GU-AI WEIWEI - PARLA L’ARTISTA (DISSIDENTE) PIÙ FAMOSO DELLA CINA: “NON MI CONSIDERO NÈ UN INTELLETTUALE, NÉ UN MARTIRE. FORSE SONO SOLO UN FANTASMA - NON POSSO IMMAGINARE OGGI UN MONDO SENZA TECNOLOGIA NÉ SOCIAL. INTERNET FA AVANZARE LA DEMOCRAZIA’’

In mostra a Mantova dal 7 marzo 46 opere inedite dell’artista cinese: “Le accuse nei miei confronti? Solo propaganda. Non sono stato arrestato per un crimine in particolare. Sono stato messo sotto esame dalla società. Gli artisti devono proteggere la libertà di parola ma pochi in Cina hanno il coraggio di farlo”...

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Marco Del Corona per “La Lettura - Il Corriere della Sera”

 

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Ai Weiwei non può viaggiare: viaggiano le sue opere. Il limbo al quale è costretto l’artista più famoso della Cina si trascina dal 2011, quando venne arrestato senza accuse formali e rilasciato 81 giorni dopo. Eppure Ai, nella sua casa-studio alla periferia di Pechino, continua a creare. In Italia arrivano 46 opere inedite alle quali si aggiungono i lavori di due collaboratori, Meng Huang e Li Zhanyang. Sarà Palazzo Te a Mantova a ospitare, dal 7 marzo, Il giardino incantato, un dialogo (immaginato a distanza) con il Rinascimento. L’evento coinvolgerà Sala dei Giganti, Sala dei Cavalli e Sala dei Capitani. La Cina di oggi sotto gli occhi di Giulio Romano . 
 

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Ai Weiwei, come sta? 
«Bene, come negli ultimi anni». 
 

Ha mai visitato Mantova? 
«Mai. So quello che mi hanno detto i curatori e chi ci è andato, ma ho scelto le mie opere tenendo conto che saranno collocate a Palazzo Te, un edificio storico importante». 
 

«Il giardino incantato». Che cos’è? 
«La mia mostra è tripartita: una sezione consiste di vecchi pilastri e vecchie travi, elementi classici presi da edifici abbattuti, ci sono frammenti di pietra che risalgono a centinaia d’anni fa. Hanno incisi dei draghi, simbolo dell’imperatore e del suo potere.

 

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Ho colorato i pilastri di pietra con vernice per automobili, neanche fossero Ferrari o Bmw, come avevo fatto con vasi della dinastia Han. Stesso discorso per un altro lavoro, Horses (Cavalli). Le statue originali sono repliche degli antichi cavalli di porcellana sancai , della dinastia Tang, e venivano usati come doni diplomatici a Paesi amici negli anni Settanta. Anche questi sono stati ridipinti.

 

Nella mostra vedrete un’installazione con un gruppo di 91 cavalli (nella Sala dei Cavalli, appunto, ndr ), mentre altri sono in teche a parte. Ci sono anche dei tondini da cemento armato realizzati in porcellana, che sono parte delle serie sul terremoto del Sichuan» (2008, almeno 90 mila morti, e fra questi oltre 5 mila bambini dei quali Ai Weiwei ha raccolto tutti i nomi sfidando la reticenza delle autorità, ndr ). 
 

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Ancora una volta lei parte da materiali antichi, manipolando la tradizione… 
«La mia arte è sempre stata una reinterpretazione o una rielaborazione di quanto accade nella cultura contemporanea e nell’arena sociale e politica. È il mio modo di partecipare aggiungendo, sottraendo o ricostruendo queste esperienze attraverso l’espressione artistica». 
 

Lei è artista, designer, videomaker, attivista. Che cos’è la creatività? 
«Ha a che fare con la capacità di interrogare una data condizione e di modificare la propria visione della realtà presentando nuove prospettive». 
 

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Si considera un intellettuale? 
«No. Anzi: non mi sento mai abbastanza intellettuale». 
 

La criticano perché troppo mediatico: troppe interviste, troppi show… 
«Mai cercato di fare interviste, io, né fatte interviste che non fossero necessarie. In linea di massima non mi nego. Spero che quest’intervista non venga pubblicata, se lei è d’accordo». 
 

La sua casa-studio a Caochangdi sembra una sorta di bottega artistica, una «factory», con molte persone che lavorano insieme. Quanti siete? 
«Ho nella mia vita due cose sulle quali non ho certezze: il numero dei gatti nel mio studio e il numero di persone del team creativo. Fanno tutti parte della nazione di Caochangdi: vanno e vengono come gli pare». 
 

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Quanto del suo processo creativo è individuale e quanto prodotto collettivo? 
«Il mio processo creativo consiste totalmente nell’interazione collettiva. Senza scambio, un atto non può essere definito creativo. Il nostro lavoro non è mai l’obiettivo finale: la comunicazione e il coinvolgimento sono sempre essenziali». 
 

Lei scatta fotografie continuamente, anche durante le nostre interviste. Perché foto e video sono così importanti? 
«Per me, la realtà è reale soltanto a metà se manca l’interpretazione. Foto e video sono modi per essere coinvolti nel reale, per esperire un altro livello del guardare e dello sperimentare, e per avere la possibilità di riflettere e di guardare indietro. Tutti tratti distintivi della realtà, questi». 
 

