1. LA GRANDE RECITA DI BERLUSCONI E BOLLORÉ CHE SI AZZANNANO IN PUBBLICO E TRATTANO IN PRIVATO, TRAMITE BEN AMMAR. PER NON FAR SCATTARE L’OBBLIGO DI OPA SU MEDIASET
2. SE TROVASSERO UN’INTESA PUBBLICA, I DUE AVREBBERO UN ‘BLOCCO’ DEL 58% DELLE AZIONI, E LA CONSOB DOVREBBE OBBLIGARLI A LANCIARE L’OPA SUL RESTO, FACENDOLI SVENARE. INVECE IL BANANA VUOLE SPREMERE IL PREZZO MIGLIORE PER LA SUA USCITA DAL BISCIONE
3. LE DENUNCE, I RICORSI, LE QUERELE SUL ‘MCDONALD’ E I PIANTI DEI CALENDA SERVONO ANCHE A MOSTRARE UNA DIFESA DELL’‘ITALIANITÀ’. SILVIO È PUR SEMPRE UN LEADER POLITICO, E PERDEREBBE CONSENSI SE FOSSE COLUI CHE HA SVENDUTO IL GIOIELLO AGLI ODIATI FRANCESI
4. MA MEDIASET GIÀ NON È PIÙ ITALIANA: CON IL 20% BOLLORÉ NON FATICHERÀ AD ARRIVARE A UN TERZO DEI VOTI IN ASSEMBLEA PER BLOCCARE OGNI OPERAZIONE STRAORDINARIA
5. ZINGALES: MAGARI CON MEDIASET IN MANO ALLO STRANIERO DIVENTIAMO UN PAESE NORMALE

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1. BELUSCONI E BOLLORÉ SI AZZANNANO IN PUBBLICO E TRATTANO IN PRIVATO. PER NON FAR SCATTARE L’OBBLIGO DI OPA SU MEDIASET

DAGONEWS

tarak ben ammar nabil karoui e silvio berlusconi tarak ben ammar nabil karoui e silvio berlusconi

 

Trattano? Certo che trattano. Non bisogna guardare alle interviste apparentemente furiose di Confalonieri. I Berlusconi stanno negoziando una ‘resa condizionata’ con Bolloré – con mediatore il solito Tarak Ben Ammar, amico di entrambi e gran conoscitore di Italia, Francia e tv –, e l’incontro tra Arnaud de Puyfontaine, boss di Vivendi, e Piersilvio è solo la punta dell’iceberg.

 

Il Banana non ha alternative, e questo lo scriveva Dagospia molti mesi fa, che ormai sono diventati anni, nonostante le smentite da entrambe le parti.

 

25 settembre 2015

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/squalo-bretone-conquistate-mediobanca-telecom-bollor-ha-fiutato-109348.htm

 

LA ROAD MAP: SI INIZIA CON LE ANTENNE DI EI TOWERS, POI IL BUCO NERO DI MEDIASET PREMIUM, INFINE TUTTO IL CUCUZZARO DI COLOGNO MONZESE. MA NON SUBITO, TEMPO 1-2 ANNI - 15 marzo 2016

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/corso-rivoluzione-politico-economica-come-non-se-ne-vedevano-120567.htm

 

LE RIDICOLE SMENTITE DI SILVIO

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/berlusconi-liquida-tutto-non-patonza-io-sono-amico-bollor-121018.htm

 

E DI VIVENDI

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/bollore-smentisce-che-megabufala-notizia-vivendi-che-compra-119085.htm

 

Fatto il ripasso delle puntate precedenti, torniamo al presente. Bolloré e Berlusconi trattano dunque da due anni, e continuano a farlo, nonostante la pioggia di cause, denunce, ricorsi, ora pure la minaccia di querela per le parole di de Puyfontaine al ‘Corriere’ (‘Mediaset Premium è un McDonald’s, noi ci aspettavamo un ristorante a 3 stelle’).

