MAURIZIO CATTELAN FA 60! “SONO UNO CHE FA ARTE PER DARE AGLI ALTRI I MIEI PROBLEMI” - L’ARTISTA ITALIANO VIVENTE PIÙ QUOTATO AL MONDO SI RACCONTA: “LA BANANA RUBATA E MANGIATA DA DAVID DADUNA? L’ARTE È QUESTIONE DI RICICLO, UNA SORTA DI BUFFA STAFFETTA TRA BROCCHI - IL FURTO DEL WC D’ORO "AMERICA"? AVREI VOLUTO CHE L’OPENING DURASSE TUTTA LA NOTTE, COSÌ FORSE AVREMMO OSTACOLATO I LADRI" - "IL MIO DEBUTTO? SOSPESO IN PRIMO ELEMENTARE. FALSIFICAI LA FIRMA DI MIO PADRE. È IL GIORNO IN CUI HO CAPITO CHE…”

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Candida Morvillo per corriere.it

maurizio cattelan maurizio cattelan

 

Maurizio Cattelan è l’artista italiano vivente più quotato al mondo. Nel 2016, il suo Hitler inginocchiato è stato venduto per 17,2 milioni di dollari. Lui, il 21 settembre, compie 60 anni e ci scherza su.

 

Dice: «Finalmente sono consapevole di essere maggiorenne. Sto pensando di prendere la patente, mi sento pronto». E sembra di vedere il ragazzo che, alla sua prima personale, appese fuori dalla galleria un cartello con scritto «torno subito» e non tornò mai e che, a un’altra, espose solo una denuncia per il furto di un’opera invisibile.

 

Di tutte le cose che dicono di lei — che è un genio o un imbroglione mitologico o uno Zorro dell’arte, o che prende per i fondelli critici, direttori di musei, collezionisti — quale la convince di più?

crocifissione cattelan crocifissione cattelan

«Voglio pensare che in molti abbiano chiamato provocazioni quelle che per alcuni possono diventare riflessioni. Prenda Him, ad esempio, il mio Hitler. Per ritardi nella produzione, l’ho visto solo già dentro al museo: mi ero ripromesso di distruggerlo se non mi avesse convinto. Quando ho visto le reazioni all’apertura della cassa, ho capito che andava oltre la semplice provocazione e poteva innescare qualche considerazione sulla natura umana. L’arte in fondo serve a questo».

 

la banana di cattelan sul 'new york' la banana di cattelan sul 'new york'

Una volta, rischiò l’arresto perché rubò delle opere per esporle come sue, più volte ha mandato un altro a spacciarsi per lei. Le sue strategie di evasione, la sua inafferrabilità, sono sberleffo, sociopatia, ansia da prestazione o che altro?

«Fin da bambino, mi è capitato di soffrire perché mi sentivo nel posto sbagliato: a scuola, a casa, al lavoro, ma mi succede spesso anche al bar. Se mi avvicini il microfono o una telecamera poi, è panico totale. Negli anni, ho dovuto inventarmi qualcosa per sopravvivere: semplicemente, non mi sono fatto trovare quando la mia assenza era più funzionale della mia presenza».

 che racconti il bambino Maurizio Cattelan?

maurizio cattelan maurizio cattelan

«Sospeso in prima elementare, ho passato il pomeriggio in un parco a cercare di falsificare la firma di mio padre. È il giorno in cui ho capito che l’inganno paga».

 

Come ha spiegato a casa che voleva essere un’artista?

«Che non avessi tutte le rotelle a posto l’avevano capito molto prima di me e comunque, a 40 anni suonati, già da tempo non credevano più a quello che gli raccontavo».

La prima sua opera di cui disse: è buona?

«C’è voluto molto tempo, circa 25 anni. Quando li ho visti finiti per la prima volta, la sofferenza, la tragedia e il silenzio dei nove corpi di All chiusi nei loro sacchi mi hanno fatto tremare le vene sotto pelle».

 

Perché la morte è così presente nelle sue opere? Penso anche al Pinocchio annegato, alla donna inchiodata al muro, a lei nella bara…

cattelan cattelan

«Uno dei monumenti più visitati al mondo sono le piramidi, lussuosissime, giganteggianti tombe. Il mistero della morte è forse l’unico su cui l’umanità non ha mai smesso di interrogarsi, e con lei l’arte. Non importa quanto possiamo essere evoluti tecnologicamente, la vita è comandata sempre da due leggi basilari: si nasce e si muore. I temi simbolici, universali, sono sempre gli stessi, cambiano i segni in cui questi simboli si traducono, segni che l’artista individua e espone al pubblico. In questo senso, l’arte può avere l’arduo compito di mostrare quello che tutti hanno paura di esprimere».

