CLIC! "LE FOTO DI STRADA" DI JOHN R. PEPPER IN MOSTRA A PALAZZO CIPOLLA A ROMA - RIGOROSAMENTE IN BIANCO E NERO, LUCE NATURALE, SCATTATE CON UNA MACCHINA RIGOROSAMENTE ANALOGICA, “RICORDANO I GRANDI REPORTAGE DI UN TEMPO CIRCONDATI DA UN ALONE POETICO”

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Da “il Foglio”

 

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Metodo classico: fotografie "di strada", rigorosamente in bianco e nero, scattate con una macchina rigorosamente analogica. Luce naturale: "La luce del sole, che delinea il confine tra la terra e il cielo, e quella fievole della notte che avvolge il creato, annullando qualsiasi confine" (Roberta Semeraro). Figure sempre un po' distanti, che a volte si perdono nel paesaggio.

 

Il paesaggio: desolato, a volte; cielo grigio e, spesso, acqua: cielo e acqua che "diventano spazi ancestrali dove tutto si genera per poi dileguarsi e riprendere forma, secondo un ordine naturale delle cose": sono ancora parole di Roberta Semeraro, curatrice di questa mostra fotografica, una personale di John Randolph Pepper, che si apre oggi a Roma nelle sale di Palazzo Cipolla, in via del Corso 320, per iniziativa della Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo e dell' Ambasciata degli Stati Uniti in Italia. "Evaporations" è il titolo della mostra, che si compone di oltre cinquanta immagini di diverse dimensioni, tutte opera del fotografo italo -americano oggi 58enne.

 

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Nato e cresciuto a Roma, tornato in Italia dopo una parentesi americana, Pepper nella sua vita ha fatto di tutto: sceneggiatore, attore, regista teatrale e cinematografico, ma senza mai abbandonare la fotografia, il primo amore. Si è formato sotto l' influenza di Henri Cartier-Bresson, Sam Show, John Ross e David Seymour.

 

A 14 anni ha affiancato come assistente Ugo Mulas che gli ha insegnato i princìpi della Street Photography. Ed è secondo la tradizione del fotografo di strada che Pepper "scatta le sue fotografie nei non luoghi che attraversa viaggiando da un continente all' altro, dagli Stati Uniti all' Europa, e rapisce le sue indimenticabili immagini alla solitudine nella quale sono avvolte le figure che incontra per caso. Non cerca l' identità delle persone che fotografa, al contrario, fotografando elude la propria identità ritrovando frammenti di se stesso negli altri". Attualmente Pepper è al lavoro sul suo nuovo progetto fotografico, "Deserts/Droughts", in cui esplora i deserti e i loro effetti nel tempo, nella storia e sulla gente.

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"Evaporations" si compone di un corpus di fotografie realizzate tra il 2012 e il 2013, un progetto fotografico realizzato tra gli Stati Uniti, la Russia, la Finlandia, la Spagna, la Grecia e l' Italia. Sono immagini che "possiedono un fascino evocativo che ricorda i grandi reportage di un tempo, in bianco e nero, permeati di realismo ma al contempo circondati da un alone poetico, quasi d' epoca", sottolinea il presidente della Fondazione Terzo Pilastro, Emmanuele F. M. Emanuele.

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Dopo aver compiuto il suo ciclo di mostre in giro per l' Europa - da Palermo al Museo Rosphoto di San Pietroburgo e a Venezia e poi nelle città di Vladivostok, Irkutsk, Novosibirsk, Omsk, Ekaterinburg, Samara e nel maggio scorso presso la Gallery for Classic Photography di Mosca - "Evaporations" chiude il suo percorso espositivo a Roma. A Palazzo Cipolla è visitabile da oggi fino al 18 gennaio.

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2. IL MECENATE E LO STATO

R.R. per il Foglio

La personale di John Randolph Pepper che s' inaugura a Roma è solo l' ultima, in ordine di tempo, di una serie di grandi mostre che anche in questo 2016 la Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo ha ideato e promosso, sempre sotto l' impulso del suo presidente, Emmanuele F. M. Emanuele.

 

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Aristocratico siciliano, economista, banchiere, mecenate, poeta - una multiforme attività che a qualcuno ha richiamato i fasti di Lorenzo il Magnifico, ad altri ha fatto parlare di ottavo re di Roma - il Professore (è anche docente universitario) se gli si chiede una preferenza tra le "sue" mostre, si dice "orgoglioso di tutte le 48 rassegne espositive che ho ideato e sostenuto in questi vent' anni",

 

Ma nello stesso tempo sposta di poco l' asse dell' orgoglio per le cose fatte: "Mecenate, sì, non posso negarlo. Però vorrei sottolineare anche che la maggior parte del mio impegno è rivolta alla gente che soffre. Forse per una vecchia vocazione di famiglia: in casa ci sono stati sempre grandi medici, io da giovane ho seguito una strada diversa".

