Francesco De Dominicis per "Libero"
La moda è ciclica. Anche in banca. Così, allo sportello, potrebbero tornare a vivere una seconda vita i certificati di deposito, strumenti finanziari particolarmente apprezzati negli anni '80 e, un po' meno, nel decennio successivo. Spariti, di fatto, dalla circolazione da diverso tempo, i «buoni» degli istituti potrebbero prepotentemente farsi spazio nell'offerta degli istituti di credito. Si tratta di una forma di risparmio piuttosto semplice: a fronte del vincolo temporale (solitamente da 3 a 24 mesi, in passato fino a 60) di una certa somma la banca riconosce un interesse prestabilito.
CONSOBTutto apparentemente lineare. Le fregature, tuttavia, sono dietro l'angolo e, visti i precedenti proprio allo sportello, meglio tenere i fari accesi. Sta di fatto che nei prossimi mesi potrebbero partire vere e proprie "campagne di sistema" per rilanciare i vecchi certificati di deposito. Nel mirino degli istituti stanno per finire, in particolare, i pensionati. I quali, costretti ad aprire conti bancari dal prossimo 1 giugno per incassare assegni dall'Inps superiori a 1.500 euro, sono inconsapevolmente diventati un obiettivo commerciale degli istituti.
Come mai questo cambio di strategia da parte delle banche? La questione ruota attorno ai problemi di raccolta dell'industria creditizia. Vuoi per la progressiva erosione dei risparmi delle famiglie cagionata dalla crisi finanziaria, vuoi per le alternative di investimento assai più convenienti offerte sul mercato (a cominciare da bot e btp resi appetibili dai tassi d'interesse in salita), i prodotti "standard" delle banche hanno sofferto.
BANCA ITALIASia le forme di deposito tradizionali (come i conti correnti) sia le classiche obbligazioni bancarie. Non a caso, è intervenuta ben due volte la Bce per dare ossigeno agli istituti con le due maxi aste di liquidità. Da Francoforte, salvo sorprese, non arriveranno più quattrini. Di qui la necessità di trovare strade alternative per raccogliere denaro.
I certificati di deposito sono tutt'ora presenti nell'offerta commerciale degli istituti bancari. I quali, come emerge anche da alcuni documenti riservati dell'Abi, stanno studiando a fondo l'ipotesi di rimetterli in pista con nuova benzina. Gli esperti della Confindustria del credito, infatti, hanno diffuso agli associati una sorta di vademecum che mette in fila tutte le regole sui "cd". Un dettagliato documento, che Libero ha potuto consultare, dal quale risultano diversi vantaggi sia sul fronte tributario sia sul versante della trasparenza.
AbiNel primo caso, si tratta dell'aliquota fiscale passata dal 27,5% al 20% con le correzioni introdotte lo scorso anno. Il che vuol dire che il fisco, adesso, si mangia meno quattrini rispetto a prima. Un aspetto che non tocca direttamente né l'operatività né i loro bilanci delle banche. Ma proprio «la recente revisione della normativa fiscale in tema di tassazione delle rendite finanziarie - si legge nelle carte riservate di palazzo Altieri -ha ridestato l' interesse delle banche italiane all' utilizzo dei certificati di deposito quali strumenti di raccolta bancaria».
Stando alla dettagliata ricostruzione normativa dell'Abi, invece, per il settore bancario appare determinante il tema della trasparenza e degli requisiti di vigilanza. Alcune norme della Banca d'Italia sugli obblighi informativi, infatti, non troverebbero applicazione per i "cd" mentre le regole della Consob sui prospetti subiscono degli sconti notevoli. Il risultato? Semplice: i certificati di deposito saranno venduti con poche informazioni e i clienti saranno "costretti" ad acquistarli al buio. Occhio.