 

cattelan cattelan

Da ragazzo, ha lavorato come infermiere e ha pulito cadaveri in un obitorio. In pandemia, come ha ripensato a quei giorni?

«Ho fatto prima l’infermiere dei vivi, poi ho chiesto di essere assegnato all’obitorio. Il rapporto con un paziente è molto più forte e impegnativo di quello con un cadavere, che ti lascia solo un senso di pace. Da infermiere, ho capito che i miei turbamenti non avrebbero aiutato il malato: l’energia di chi ti è vicino in momenti in cui sei così fragile è fondamentale. Perciò la morte solitaria provocata dal Covid mi ha colpito profondamente».

cattelan cattelan

Nel 2012, che effetto le ha fatto vedere la sua opera omnia al Guggenheim di New York?

«Ogni opera finita e esposta al pubblico è un figlio che abbandoni nel mondo e di molte si perdono le tracce. La mostra al Guggenheim è stata una grande e molto attesa riunione di famiglia dove abbiamo passato ricordato i tempi andati. Belli, brutti, simpatici, sporchi e incompiuti, ognuno mi ha ricordato un frammento della mia vita. Ma non sono un sentimentale: dopo due mesi, ero felice che i figli fossero tornati ognuno a casa propria».

 

 

 

Quelle opere appese al soffitto trasmettevano precarietà, pericolo. Lei che sensazione aveva immaginato? E perché subito dopo annunciò il ritiro?

«Regalavano però anche una visione senza precedenti. Un elefante guardato negli occhi è tutto diverso quando lo vedi dal sedere. In quel ribaltamento, con il vuoto al centro della spirale riempito di lavori e i muri lasciati vuoti, ognuno poteva circondare con lo sguardo ogni opera, e trovare il proprio punto di vista. L’idea della pensione è arrivata insieme a quella mostra, non dopo. È nata dall’esigenza di tirare una linea tra me e quello che avevo fatto fino a quel momento: quella visione complessiva mi ha fatto digerire tanti errori, chiudere un cerchio».

 

Com’è andata la pensione e, ora, cosa vorrebbe fare?

cattelan datuna cattelan datuna

«Mi sono divertito molto con Toilet Paper, il magazine fotografico che ho fondato con Pierpaolo Ferrari, ma un artista non è molto diverso da un serial killer: ha sempre bisogno di una nuova vittima. Se potessi esprimere un desiderio, sarebbe quello di un grande intervento in una città. Se potessi scegliere il titolo di questa intervista, la intitolerei: AAA cercasi sindaco-mecenate per commissione d’arte in spazio pubblico».

 

Il Guggenheim ha appena acquisito «Comedian»: una banana vera appesa al muro con nastro adesivo. L’originale esposto a Miami l’anno scorso era stato rubato e mangiato da David Daduna. Dica la verità: eravate d’accordo per fare clamore?

cattelan cattelan

«È stato molto meno appassionante di così. Non c’è stato alcun intrigo internazionale. Ho giocato con una banana per qualche mese, prima di plastica, poi di metallo, ma nessuna versione mi convinceva abbastanza da esporla. Ho ancora qualcuno di quei test a casa. A un certo punto, l’idea più semplice ha vinto: perché non presentare una banana così com’era, senza reinterpretazioni? Ha funzionato a tal punto che altri hanno ritenuto vantaggioso appropriarsene. L’arte, in fondo, è tutta una questione di riciclo, una sorta di buffa staffetta tra brocchi».

 

Può dimostrare che il furto del wc d’oro «America» al Blenheim Palace non è stata una mossa di marketing?

«Posso dire solo che avrei voluto che l’opening durasse tutta la notte, così forse avremmo ostacolato i ladri».

 

maurizio cattelan maurizio cattelan

Può giurare che non chiamò il Wc «America» pensando a Donald Trump?

«In comune hanno, al massimo, che entrambi valgono tanto oro quanto pesano. Scherzi a parte, il contesto sociale in cui è nato America è lo stesso in cui è nato Donald Trump come personaggio politico: non sono legati in rapporto di causa-effetto, ma sono generati dalla stessa disparità. Rendendo utilizzabile a chiunque un oggetto irraggiungibile per quasi tutti, America era in qualche modo l’esemplificazione del sogno americano, dava a tutti un’opportunità. Non importa cosa mangi, può essere un pranzo da duecento dollari o un hot dog da due. Il risultato è lo stesso, visto dalla tazza del wc».