 

berlusconi in tunisia con tarak ben ammar berlusconi in tunisia con tarak ben ammar

La trattativa deve però avvenire nel massimo segreto. I motivi sono molti. C’è il riserbo fisiologico intorno a un deal multimilardario, il segreto delle sue clausole, le condizioni che non potranno mai uscire dalla sala riunioni. Ma ce ne sono due più importanti degli altri: fuori dalle stanze ovattate di Cologno deve proprio sembrare una guerra. Perché così nessuno potrà dire che Silvio, tuttora leader politico di un fronte in disfacimento, sta svendendo il suo impero agli odiati francesi, o che il governo Renzi-Gentiloni lo permetta. E allora via con il coro di pianti sull’‘italianità’ e la strategicità di Mediaset.

 

VINCENT BOLLORE TARAK BEN AMMAR VINCENT BOLLORE TARAK BEN AMMAR

Ma c’è un altro motivo più serio, a livello giuridico, spiegato bene oggi sul ‘Sole 24 Ore’: se i due fronti si trovassero davvero a trattare, e a trovare una posizione comune, saremmo di fronte a un ‘concerto’, cioè a un blocco azionario uniforme, che possiede oltre il 58% (38% e rotti di Fininvest, 20% di Vivendi), e che dunque dovrebbe lanciare un’Opa totalitaria sulle restanti azioni. Una simile operazione farebbe svenare entrambi e avvantaggerebbe i francesi, molto più liquidi.

 

TARAK BEN AMMAR BOLLORe? PADRE E FIGLIA TARAK BEN AMMAR BOLLORe? PADRE E FIGLIA

Per permettere alla Consob, all’AgCom e ai tribunali di guardare dall’altra parte e lasciare che Berlusconi sprema il miglior prezzo possibile per la sua creatura, i due devono sembrare due separati in casa.

 

Peraltro, il tema dell’italianità di Mediaset è stato ormai ampiamente superato dai fatti: l’azienda già non è più italiana o nel controllo di Berlusconi, dovendo tra poco trovare un ‘modus vivendi’ con l’ingombrante e predatorio socio Bolloré. Che potrà di volta in volta raggiungere un terzo dei voti in assemblea (o con accordi con altri azionisti, o in caso di loro assenza, o salendo fino al 29,9% che non lo obbliga a lanciare l’Opa) e bloccare ogni operazione straordinaria decisa dalla (non più) controllante Fininvest.

 

 

2. IL GIOCO DELL'OPA

Antonella Olivieri per ‘Il Sole 24 Ore

 

CONFALONIERI PIERSILVIO BERLUSCONI CONFALONIERI PIERSILVIO BERLUSCONI

Il gioco dell' Opa nella partita Mediaset. Venerdì il ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, era a Roma per il consiglio di Telecom, fatto insolito perché per questioni logistiche i francesi preferiscono riunirsi a Milano. Il motivo lo si è capito dopo. Già da giovedì "l' ambasciatore" in Italia di Vincent Bolloré aveva cercato udienza dal nuovo premier Paolo Gentiloni, incontrandosi poi l' indomani con il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

 

Evidentemente la priorità era tastare gli umori governativi, dopo gli ammonimenti contro i metodi spicci dei francesi (e i ricordati paletti della legge Gasparri). Solo nel pomeriggio, sulla strada del ritorno, De Puyfontaine ha fatto tappa a Cologno per constatare, in un breve incontro formale con PierSilvio Berlusconi, che la porta resta sbarrata.

 

bollore de puyfontaine assemblea vivendi bollore de puyfontaine assemblea vivendi

Non è una posizione irragionevolmente motivata dall' orgoglio ferito: la famiglia Berlusconi, che controlla a maggioranza relativa il gruppo di Cologno monzese, non ha alternative se non l' arrocco. La volontà di trattare dichiarata da Vivendi cozza contro le logiche e le regole della finanza. Nessun accordo - se con questo si intende la cogestione - è possibile tra chi ha in mano il 20% (Vivendi) e chi invece ha il 38,26% (Fininvest), per il semplice motivo che scatterebbe il "concerto" e con esso, dato che la somma delle due partecipazioni supera di 58%, l' obbligo congiunto di Opa totalitaria.

