1. A CHI È ANDATO IL MILIARDO CHE IL GIGANTE PETROLIFERO ITALIANO HA PAGATO SU UN CONTO DEL GOVERNO NIGERIANO? DALLA PROCURA DI MILANO, SBUCA UN CONTO SVIZZERO 2. POCHI GIORNI DOPO AVER RICEVUTO IL MILIARDO E 92 MILIONI, 31 MAGGIO 2011, JP MORGAN RICEVE ISTRUZIONI DAL GOVERNO NIGERIANO DI TRASFERIRE LA SOMMA SU UN CONTO SVIZZERO 3. LA BANCA IN CUI ERA STATO APERTO QUEL CONTO ERA LA BANCA DELLA SVIZZERA ITALIANA. I FUNZIONARI SVIZZERI TROVANO QUEL BONIFICO SOSPETTO E STORNATO A JP MORGAN A LONDRA 4. A ‘’IL SOLE 24 ORE’’ RISULTA CHE QUEL CONTO FOSSE LEGATO A UNA SCATOLA VUOTA DI NOME PETRO SERVICE. E CHE A INTERESSARSI DI QUELL'OPERAZIONE SIA STATO GIANFRANCO FALCIONI, UN UOMO D'AFFARI ITALIANO DA 42 ANNI IN NIGERIA CHE GESTISCE UN'IMPORTANTE AZIENDA DI SUPPORTO ALL'INDUSTRIA PETROLIFERA, LA ALCON NIG LTD

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Claudio Gatti per "il Sole 24 Ore"

 

estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria

Come sempre è soprattutto una questione di soldi. In questo caso, parliamo di 523 milioni di dollari di sospette mazzette. Come ai tempi del Watergate, si tratta di seguire quei soldi e vedere dove portano. Questo sta facendo da mesi Procura di Milano in un'indagine che coinvolge le autorità di almeno altri quattro Paesi: Usa, Gran Bretagna, Svizzera e Nigeria,

 

Tra gli indagati, due nomi eccellenti: l'attuale amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni. In concorso con altre sei persone, sono accusati di aver «partecipato agli accordi intervenuti per il versamento di ingenti somme di denaro a pubblici ufficiali nigeriani in contropartita dell'attribuzione a Eni e Shell del 100% della concessione denominata Opl-245, a titolo di mero favoritismo».

dan etete dan etete

 

Eni ha fatto sapere di stare «prestando la massima collaborazione alla magistratura» e di confidare «che la correttezza del proprio operato emergerà nel corso delle indagini».

 

Alcuni dati sono già stati accertati. Si sa infatti che l'ammontare totale in questione è di un miliardo e 92 milioni di dollari. Si sa inoltre che il 24 maggio 2011 questa somma è stata bonificata dall'Eni su un conto presso la banca JP Morgan di Londra controllato dal Governo della Nigeria al fine di acquisire il 50% di una licenza di esplorazione di un campo petrolifero offshore denominato Opl-245. L'altro 50% era invece di Shell.

 

Eni ha sempre sostenuto - e ha confermato anche ieri - "di aver stipulato gli accordi per l'acquisizione del blocco unicamente con il Governo nigeriano e la società Shell. L'intero pagamento per il rilascio a Eni e Shell della relativa licenza è stato eseguito unicamente al governo nigeriano".

dan etete ex ministro del petrolio nigeriano dan etete ex ministro del petrolio nigeriano

 

La Procura, che sta indagando con il supporto del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, è invece convinta che il Governo di Abuja abbia giocato un ruolo di mero comprimario in una trattativa che nel corso di un anno e mezzo, dall'autunno del 2010 alla primavera del 2011, ha avuto come protagonisti due nigeriani e due italiani.

 

Parliamo dell'ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete, che aveva assegnato la concessione originaria dell'Opl-245 alla Malabu, società da lui stesso segretamente controllata, del faccendiere nigeriano Emeka Obi e del suo socio italiano Gianluca Di Nardo, a sua volta collegato a Luigi Bisignani, l'ex giornalista che nel 2011 ha patteggiato una condanna a un anno e 7 mesi per la questione P4.

 

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Da una lettera inviata dalla Procura di Milano alle autorità britanniche a supporto di una rogatoria si apprende che "un'enorme parte" del denaro bonificato dall'Eni - per la precisione 523 milioni di dollari - sarebbe stato "successivamente stornato" a fini corruttivi. Altri 85 milioni di dollari circa dovrebbero poi andare a Emeka Obi. A stabilirlo è stato un tribunale civile di Londra al quale aveva fatto ricorso il faccendiere nigeriano per far valere le proprie ragioni di parte interessata nella trattativa.

