ITALIAN BANKSTERS A CULO SCOPERTO! - IMBERT (MORGAN) E LE SPINE DI SARAS (MORATTI BROS.) - FUSIONE UNICREDIT-CAPITALIA: IL RISPARMIATORE PERDE IL 70% DEL VALORE - MAGNONI: TASSE IN ITALIA, DIVIDENDI E PLUSVALENZE IN LUSSEMBURGO...

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Brani tratti dal libro "Italian Banksters" di Laura Serafini, Fazi Editore

COPERTINA DI ITALIAN BANKSTER  LAURA SERAFINICOPERTINA DI ITALIAN BANKSTER LAURA SERAFINI

1 - IMBERT (JP MORGAN) E LE SPINE DI SARAS. ORA E' ANCHE INDAGATO...
"A fine aprile la società annuncerà lo sbarco in Borsa di SARAS, attraverso la cessione del 38 per cento del capitale, con una valutazione tra 4,7 e 5,8 miliardi, corrispondente a un prezzo per azione tra 5,25 e 6,5 euro: un bel salto rispetto alle valutazioni immaginate dal mercato all'inizio dell'anno. La società spiegherà che il valore è stato stabilito sulla base delle richieste avanzate dagli investitori istituzionali durante il road show internazionale: le prenotazioni sui titoli si erano rivelate superiori all'offerta.

E in effetti, quando si conclude la fase di offerta pubblica di vendita, la richiesta di azioni supera di quattro volte l'offerta. Ma quando il titolo sbarca a piazza Affari, il 18 maggio, subisce un tracollo: il primo giorno di contrattazioni chiude con una flessione del 13 per cento. È solo l'inizio di una fase discendente che andrà avanti per mesi [...]

Non farà lo stesso la procura di Milano, che manderà la Guardia di Finanza a perquisire gli uffici di J.P. Morgan e Caboto. All'inizio del 2007 si diffonde la notizia dell'apertura di un'inchiesta penale. [...]In particolare, il nostro viene menzionato in una serie di mail sequestrate dai finanzieri ed esaminate dal perito.

Federico ImbertFederico Imbert

Si racconta nell'articolo, riportando il contenuto della corrispondenza: è vitale che davanti al prezzo ci sia un 6», scriveva il numero uno di J.P. Morgan, Federico Imbert, a un suo collega, mentre il bookbuilding attraversava una fase critica. J.P. Morgan, oltre alle commissioni per il collocamento, otterrà, cosa taciuta nel prospetto, anche il mandato dalla famiglia Moratti per gestire attraverso la sua filiale di private banking, i lauti proventi della quotazione.

Un altro banchiere di J.P. Morgan, Emilio R. Saracho (probabilmente del private banking) svela in una email un ulteriore dettaglio: «Devi essere al corrente del fatto che abbiamo ottenuto 1,6 miliardi di euro, cioè da entrambi i fratelli, ma uno dei due deve ripagare 500 milioni di debiti, e così quella parte non la vedremo per lungo tempo».

Sempre Imbert, il 14 marzo 2006, alza il sipario sui presunti interessi di Banca Intesa: «Parlato a lungo con Miccichè di Intesa. È contento del lavoro fatto insieme su SARAS e Intercos. È personalmente a disposizione per stimolare forza vendita specialmente su SARAS. Chiede di informarlo se vediamo problemi o sgranature.

Moratti al completoMoratti al completo

Tiene ovviamente molto al successo data l'esposizione sua e di Passera con i Moratti. È stato da lui Galeazzo Pecori Giraldi di Morgan Stanley consigliando di non esagerare sul prezzo. Lui crede che lo faccia per invidia nei nostri confronti». In un documento, poi, trovato presso la J.P. Morgan, intitolato "Materiale di discussione", si spiega la scelta di affiancare un aumento di capitale, non necessario, alla vendita di titoli da parte della famiglia. Se così non fosse, «verrebbe evidenziata una scarsa propensione a investire e si darebbe l'idea che la proprietà vuole solo fare cassa, prestando il fianco a critiche su altre iniziative (metti i soldi nell'Inter).

Come abbiamo detto, poco dopo il debutto in Borsa della SARAS il settore della raffinazione e del petrolio ha subito una forte flessione sui mercati finanziari. Federico Imbert si è sempre detto convinto che la causa del tonfo a piazza Affari della società vada cercata nell'andamento del mercato. Ha sempre respinto ipotesi di secondi fini nella scelta del prezzo della SARAS: del resto - è la sua linea- non è il banchiere a stabilirlo. Egli si limita a proporre un range, spesso consigliando una soluzione prudenziale. La decisione finale è sempre dei manager della società.

galeazzo pecori giraldi galeazzo pecori giraldi

Che il settore abbia accusato una forte frenata nei mesi successivi allo sbarco in Borsa della SARAS, comunque, è confermato dai giornali di quel periodo: «Affondano i titoli petroliferi», titola «Il Sole 24 Ore» dell'8 settembre 2006. E ancora: «Seduta negativa per i titoli del comparto petrolifero.