 

Con il piccolo particolare che le risorse finanziarie sono impari: ben più ampie quelle dei francesi che avrebbero gioco facile a fagocitare il gruppo del Biscione, in posizione di forza e con gli altri bloccati su una partecipazione non smobilizzabile.

 

VINCENT BOLLORE ARNAUD DE PUYFONTAINE VINCENT BOLLORE ARNAUD DE PUYFONTAINE

Un accordo, in teoria, si potrebbe ancora trovare, smontando tutte le posizioni accumulate e tornando al punto di partenza. Ma che senso avrebbe avuto per Vivendi mettere sul piatto 800 milioni per rilevare il 20% di Mediaset, se poi la soluzione è tornare al contratto di aprile su Premium - con lo scambio reciproco del 3,5%- che da luglio Parigi non vuole più onorare?

 

Se davvero - come dicono le voci, smentite in settimana dallo stesso Silvio Berlusconi - la famiglia non fosse del tutto compatta sul destino finale di Mediaset, a Fininvest converrebbe comunque vendere cara la pelle.

 

Difendersi per vie legali, ottenendo il sequestro delle azioni di Vivendi o perlomeno la sterlizzazione dei diritti di voto in attesa di accertare se c' è stato l' aggiotaggio denunciato, è per ora la priorità. Un punto a favore su questo fronte cambierebbe probabilmente il corso alla partita. Se non ci si riuscisse, in ogni caso l' arrocco attivo farebbe aumentare il costo della scalata.

 

Salire a termine nel capitale di Mediaset, per Fininvest non pare invece praticabile, perché le partecipazioni potenziali farebbero comunque superare la soglia d' Opa all' azionista maggioritario. Un "passo falso" che evidentemente Fininvest non vuole compiere per non prestare il destro all' avversario, che troverebbe così il pretesto giusto per rilanciare con una contro-Opa. E più che il motto del "vinca il migliore", prevarrebbe la logica del "cash is king", che avvantaggia i francesi.

de puyfontaine mediaset vivendi de puyfontaine mediaset vivendi

 

Un' Opa però ancora non c' è e Mediaset non è dunque soggetta alla passivity rule.

Ma se per difendersi progettasse operazioni sul capitale, come per esempio una fusione dalla valenza strategico-industriale, troverebbe la strada sbarrata dalla minoranza di blocco che Vivendi potrebbe facilmente esercitare nelle assemblee straordinarie - sede deputata all' approvazione di queste operazioni, con la maggioranza dei due terzi - tenuto conto che nulla vieta al gruppo presieduto da Vincent Bolloré di salire fino al 29,9% senza dover lanciare alcuna offerta.

 

Se comunque l' argine dovesse cedere e i francesi espugnassero la cittadella di Cologno, il rischio sarebbe quello di perdere alla "causa dell' italianità", non una bensì due aziende di peso del Paese.

 

Gasparri Berlusconi Gasparri Berlusconi

Il Sic, che recepisce la legge Gasparri, imporrebbe a Vivendi la scelta tra Mediaset e Telecom. Ma nei piani di Bollorè c' è già il progetto di un polo mediterraneo che faccia leva su contenuti e tlc.

 

Finirebbe in un' asta tra Orange e Telefonica per chi si aggiudica, al miglior prezzo, la quota maggioritaria di Telecom (magari nemmeno tutta quella in mano oggi a Vivendi), non solo cavando le castagne dal fuoco al finanziere bretone, ma assecondandone altresì i disegni di grandeur.

 

Intendiamoci, magari potrebbe anche avere un senso, però a guidare le scelte non sarebbe nè Mediaset, nè Telecom.

 

 

3. MAGARI CON UNA MEDIASET STRANIERA L' ITALIA DIVENTA UN PAESE NORMALE

Luigi Zingales per ‘Il Sole 24 Ore

 

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha un sito web destinato ad attirare gli investimenti esteri in Italia (http://www.investinitaly.com/). Tra le iniziative promosse spicca il Global Roadshow, volto a spiegare «le politiche dell' Italia per l' attrazione degli investimenti esteri». Il sito, però, specifica che «l' evento è su invito».