 

Come ha testimoniato lo stesso Obi nel procedimento londinese, quella somma sarebbe stata poi spartita con Di Nardo (anche perché quest'ultimo aveva contribuito a pagare le parcelle degli avvocati). Quei soldi sono stati però ora congelati dalle autorità britanniche su richiesta degli inquirenti italiani.

 

Insomma la questione dirimente di questa vicenda è una sola: a chi è andato il miliardo che il gigante petrolifero italiano ha pagato su un conto gestito dal Governo nigeriano? Eni ha sempre sostenuto di non essersi avvalsa di alcun intermediario e di aver sempre negoziato direttamente con il Governo della Nigeria. In un'audizione al Senato, l'aprile scorso, l'allora Ad Scaroni aveva dichiarato: "Noi trattiamo solo con i governi. Niente intermediazione". E il responsabile dell'ufficio legale Massimo Mantovani aveva reiterato: "Non abbiamo utilizzato alcun tipo di intermediario. I pagamenti sono andati - ci siamo assicurati - in un conto del Tesoro della Nigeria".

scaroni scaroni

 

Eppure documenti, intercettazioni, email e testimonianze raccolte dal nostro giornale - oltre che la sentenza di un tribunale civile di Londra - indicano che un'intermediazione c'è stata. Non solo: da messaggi di posta elettronica di cui Il Sole 24 Ore è entrato in possesso risulta evidente che il Governo nigeriano aveva un semplice ruolo di garante tra Eni e Malabu e che, in base agli accordi presi, il denaro pagato sul conto del Tesoro a cui ha fatto riferimento l'avvocato Mantovani sarebbe dovuto andare Malabu/Etete.

 

Certo è che su quel conto il miliardo depositato dell'Eni è rimasto ben tempo. E sebbene molti dei beneficiari finali rimangano ancora ignoti, il nostro giornale è in grado di ricostruire alcuni passaggi-chiave. Già il primo è estremamente interessante. Pochi giorni dopo aver ricevuto il miliardo e 92 milioni, per l'esattezza il 31 maggio 2011, ci risulta che JP Morgan abbia ricevuto istruzioni dal Governo nigeriano di trasferire l'intera somma su un conto svizzero.

scaroni e renzi spl scaroni e renzi spl

 

La banca in cui era stato aperto quel conto era la Banca della Svizzera Italiana, una controllata del gruppo assicurativo triestino Generali (di cui, ironia della sorte, l'allora Ad dell'Eni Paolo Scaroni era consigliere di amministrazione). Quando i funzionari svizzeri si vedono arrivare un bonifico di quella portata aprono immediatamente una due diligence. E trovando quel bonifico sospetto decidono di restituire il denaro. Che così torna sul conto JP Morgan a Londra.

 

A Il Sole 24 Ore risulta che quel conto fosse legato a una scatola vuota di nome Petro Service. E che a interessarsi di quell'operazione sia stato Gianfranco Falcioni, un uomo d'affari italiano da 42 anni in Nigeria che gestisce un'importante azienda di supporto all'industria petrolifera, la Alcon Nig Ltd. Falcioni è anche vice-console onorario italiano nella città di Port Harcourt, un porto sul delta del Niger.

 

Raggiunto telefonicamente dal nostro giornale, l'uomo d'affari non ci ha aiutato a fare chiarezza. Dopo aver esordito sostenendo di non "saperne niente", ci ha spiegato che "la Petro Service è una società costituita anni fa per altre cose, ma che non ha mai operato". Falcioni ha poi detto che "non è mai andato niente su Petro Service".

 

CLAUDIO DESCALZI CLAUDIO DESCALZI

Gli abbiamo allora chiesto da chi era stata costituita la Petro Service.

"È stata costituita… non mi ricordo neppure più…"

Ma la conosce?

"L'ho sentita nominare".

Non ha a che vedere con lei?

"Assolutamente"

Vuol dire no?

"Ma cosa vuole lei? .. Non ne so niente. Non è legata a me… Non so niente dell'Opl-245. Che cos'è?"

Ha mai avuto scambi di scambi di informazioni riguardante quel miliardo?

"Assolutamente no".

 

Al nostro giornale risulta invece che ci siano testimonianze e/o documenti che attribuiscono a Falcioni un ruolo negli spostamenti del miliardo.

Dopo che il denaro è tornato sul conto di JP Morgan, apparentemente si è fatto un tentativo di trasferirlo su un conto aperto da Malabu in Libano. Ma anche quel tentativo è fallito.

