BANCHE AL BANCOMAT - GLI ISTITUTI CHIEDONO ALLA BCE 116 MLD €, QUASI UN QUARTO DELL’INTERA SOMMA DEI CREDITI, OFFRENDO IN CAMBIO 40MLD DI TITOLI - GRAZIE ALLA MANOVRA DEL GOVERNO RIGOROSO, STARA’ ALLO STATO RISARCIRE TUTTO IN CASO DI INSOLVENZA - LE BANCHE PAGHERAANO SOLO LO 0,85% DI GARANZIA E RIVERSERANNO SUI CLIENTI TASSI DA INCUBO PER MUTUI E PRESTITI - COSI’ LA SOLA INTESA SANPAOLO DEL MINISTRO PASSERA AGGANCIA UN PROFITTO NETTO DI 438 MILIONI ANNUI...

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1 - BANCHE AFFAMATE
Stefano Feltri per il "Fatto quotidiano"

MARIO DRAGHIMARIO DRAGHI

Una valanga di denaro esce dalla Banca centrale europea e si riversa sulle banche europee che ne fanno richiesta, come se fosse un bancomat: 523 istituti ottengono 489 miliardi di euro, un prestito a tre anni a un tasso di interesse molto più basso di quelli di mercato, l'1 per cento. Dei 489 miliardi, le banche italiane ne hanno avuti, stando alle stime che circolavano ieri, 116. Quasi un quarto, offrendo come garanzia 40 miliardi di titoli. E qui si arriva alla parte interessante: le nostre banche sono state le uniche a offrire garanzie così volatili e al contempo pesantissime. Hanno emesso 40 miliardi di obbligazioni, le hanno sottoscritte (cioè hanno promesso di pagarle loro stesse, sembra astruso ma è così) e le hanno consegnate alla Bce in cambio di 116 miliardi di prestiti.

Il tutto grazie alla garanzia pubblica offerta dal governo nella manovra che ha chiesto sacrifici a tutti tranne alle banche cui ha offerto uno scudo totale: se una banca emette obbligazioni e non riesce a rimborsarle, ci pensa lo Stato, cioè i contribuenti. Ma le regole contabili consentono di non registrare questo potenziale salasso nel conto del debito pubblico.

FEDERICO GHIZZONIFEDERICO GHIZZONI

Non solo: nelle intenzioni, i soldi ottenuti dai banchieri dovrebbero essere reinvestiti in parte nel debito pubblico (un ottimo affare, visto che rende oltre il 6 per cento) e nel credito alle imprese e alle famiglie (più rischioso in tempi di recessione, e infatti snobbato dalle banche). "Decideranno loro come impiegarli al meglio", ha detto tre giorni fa Mario Draghi, presidente della Bce, al Financial Times, ammettendo che l'istituto di Franco-forte non ha alcun potere di costringere le banche a usare quei capitali per sostenere il sistema e non, per esempio, per pagare dividendi agli azionisti o stipendi ai top manager.

Guido Tabellini, rettore della Bocconi, è stato uno dei più scettici sull'esito di questa misura di emergenza: "La buona notizia è che le banche hanno preso a prestito più di quello che ci si aspettava, si stanno almeno finanziando in maniera superiore al debito bancario in scadenza quindi stanno evitando il deleveraging, cioè la riduzione dei bilanci. E questo dovrebbe aiutare a finanziare l'economia reale".

In pratica: se hanno i soldi della Bce, non dovranno chiudere i rubinetti a imprese e famiglie. "La cattiva notizia - aggiunge Tabellini - è che il differenziale tra debito pubblico italiano e tedesco resta molto alto". Il temuto spread ieri è addirittura cresciuto, assestandosi a quota 485 punti. É il segno che i mercati non credono che i 116 miliardi vadano tutti a sostenere il debito pubblico italiano.

Corrado Passera ministroCorrado Passera ministro

Anche perché sarebbe un circolo perverso: uno Stato a rischio crac impegna la sua credibilità per garantire banche a rischio crac che investono i prestiti nei debiti pubblici. É la stessa illusione che ha dato inizio alla crisi dei mutui subprime: l'idea che basta immettere nell'economia abbastanza moneta e il rischio, di qualunque tipo, svanirà. Da tre anni stiamo pagando il conto di questo errore. E non è finita.