 

LUIGI ZINGALES LUIGI ZINGALES

Forse per questo il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, discutendo dell' acquisto del 20% di Mediaset da parte del francese Bolloré, ha dichiarato che non è «il modo più appropriato di procedere per rafforzare la propria presenza in Italia». Non era stato invitato. Il governo e la nostra classe politica vogliono l' Europa e la globalizzazione «su invito».

 

Almeno quando si tratta dell' entrata nei salotti buoni, perché non c' è altrettanta simpatia per i lavoratori che si sentono minacciati dagli immigrati. Dopo Brexit, Calenda aveva affermato: «Quanto più gli inglesi regoleranno e limiteranno la presenza di cittadini comunitari nel Regno Unito, tanto più noi limiteremo la presenza di merci del Regno Unito in Europa».

 

Passi per chi viene dai salotti buoni, dove si chiede permesso prima di entrare e dove si sta molto attenti a non offendere gli invitati, ma dove è lecito spellare il parco buoi degli azionisti. Ma come può tale posizione venire da un esponente di un partito che si definisce ancora di sinistra?

 

carlo calenda carlo calenda

Passi il nazionalismo economico di Salvini e quello di Fassina, almeno entrambi sono coerenti nel rifiutare il mercato in tutte le sue forme e metodi. Passi anche l' opposizione dell' ex Ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani: ha sempre dimostrato un amore personale per l' azienda del capo del suo partito. Ma come spiegarlo da parte di Carlo Calenda, esponente del Pd e grande sostenitore del libero scambio?

 

Quel Calenda che era stato uno strenuo sostenitore del Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), un accordo che avrebbe severamente limitato la capacità degli stati sovrani di regolare le multinazionali. Proprio quella sovranità che Calenda implicitamente minaccia di usare contro Bolloré. Se non bastassero i principi dell' europeismo e del libero mercato, a convincerci che il governo debba accogliere di buon cuore qualsiasi investimento estero, c' è la natura dell' impresa oggetto di attenzione.

carlo calenda matteo renzi carlo calenda matteo renzi

 

Per decenni il Pds prima e il Pd poi hanno (giustamente) combattuto l' anomalia italiana di un Presidente del Consiglio che controlla personalmente metà del mercato televisivo italiano. Ora che l' opportunità di sanare per sempre quest' anomalia si presenta su un piatto d' argento, uno dei suoi esponenti protesta nel silenzio generale del resto del partito?

 

Sia chiaro che in nessun modo voglio difendere Bolloré, uno spregiudicato finanziare che temo si comporterà in modo da far rimpiangere i capitalisti nostrani (che poco hanno da essere rimpianti). Ma difendo il principio di libera concorrenza.

Non possiamo essere europeisti a giorni alterni. Non possiamo difendere la concorrenza e il mercato per gli altri e poi diventare protezionisti quando il mercato ci tocca direttamente. E penso che sia solo positivo che attività "strategiche" come la televisione siano in mano a non italiani.

IL PRESIDENTE DELLA CONSOB GIUSEPPE VEGAS IL PRESIDENTE DELLA CONSOB GIUSEPPE VEGAS

 

Almeno c' è una speranza che le nostre autorità si sveglino e facciano il loro dovere.

L' unica volta che la Consob di Vegas ha mostrato dei segni di vita è stato proprio quando Bolloré ha cercato di impadronirsi di Fonsai. Solo allora si sono ricordati delle regole del Testo Unico della Finanza. E guarda a caso l' Agcom si è svegliata solo ora, brandendo nientemeno che la legge Gasparri. A dimostrazione delle ferite profonde lasciate dal conflitto di interesse berlusconiano, la legge fatta su misura dal governo Berlusconi per l' azienda di famiglia torna comoda per difendere il patriarca.

 

Magari con uno "straniero" a capo di Mediaset, l' Agcom si ricorderà di far rispettare la par condicio, il Governo imporrà il limite di due reti televisive, e le frequenze per le televisioni saranno messe all' asta come quelle per i telefoni. Magari con uno "straniero" a capo di Mediaset diventiamo un Paese normale.

 

 

 

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