 

Nel 1999, presentò come opera vivente il gallerista milanese Massimo De Carlo, appendendolo a una parete. Nel 1994, persuase il suo gallerista parigino Emmanuel Perrotin a passare un mese nella propria galleria abbigliato come un coniglio rosa che sembrava un pene. Il senso è farsi beffe delle persone da cui dipende il suo lavoro?

maurizio cattelan maurizio cattelan

«Cosa c’è di meglio che divertirsi con le persone con cui si lavora o si passa molto tempo? A Massimo e Emmanuel devo molto e credo sia bello ringraziare un gallerista facendolo diventare opera nel suo spazio».

 

De Carlo ha detto: «Maurizio non è un artista che dedica la sua vita all’arte ma è un artista che dedica la sua vita al successo nell’arte». È così?

«Ha anche detto: “Il fritto piemontese mi rimane indigesto, ma lo mangio lo stesso” e una volta durante un opening davanti a tutti l’ho sentito dire “meglio il buffet delle opere”».

Riappenderebbe i tre bambini a un albero di Milano? Cos’era quella immagine per lei?

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«Le fiabe raccontano storie di lupi squartati, bambini presi in trappola da streghe, principesse avvelenate e sfruttamento minorile. I bambini appesi sono il ricordo della mia lettura di Pinocchio, angosciato dal fatto che lo impiccassero, insieme all’idea di diventare un asino. Ancora oggi, da adulto, penso spesso a cosa succederebbe se mi svegliassi da sogni inquieti sdraiato su una schiena dura come una corazza, con sei zampette pelose che si agitano nell’aria. Per alcune paure non si è mai abbastanza cresciuti».

 

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Quale retroscena resta da raccontare su L.O.V.E, l’enorme dito medio esposto davanti alla Borsa di Milano?

«Quell’opera l’ha caldeggiata l’assessore Finazzer, l’ha raffreddata il sindaco Moratti e l’ha cementata l’architetto Boeri. Comunque, visto che quella piazza è un parcheggio, L.O.V.E è più una rotonda che un monumento».

 

Cos’era per lei il Papa abbattuto da un meteorite?

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«C’è chi sceglie di passare anni in analisi e chi, come me, decide di esorcizzare i propri demoni in autonomia, o autoanalisi. Qualche volta è doloroso, qualche volta è appagante, è comunque sempre un lavoro su se stessi che dura tutta la vita. Vista da questa prospettiva, forse, La Nona Ora è stata un’uccisione del padre, la più classica delle figure psiconalitiche».

 

CATTELAN CESSO D'ORO CATTELAN CESSO D'ORO

Nel docufilm «Be Right Back», una sua ex ha detto di lei: «Credo che finirà per rimanere da solo, lo pensa anche lui». È cosi?

«A casa mia, si diceva sempre ognuno ha quel che si merita… Ma in realtà penso che più cresciamo e più diventiamo consapevoli di quello che ci piace e ci fa stare bene. Negli anni, la speranza è di essere arrivati a cesellare a tal punto il proprio desiderio da avere accanto qualcuno che lo condivida».

È vero che odia le sue opere e di tutte dice: oddio, è una schifezza, non posso guardarla?

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«Non è del tutto vero, ma neanche del tutto falso. Ogni lavoro corrisponde a una parte di me con cui non ho voglia di avere più a che fare, è come guardare un album di vecchie foto: non ho mai capito perché dovrebbe essere desiderabile quel misto di nostalgia e rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto essere migliore».

 

Perché le sue case sono vuote, hanno due sedie, massimo un divano?

«Perché lotto ogni giorno per essere libero e la libertà dalla schiavitù delle cose è una parte sostanziale di questa ricerca. Spero che, superata la pandemia, la sharing economy continui la sua espansione verso un mondo più sostenibile. È il principio dell’ombrello: non appartiene mai a una persona sola per tutta la vita».

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Da aspirante artista, ha vissuto a New York con cinque dollari al giorno. Oggi, che pensa delle sue quotazioni milionarie?

«Che anche quando ero sfortunato ho avuto la fortuna di avere intorno a me tante persone che hanno capito di me più di quanto ne potessi capire io: i miei genitori, i galleristi che mi hanno aiutato, i curatori che hanno trattato le mie opere e anche qualche buona idea, qualche volta di altri».

 

In definitiva, lei si sente un’opera d’arte o un’artista?

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«Sono uno che fa arte per dare agli altri i miei problemi».

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