 

claudio descalzi claudio descalzi

Si arriva così al 16 agosto, quando il Ministro delle Finanze nigeriano ordina il bonifico di 401 milioni di dollari su un conto della First Bank of Nigeria intestato a Malabu. Il 23 agosto altri 400 milioni vengono poi bonificati su un altro conto, sempre intestato a Malabu, ma questa volta sulla Keystone Bank. Nei giorni successivi parte poi una girandola di altri trasferimenti su vari conti.

 

Grazie al lavoro di analisi svolto sia dalle autorità nigeriane sia da quelle statunitense, la Procura è arrivata alla conclusione che 523 milioni abbiano avuto come beneficiario tale Alyiu Abubakar, "persona notoriamente legata a pubblici ufficiali di livello elevato in Nigeria". E che "sembra ragionevole ipotizzare che siano state effettuati (altri pagamenti) per scopi corruttivi. Per esempio il pagamento di 10 milioni di dollari a favore di Bayo Ojo San, ex Attorney General della Nigeria".

 

Il fatto che quest'ultimo signore sia stato tra i beneficiari non sarebbe affatto casuale. Bayo Ojo era infatti Ministro della giustizia proprio nel periodo in cui, dopo anni di tira e molla, il governo nigeriano aveva definitivamente ufficializzato l'assegnazione della concessione per l'Opl-245 a Malabu.

 

Ovviamente il principale beneficiario del miliardo dell'ENI si pensa sia stato l'ex Ministro del petrolio Dan Etete, che avrebbe usato parte di quei soldi per comprarsi un aereo, un'auto blindata e per saldare un conto con la giustizia francese. Nel 2007 Etete era stato condannato per corruzione dal Tribunale di Parigi e in appello la condanna era stata tramutata in una multa. Le autorità francesi hanno comunicato a quelle italiane che da uno dei vari conti in cui Malabu aveva ricevuto il denaro dell'Eni sono stati trasferiti 7.413.861 dollari per pagare la tesoreria francese.

 

Conclusione della Procura: "Etete non può essere considerato un mero 'vendor' del blocco. Egli è stato necessariamente parte dell'azione delittuosa dal momento che il suo consenso alla vendita era obbligatorio per riuscire a definire l'affare illegale". Etete è stato anche un veicolo per la distribuzione di tangenti, come emerge chiaramente dall'analisi dei flussi di denaro originate dalla rimessa di un miliardo, 92 milioni effettuata dall'Eni a favore del conto di JP Morgan nel Regno Unito".

BANCA DELLA SVIZZERA ITALIANA images BANCA DELLA SVIZZERA ITALIANA images

 

Sul fronte italiano, si legge negli atti della Procura, "si ritiene che Scaroni (all'epoca Ad di Eni) e Descalzi (all'epoca capo della principale divisione dell'Eni, Exploration & Production e al momento attuale Ad dell'Eni) abbiano organizzato e diretto l'attività illecita".

Sia Descalzi che Scaroni respingono ogni accusa.

 

Secondo gli inquirenti, invece, "Descalzi era anche in continuo contatto con Obi". A provarlo sono alcune intercettazioni telefoniche fatte casualmente nell'ambito della cosiddetta inchiesta P-4 dalle quali risulta che Bisignani aveva chiesto al suo amico Scaroni di aprire le porte dell'Eni al duo Obi-Di Nardo, che l'Ad dell'Eni aveva assegnato al suo braccio destro operativo Claudio Descalzi il compito di occuparsene e che, in alcuni momenti chiave della trattativa per l'Opl 245, quest'ultimo aveva tenuto ad aggiornare Bisignani e aveva parlato con lui delle mosse di Obi.

 

A Il Sole 24 Ore risulta anche che Descalzi si era rivolto a Obi anche per una vicenda che non riguardava l'Opl-24 ma per Eni era forse ancor più delicata. Il 25 novembre 2010 funzionari della Economic and Financial Crimes Commission, una sorta di Guardia di Finanza nigeriana, avevano infatti arrestato il direttore esecutivo di Saipem, la controllata dell'Eni, assieme a 10 dirigenti della società di costruzioni Usa Halliburton.

 

L'accusa era di corruzione, in relazione alla realizzazione di impianti per il gas naturale liquefatto a Bonny Island. Dagli atti del tribunale di Londra risulta che il giorno dopo Descalzi si era incontrato con Obi al Jumeirah Carlton Hotel di Londra. E che in quell'occasione aveva "chiesto aiuto a Obi su questioni con il Governo federale nigeriano e il Ministro della Giustizia in relazione al problema Saipem/Halliburton".

 

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