ARTE DEGENERATA - IL MUSEO DI BERNA DICE SÌ AL TESORO NAZISTA: TRA I 1200 CAPOLAVORI DELLA COLLEZIONE GURLITT ANCHE MATISSE E PICASSO - LE OPERE SEQUESTRATE DAL TERZO REICH ALLE FAMIGLIE EBREE RESTERANNO IN GERMANIA FINO A QUANDO NON SARANNO IDENTIFICATI I LEGITTIMI PROPRIETARI

Il discusso patrimonio da oltre un miliardo di euro va in Svizzera, secondo le volontà del mercante d’arte di Hitler Gurlitt - I nazisti non riuscirono a mettere le mani sulle opere del Louvre - Fu Jacques Jaujard, lo Schindler dell’arte, a salvare la Gioconda e migliaia di capolavori che furono nascosti in luoghi segreti durante la guerra...

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1. IL MUSEO DI BERNA DICE SÌ AL TESORO NAZISTA

Tonia Mastrobuoni per “la Stampa

 

ritratto con signora matisse ritratto con signora matisse

«È stata una decisione tutt’altro che facile». E in ogni caso «l’arte trafugata o sospettata di essere trafugata non toccherà mai il suolo svizzero». Il presidente del Kunstmuseum di Berna, Christoph Schäublin, ha comunicato ieri in un’attesissima conferenza stampa che accetterà il discusso patrimonio da oltre un miliardo di euro del «mercante d’arte di Hitler», Hildebrand Gurlitt. Un tesoro che il figlio Cornelius era riuscito a nascondere al mondo per quasi 70 anni, dopo che il padre aveva sostenuto che fosse stato distrutto nei bombardamenti di Dresda, e che è stato scoperto nel 2012, assolutamente per caso.
 

Ma la più incredibile saga dell’arte contemporanea degli ultimi anni non finisce qui: se gli svizzeri hanno accettato di prendersi un patrimonio così contestato - Hildebrand Gurlitt era anche in possesso di centinaia di opere trafugate agli ebrei o classificate dai nazisti come «entartet», «degenerate» - è perché la Germania si è incaricata di trovare i legittimi proprietari delle opere di origine dubbia. 
 

Inoltre, sulla decisione del museo d’arte di Berna pesa il ricorso annunciato venerdì scorso dalla cugina di Cornelius, Uta Werner, che chiede che il testamento venga impugnato, sostenendo che sia stato scritto in un momento in cui il cugino non era più capace di intendere e di volere. Il fratello Dietrich, invece, ha fatto sapere di ritenere le ultime volontà di Cornelius legittime e si è chiamato fuori dal tentativo della sorella di accaparrarsi l’immensa eredità del cugino. Werner è di origine ebraica e ha promesso che, nel caso i giudici le dessero ragione, restituirebbe le opere di incerta provenienza ai legittimi proprietari.
 

museo berna museo berna

La richiesta della Werner è un colpo di scena, ma è solo l’ennesimo dopo il ritrovamento del tesoro nel 2012. Allora la polizia aveva fatto irruzione nella casa di un vecchietto trovato qualche mese prima con 9 mila euro cuciti nella giacca, su un treno proveniente dalla Svizzera. 
 

Entrando nella casa di Cornelius Gurlitt, a Monaco, i poliziotti avevano rinvenuto oltre 1200 capolavori di Matisse, Picasso, Monet, Klee e altri grandi della pittura, ma anche montagne di immondizia. Gurlitt viveva ai limiti dell’indigenza: vendeva quadri per mangiare e curarsi dai malanni e faceva spola tra l’appartamento di Monaco e un altra casa a Salisburgo, dove gli inquirenti hanno trovato altre centinaia di opere che erano state date per disperse nei roghi di Dresda.
 

Quando Gurlitt è morto a 81 anni, a maggio, anche il suo testamento ha riacceso le polemiche. Già dal momento del ritrovamento del suo patrimonio aveva fatto discutere la sua - iniziale - indisponibilità a restituire persino i quadri sicuramente rubati dai nazisti ad ebrei - uno dei più famosi è il «Ritratto di signora» di Matisse, appartenuto alla famiglia di Anne Sinclair, ex moglie di Dominique Strauss-Kahn. Solo negli ultimi tempi aveva acconsentito a farle tornare alle famiglie a cui erano state scippate. Ma nel testamento, ultima puntura di veleno nei confronti dei connazionali, ha deciso di sottrarre alla Germania il suo tesoro, donandolo alla Svizzera.