 

Una strada che reca forte l' impronta materna, di amore per l' arte e la cultura. "Quante volte avrò visto da bambino e da ragazzino Antonello da Messina? Forse quattrocento. Un prodotto dell' affetto materno, mentre più dura, figlia un po' della guerra, era l' educazione impressa da mio padre, votata alle discipline sportive e connotata dall' attenzione verso i meno fortunati, per cui da giovane ho sacrificato molte piacevolezze tipiche dell' infanzia".

 

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Entrambi i semi instillati dai genitori diventano piante robuste, e il professor Emanuele pensa con particolare affetto a una delle mostre allestite a Palazzo Cipolla, "Gli irripetibili anni Sessanta. Un dialogo tra Roma e Milano", perché quello è anche un crocevia della sua storia personale: "Sono i miei stessi anni giovanili, a Milano, anni di grande fermento artistico e culturale e in cui frequentavo i protagonisti di quella stagione: Baj, Tadini, Nespolo... Eravamo patafisici, andavamo al bar Jamaica".

 

Altre mostre che hanno lasciato un segno particolare? "Quelle che hanno sottolineato la centralità di Roma davanti al mondo intero", dice il presidente della Fondazione Roma e della Fondazione Terzo Pilastro, "come quella sui capolavori della Città Proibita nel 2008, o la rassegna dedicata a Hopper nel 2010 o alla "Gloria di New York" nel 2001, e cito quest' ultima con un certo rammarico, perché anche in questo caso la mostra toccava una corda emotiva personale, dal momento che nei miei anni americani avevo conosciuto e apprezzato alcuni degli autori presenti - Haring e Basquiat, ad esempio, i precursori della street -art - ma la proposta non fu capita.

 

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Mentre mi ha fatto felice, più recentemente, Banksy, con il quale abbiamo toccato quasi i centomila visitatori. Ma voglio ricordare anche la mostra del Tesoro di Napoli, con i capolavori del Museo di San Gennaro, che nel 2013-'14 è partita da Roma e spero di riuscire a portare in giro per il mondo". Con un atout particolare: il Professore è il primo aristocratico non napoletano a far parte, con il titolo di Ambasciatore, della Deputazione del tesoro di San Gennaro.

 

Intenso anche il programma del prossimo anno. "Kokocinski. Da Pulcinella al clown", vista lo scorso anno a Roma, andrà a Napoli. A Palazzo Cipolla arriverà Arman, mentre a Palermo è prevista una rassegna dedicata agli stucchi e ai gessi di Giacomo Serpotta in sei oratori della città.

 

"Sempre a Palermo - aggiunge Emmanuele F. M. Emanuele - contiamo di proporre un concerto di Franco Battiato, un musicista che amo molto. E in novembre realizzeremo un mio sogno: una foresta urbana nel cuore della città. Un gruppo di scultori eccezionali vivificherà la città di pietra trasformandola in città di verde. Tutto tra piazza Carlo V e piazza della Cattedrale".

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l Professore guarda al passato e al futuro e se ne compiace. "Tutte cose - aggiunge - che l' ente pubblico si sogna di fare. Abbiamo questa meraviglia di territorio, con tesori d' arte inestimabili da Venezia a Palermo che fanno la differenza rispetto a tutti gli altri paesi e che facciamo? Destiniamo solo lo 0,1 per cento del pil a questo patrimonio". Bisognerebbe dare slancio a questo tipo di attività. Purtroppo non accade. Ho riflettuto molto sui rapporti tra economia e cultura, su ciò che potrebbe e dovrebbe fare lo stato. Ne ho scritto anche. Vedo per esempio che alcune idee che avevo elaborato in un mio saggio del 2012 dal titolo "Arte e Finanza", come l' art bonus e i manager alla guida dei musei, sono state recepite dal ministero. Ma è ancora troppo poco.

 

Sugli investimenti culturali l' ente pubblico è in ritirata, o persiste in benefici a pioggia su comparti che non rispondono. A questo punto è necessario che lo stato faccia un passo indietro e metta in condizioni il privato sociale di fare un passo avanti, sempre nel rispetto delle leggi. L' Istituto italiano per l' Africa e l' Oriente è chiuso da cinque anni, eppure è una testimonianza importante della nostra presenza in quei luoghi, presenza assai meno critica, a parte qualche eccezione, di quella inglese o francese. Ho proposto di riaprirlo a spese nostre. Non mi hanno mai risposto. E purtroppo non succede solo con l' arte e la cultura: sto costruendo un villaggio per cento malati di Alzheimer. Ho difficoltà burocratiche anche lì". (r. r.)

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