La Borsa, che nei giorni scorsi aveva premiato le banche italiane, ieri ha reagito male, penalizzandole più dei concorrenti spesso altrettanto fragili degli altri Paesi: Unicredit ha perso il 4,39 per cento, Monte Paschi il 3,92. Tra gli investitori, ma ormai anche tra i risparmiatori, c'è l'impressione diffusa che alle banche la liquidità serva perché non hanno soldi per l'ordinaria amministrazione, tipo fornire banconote a chi prova a ritirare i risparmi o concedere mutui immobiliari anche a chi ha buone garanzie. Il costo del denaro è molto basso, 1 per cento, ma i mutui restano inaffrontabili, anche sopra il 5 per cento. Un po' perché si cerca di mungere i pochi in grado di affrontarli un po' perché, lo ammettono anche i bancari, diversi istituti non possono permettersi di impegnare risorse. Cioè di fare il loro mestiere.

Lo ammette perfino l'A-bi, l'associazione delle banche italiane, in un documento diffuso ieri: nel 2012 il Roe, cioè la misura di quanto sono in grado di generare profitti, "dovrebbe segnare un nuovo minimo storico con lo 0,3 per cento". Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, ammette perfino che scaricherà sui costi dei conti correnti gli oneri dovuti alle nuove procedure di lotta all'evasione decise dal governo, "il nostro sforzo sarà massimo dal punto di vista organizzativo, ma qualche impatto ci sarà". E agli investitori promette nuove espansioni in Europa, come quelle che sono appena costate al gruppo oltre 9 miliardi di perdite.

GUIDO TABELLINIGUIDO TABELLINI

A febbraio si replica con un'altra "asta" illimitata. Per allora si capirà se quella di ieri è servita a qualcosa. Di certo si è capito che per salvare gli Stati, dando loro magari anche le risorse per nazionalizzare le banche decotte, i soldi non ci sono. Ma per aiutare direttamente le banche e i banchieri, invece, si trovano sempre. L'operazione di ieri vale circa come il Fondo Salva Stati Efsf che, finora, non è riuscito a salvare nessuno.

2 - SENZA CHIEDERE NIENTE IN CAMBIO
Superbonus

Il risultato finale del complicato meccanismo messo in piedi da governo Monti e Bce è quello di consentire alle banche private di stampare denaro. Le banche hanno emesso 38,4 miliardi di euro garantiti dallo Stato italiano, se li sono ricomprati e li hanno portati in Bce ottenendo in cambio denaro per tre anni. Quanto pagano le banche allo Stato per la garanzia è un segreto nascosto dietro una formula complessa, ma alla fine il risultato incredibile è lo 0,85% all'anno.

Un'inezia se paragonata al 5,50 per cento che paga il Tesoro per collocare i Btp con scadenza 2015. Questo il trucco: il ministero delle Finanze non contabilizza come debito la fideiussione rilasciata alle banche "perché si può ragionevolmente sostenere che non sarà mai escussa". Ma anche le banche non contabilizzano i 38,4 miliardi di debito perché formalmente li collocano sul mercato ma in realtà se li ricomprano tutti e li usano per ottenere i soldi dalla Bce.

Una banca come Monte dei Paschi, che ha emesso 10 miliardi di obbligazioni che si è ricomprata, pagherà 0,85 per cento allo Stato e otterrà, ponendo in garanzia questi titoli 10 miliardi di soldi veri dalla Bce, a un tasso del 1 per cento annuo per 3 anni. Costo totale dell'operazione 1,85 per cento annuo per creare denaro dal nulla. Lo Stato non vincola le banche a sostenere le imprese o a erogare mutui. Questo spiega perché anche banche che non avrebbero immediato bisogno di liquidità hanno approfittato della norma fiutando l'affare: possono investire i nuovi soldi in Btp di pari scadenza (3 anni) ottenendo un profitto netto del 3,65 per cento.

Enrico CucchianiEnrico Cucchiani

Per la sola Intesa Sanpaolo è un profitto netto di 438 milioni annui, sul sistema un utile potenziale di 4,2 miliardi in tre anni. Mario Draghi, presidente Bce, si è più volte chiaramente opposto alla "monetizzazione del debito degli Stati". Ma qui sta favorendo la conversione in zecca delle banche, un'operazione mal strutturata perché garantita da titoli che non risultano in nessun bilancio.

Si mette così una bomba nel cuore del sistema finanziario. Se i dati dell'economia reale dello Stato garante dovessero risultare più deboli del previsto, la credibilità della garanzia ne risentirebbe. E di conseguenza quella delle banche e della Bce. Con effetti catastrofici sulla tenuta dell'euro. Nell'art. 8 della manovra finanziaria che rende possibile questa operazione il governo avrebbe potuto inserire alcune condizioni alle banche che avessero fatto richiesta delle garanzie statali, per esempio non pagare bonus ai manager, non distribuire dividendi o annullare le stock option concesse negli ultimi anni. Niente di tutto questo è stato né inserito né pensato né discusso.

 

 

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