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E che cosa rappresentano, oggi, la tecnologia e i social media per lei? 
«Non posso immaginare oggi un mondo senza tecnologia né social media. Hanno costituito una piattaforma per il modo in cui percepiamo la realtà. La nostra felicità e le nostre emozioni sono strettamente legate ad essa perché questo spazio digitale crea delle fibre vive e determina quel che vediamo, sentiamo e sperimentiamo ogni giorno». 
 

Qual è la sua posizione legale ora? Quando le ridaranno il passaporto? 
«Stando a quello che dicono i funzionari, la mia posizione legale è che io non ho mai avuto un procedimento. Le accuse sono solo propaganda. In realtà, io non sono mai stato accusato personalmente né sono stato arrestato per un crimine in particolare. Sono stato messo sotto esame dalla società. Il mio status è identico a quello di chiunque altro in Cina, tranne che non posso espatriare, un diritto che le autorità hanno promesso di restituirmi in una data sconosciuta». 
 

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Ad aprile saranno quattro anni dal suo arresto all’aeroporto di Pechino. Com’è cambiato da allora Ai Weiwei? 
«L’arresto fu una situazione eccezionale, ma non infrequente qui in Cina. Mio padre e gran parte dei rivoluzionari della sua generazione sono stati in carcere. Anche oggi ci sono persone che conosco, amici e avvocati, che sono ancora in galera senz’aver commesso alcun crimine. Da cittadino cinese devo accettarlo come condizione normale». 
 

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Lei è un recluso con un’audience e una visibilità globali. Come fa i conti con questa contraddizione? 
«Forse sono solo un fantasma, ma il mondo ha ancora bisogno di un’esistenza fantasmatica che contrasti la realtà materiale». 
 

Dall’opera che nel 2011 comparve sul primo numero de «la Lettura» (un autoscatto dell’artista ammanettato, ndr) all’installazione a Venezia nel 2013 (diorama con scene della prigionia, ndr) lei ha prodotto lavori forti sull’esperienza del carcere. L’artista che si vede come martire ricorre dall’antichità. Lei si sente un martire? 
«Molte cose tra quelle che ho fatto sono state difficili o pericolose, ma mai di proposito. Difficoltà e pericolo scaturiscono dal mio desiderio di maggior libertà, non per me ma per la società cinese. Non è molto più della semplice responsabilità dell’artista: quella di dare corpo alla libertà di parola». 
 

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Tra i suoi primi lavori negli anni Ottanta ci furono libri che trattavano l’arte in Cina. Com’è la situazione oggi? 
«Lo stato dell’arte in Cina oggi fa pena. Gli artisti e gli intellettuali cinesi spesso si fanno da parte davanti alla storia, alle condizioni in cui loro stessi si trovano a vivere e alle responsabilità d’essere artisti. Si trova più gusto nei risultati delle aste, nella fama, nel denaro. Pochi artisti sollevano questioni che riguardano l’umanità o la filosofia, oggi». 
 

Ha trovato solidarietà nell’ambiente? 
«In ogni società ci sono sempre persone pro e contro qualunque idea. Penso che sempre più giovani sostengano la causa della libertà e della democrazia. Con internet, l’esigenza della democrazia avanza». 
 

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Lei è considerato una delle figure più influenti nel mondo dell’arte, il che significa un’enorme responsabilità… 
«La percezione dell’influenza deriva dall’assumersi responsabilità. Dimostra che il mondo ha bisogno di una ri-proclamazione dei valori fondamentali e che dobbiamo proteggere la libertà di parola e di fare arte». 
 

Il mercato dell’arte, specialmente quello cinese, è considerato drogato dalla speculazione e da altri interessi. 
«Il mercato cinese dell’arte è esattamente come la Borsa cinese o il gioco politico cinese. Leggi e regolamenti sono soggetti a chi comanda. L’unico aspetto che si coglie è che le regole sono indicibili e che non c’è trasparenza. Senza trasparenza non c’è possibilità di parlare di democrazia o di un gioco leale. Considerando questo, qualunque cosa esca dal mercato è sempre discutibile». 
 

È preoccupato per il suo futuro? 
«No. Ho avuto un buon passato e sono soddisfatto del presente. Posso ancora lavorare, parlare, incontrare gente. Fisicamente e mentalmente sto bene. Del futuro devono preoccuparsi le generazioni future». 
 

Suo figlio ha 6 anni. Cosa fate insieme? 
«Mi piacerebbe avere più tempo da dedicargli. È un lusso, date le mie limitazioni, ma mi piacerebbe viaggiare con lui, imparare l’uno dall’altro. Sarei molto felice se potesse essere più indipendente, benché mi abbia già dimostrato di essere parecchio deciso».
 

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Come spiegherebbe al piccolo Ai Lao il significato della parola «libertà»? 
«Libertà è una parola astratta e ha significati diversi a seconda delle persone e dell’età. Il mio concetto di libertà nasce sempre dal sopportare il peso supplementare di condizioni difficili. Benché le limitazioni siano l’esatto opposto del significato di “libertà”, noi possiamo apprezzare la libertà soltanto attraverso la durezza delle limitazioni» . 

 

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