 

gioconda gioconda

2. COSÌ IL LOUVRE SFILÒ A HITLER MONNA LISA

Vittorio Sabadin per “la Stampa

 

Il 25 agosto 1939, sei giorni prima dello scoppio della II Guerra Mondiale, un eroe dimenticato che si chiamava Jacques Jaujard fece appendere un cartello all’ingresso del Louvre, avvisando i visitatori che il museo sarebbe rimasto chiuso per alcuni giorni a causa di lavori urgenti.

 

Subito dopo avere sbarrato i portoni, decine di uscieri, guide, impiegati, e professori e studenti dell’Accademia diedero inizio in segreto alla più grande operazione di salvataggio dei maggiori capolavori dell’arte, minacciati dal sicuro arrivo dei nazisti e dalle bombe che presto sarebbero cadute su Parigi. In pochi giorni, 3690 dipinti furono staccati dai muri e imballati in 1862 casse bianche. Le statue vennero imbottiture prima di essere caricate sui camion. Dal Louvre partirono 203 veicoli, in 37 convogli diretti verso i castelli della Loira o anonimi paesi di campagna, lontani dagli obiettivi di Hitler.

 

Nessuno aveva ordinato a Jaujard di organizzare questa operazione. Lo decise da solo, convinto che non c’era più tempo da perdere. All’epoca era vicedirettore dei Musei nazionali francesi e un anno prima aveva già aiutato il Prado di Madrid a portare al sicuro in Svizzera i capolavori messi in pericolo dalla guerra civile. Oggi quasi nessuno si ricorda di lui e persino il film «Monuments men» di George Clooney lo ha ignorato, preferendo dare un ruolo più importante a una delle sue eroiche assistenti, Rose Valland. Finalmente, un documentario di Jean-Pierre Devillers e Pierre Pochart, «Illustre et inconnu» (illustre e sconosciuto) ci ricorda che, se possiamo ancora ammirare migliaia di capolavori, lo dobbiamo al coraggio di un uomo solo, circondato da persone fidate.

pec02 GERICAUL Zattera della Medusa pec02 GERICAUL Zattera della Medusa

 

La «Gioconda» di Leonardo fu il primo quadro ad essere portato via. Su ogni cassa era dipinto un cerchio, il cui colore ne indicava il valore: giallo per le opere di pregio, verde per le più importanti, rosso per i capolavori. Sulla cassa della «Monna Lisa» vennero dipinti tre cerchi rossi. La tela andò a Chambord, ma durante la guerra fu spostata per sicurezza più volte: a Louvigny, poi all’Abbaye de Loc Dieu, al Museo di Montauban e infine nel magico castello di Montal, sopra Tolosa. 
 

I dipinti più grandi, come «Le Nozze di Cana» del Veronese, vennero portati via arrotolati e altri, come «La zattera della Medusa» di Géricault, caricati sui camion così com’erano, protetti solo da un lenzuolo. La grande statua della «Vittoria alata di Samotracia» fu l’ultimo capolavoro a lasciare il museo, il 1° settembre, nelle ore in cui i tedeschi invadevano la Polonia. 
 

Jaujard, nel corso della guerra, si prese cura di ogni opera messa al sicuro. Spostava quadri e statue quando pensava che fossero in pericolo, procurava stufette per proteggere dall’umidità quelle più antiche, come lo «Scriba rosso» egizio, un fragile vecchio di 4000 anni. Doveva combattere su due fronti: i nazisti, inferociti per avere trovato al Louvre solo cornici vuote, e il governo collaborazionista di Vichy, altrettanto ansioso di recuperare le opere per regalarle ai nuovi padroni. Ma riuscì a vincere la sua guerra segreta: nel 1944 tutti i capolavori tornarono a Parigi, senza il minimo danno. 
 

Jaujard aveva aiutato anche molti collezionisti privati, i David-Weill, i Jacobson, i Levy e i Bernheim, a mettere in salvo le loro opere. Verso la fine della guerra la Resistenza gli mandò in aiuto uno dei suoi migliori elementi, nome in codice «Mozart», nota attrice francese biondo platino, che aveva recitato con Jean Renoir prima di passare alla clandestinità. Divennero amanti e guardarono insieme dalla finestra i nazisti che lasciavano sconfitti Parigi.

 

 

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