"ARS 17"! COSÌ IL VIRTUALE INGANNA IL CERVELLO A COLPI DI CLIC: A HELSINKI (E ONLINE) UNA MOSTRA-MANIFESTO SULL’ERA DIGITALE: IL FASCINO IN SILICONE E PIXEL, FUNZIONA ECCOME, PECCATO CHE ALTERI LE NOSTRE REAZIONI - L'ESPERIMENTO DELL'ATTORE SHIA LABEOUF - VIDEO -

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Giulia Zonca per la Stampa

 

ARS 17 ARS 17

Sono le sedie a sdraio nella stanza virtuale che fregano, perché quell' invito a mettersi comodi arriva dritto da una realtà parallela: la sirena contemporanea. Ma quando sei lì, comodamente sistemato e parte la videoinstallazione Factory of the Sun è come se ti stessi rilassando sui chiodi.

 

 

È il contorto, seducente richiamo dell' era digitale e il concetto ci è ormai familiare, ma Helsinki mette in mostra gli effetti collaterali e l' arte sa sbatterti in faccia le verità nascoste. «Ars '17» è un manifesto generazionale, una di queste esposizioni che vivono dentro il museo e dentro il computer che a volte hanno il potere di confondere le idee a forza di clic, solo che nelle stanze asettiche del museo Kiasma, in Finlandia, esce chiaro e prepotente il concetto: il fascino in silicone e pixel, funziona eccome, peccato che alteri le nostre reazioni.

 

Per qualcuno è solo un fremito, per altri un cambio radicale, dipende, e come sempre gli effetti sono molteplici e di diversa natura: da un lato si allarga l' orizzonte e dall' altro si attutisce il coinvolgimento. Individuare il confine tra la libertà da sfruttare e i rischi da evitare è quasi impossibile e terribilmente soggettivo .

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Generazionale Il cervello si riprogramma, siamo noi che inseriamo codici in cifre, quelle strisce di numeri che, come Matrix ci ha insegnato, producono soggetti tridimensionali, vite verosimili, situazioni con cui interagire e che Juha Van Ingen addolcisce con istruzioni messe lì per risvegliare i sorrisi seppelliti dall' informatica.

 

Ed Atkins Ed Atkins

Succede in Aslap , una rigida sequenza che invita sorniona a invertire la rotta. Con una sola lettera sposta il ritmo frenetico del «As soon as possible», prima possibile, sull' impostazione «As long as possible», più a lungo possibile ed è un suggerimento. Essere obbligati a godersi la vita con un comando, uno di quelli utili che spesso dimentichiamo di usare. La vita filtra così, via app: sblocca il telefono, cambia la sim, gesti quotidiani codificati in comportamenti.

 

Facile dire «basta», più efficace inserire l' opzione «rallenta». Ci prova l' attore Shia La Beouf: per un mese vivrà isolato in un capanno in Lapponia e collegato al mondo proprio attraverso la copia di quello stesso capanno piazzato al centro del Kiasma. I visitatori entrano e comunicano con lui che forse impazzirebbe senza un contatto umano, che deve sperare in interlocutori remoti, che si aggiorna grazie a degli sconosciuti. Ripulisce la mente dall' inquinamento urbano e mette alla prova il concetto di solitudine nel millennio della connessione.

 

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Il fascino si fa più pericoloso davanti ai videogame alterati che popolano «Ars' 17», in tanti hanno scelto di raccontare il logorio dei freni inibitori via playstation. Survivor è popolato di creature che sembrano uscite da Avatar, con le lentiggini argentate, la pelle traslucida, gli occhi enormi.

 

Ragazzini trasformati in mostriciattoli che si muovono per la supremazia del territorio: un regno minimo, limitato al controllo di una stanza, al possesso di uno spazio, uno contro l' altro nell' esaltazione della proprietà privata che ha la tendenza a estendersi. Conta solo ciò che è definito come personale, a uso privato, il resto è terra di nessuno e si può rovinare, inquinare, sprecare. Lo spazio comune come un orrore che divide il tuo dal mio.

 

Nulla si distrugge Il digitale non si guasta, si ricompone. Riparte magicamente da zero e ti induce a credere che anche nel mondo reale esista il pulsante per ripartire da capo.

 

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Sembra un eccesso, deriva per persone senza controllo però arriva la sala con le sdraio e la storia è più pericolosa della simulazione di un gioco. Factory of the Sun , inaugurata alla Biennale di Venezia 2015, parla di surreali impiegati della luce che raccolgono energia ballando. Somiglia a un programma di aerobica che poi si mescola a «fake news» confezionate come quelle vere: gli aggiornamenti che scorrono, le interviste, la linea allo studio e di nuovo il ritmo della musica e i passi sincopati, le tutine dorate.

 

Non si capisce se è il caso di ballare o preoccuparsi. La trama non conta, pesa il messaggio: «È come un videogame ma non puoi giocare». I movimenti sembrerebbero dettati da un comando esterno eppure sulle sdraio non ci sono pulsanti, solo abbandono. Non esiste il bottone «ricomincia»: puoi scappare o restare e alla fine non fa tutta questa differenza una volta dentro quella dimensione. Il video degenera, la gente spara, la stanza è una scatola blu divisa in volumi rettangolari, l' uscita neanche si vede. Magari nemmeno esiste più. Le teste di Ed Atkins che rotolano lungo le scale e i manichini di Anna Uddemberg che provano a volare incollati a una valigia danno l' idea. E quando torni all' aria aperta il dubbio che qualcosa sia andato a male davvero esiste.

 

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