non aver dichiarato quei denari all’Erario ma dopo un lungo contenzioso è riuscito a far prevalere le sue ragioni.

 

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Il gioco resta un elemento centrale della sua vita. “Significa concedersi una libertà, astrarsi volontariamente dal reale, rimettere in discussione gli obblighi e immaginarsi un mondo dove stare”. Un giorno chiese a Ancelotti cosa avrebbe scelto tra un film e una partita di calcio e il tecnico del Napoli, senza esitare, rispose: “La partita, perché il calcio è irripetibile”. Il poker invece “riempie o svuota il tuo conto corrente. Al di là di quello? Non granché che sia rivolto verso gli altri”.

 

E quindi Dhorasoo ha smesso con le carte. Nel calcio invece è diverso. Passare la palla a qualcun altro significa creare un legame, fare comunità. “Stare con gli altri, giocare con gli altri”. La sua sfida: il movimento Tatane per un calcio "gioioso e sostenibile". La sua utopia: vedere se la sua filosofia di gioco, e di vita, si adatta al mondo di oggi. Se può servire, può ricordare Ancelotti e quella volta che perdonò Kaladze dopo un vaffa, parlare di quel tizio “abbronzato, con il sorriso ultrawhite e la bandana in testa” e raccontare di quei giorni a Milanello in cui imparò la bellezza e il valore del gioco di squadra.

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