In una giornata di vendite per tutto il listino di Piazza Affari, i ribassi del comparto sono stati alimentati dalla caduta del prezzo del petrolio, ai minimi degli ultimi cinque mesi, e dalle revisioni al ribasso delle case d'affari sui margini dell'attività di raffinazione». Non si può, però, non ricordare che il rischio volatilità del prezzo del petrolio era ben presente ai manager dell'azienda nei mesi antecedenti la quotazione.

Al di là dell'inchiesta giudiziaria, in ogni caso, il risultato dell'operazione si può sintetizzare anche in questo modo: la famiglia Moratti ha incassato 1,7 miliardi; le tre banche d'affari, inclusa J.P. Morgan, tra i 20 e 27 milioni ciascuna in termini di commissioni; i risparmiatori ci hanno rimesso il 35 per cento del valore che avevano investito".

Il Corriere della Sera di ieri (15 luglio) rivela: "Sono Federico Imbert, responsabile della divisione italiana di JP Morgan, il suo braccio destro Simone Rondelli (poi messosi in proprio) e Galeazzo Pecori Giraldi di Morgan Stanley, i banchieri più in vista indagati dalla procura di Milano" nella vicenda Saras.

GERONZI profumoGERONZI profumo

2 - FUSIONE UNICREDIT-CAPITALIA: IL RISPARMIATORE PERDE IL 70 PER CENTO DEL VALORE INVESTITO...
"La regia della fusione tra Unicredit e Capitalia è il colpo più grosso messo a segno dal banker dopo la sua uscita da Goldman. Il suo compenso per quell'operazione è stato di circa 6 milioni di euro. La fusione va in porto nella primavera del 2007, l'ultima del governo Prodi. [...].

Che cosa porta Costamagna sul cammino di Geronzi e Profumo? Racconta il banchiere di Goldman: «Geronzi non poteva avvalersi di Arpe, tra i due non c'era più rapporto. Quando il presidente e Profumo hanno cominciato formalmente a negoziare, avevo già impostato buona parte del lavoro sulle dinamiche della fusione. Profumo ha detto chiaramente che con Arpe non voleva avere a chefare e che comunque non sapeva che ruolo dargli dopo l'aggregazione.

Geronzi non aveva voluto affidarsi a una banca d'affari per ragioni di riservatezza, così ha scelto me. Il mio rapporto con Profumo ha aiutato: Geronzi sapeva che ero suo amico e che questo poteva facilitare le cose. Conoscevo molto bene le strutture di Unicredit, per cui quando è stato chiaro che c'era la volontà di fare l'operazione, l'abbiamo chiusa in tre settimane».

La banca milanese (assistita da Andrea Orcel di Merrill Lynch) acquista Capitalia attraverso uno scambio azionario: il con cambio valorizza i titoli del gruppo romano a 7 euro. I soci che aderiscono allo scambio, e poi vendono nel giro di poco tempo le azioni Unicredit ricevute, fanno un affare: come la famiglia Angelucci, che a settembre 2007 ha ceduto 61 milioni di titoli Unicredit, incassando 450 milioni e portando a casa una plusvalenza di 300 milioni.

Andrea OrcelAndrea Orcel

Chi invece decide di credere nelle future prospettive di crescita del conglomerato Unicredit-Capitalia deve presto ricredersi: prima dell'annuncio della fusione, Unicredit vale 7,6 euro. A gennaio 2008, a integrazione completata, il titolo scende a 6 euro: la flessione è lenta e progressiva. Le azioni raggiungono quota 3,6 euro ad agosto 2008, prima dell'inizio della crisi innescata dal fallimento di Lehman. A dicembre 2008 sono arrivate a 1,6 euro".

3 - MAGNONI (EX LEHMAN) E IL CONFLITTO DI INTERESSI CHE NON C'E'...
"Qui vale la pena aprire una parentesi sul problema del conflitto di interessi: Magnoni ha investito personalmente in una moltitudine di società (di cui parleremo anche più avanti), alcune operanti in settori della finanza con cui la stessa Lehman ha fatto affari. Ciò nonostante, il banchiere ritiene che tutte le sue attività siano state fatte alla luce del sole e ha fornito ai suoi collaboratori, a supporto della sua posizione, un'inedita spiegazione.

Nel 2002 un giro di vite è stato imposto nella disciplina che riguarda le aziende americane dal Sarbanes-Oxley Act, una legge varata dopo il fallimento del gruppo ENRON. Tra i tanti elementi disciplinati da questa norma, c'è la regolazione dei conflitti di interesse, che possono comunque sussistere ma che devono essere dichiarati. Magnoni allora ha deciso di rivedere la sua posizione con Lehman, una scelta che sostiene di aver negoziato direttamente con l'amministratore delegato uscente, Dick Fuld.

Ruggero MagnoniRuggero Magnoni

Il banchiere italiano ha acconsentito ad abbandonare gli incarichi nei comitati esecutivi dell'istituto, ovvero negli organismi deputati a decidere con quali società fare affari o eventualmente quali finanziamenti concedere (ma ha mantenuto, fino al-l'ammissione della banca al Chapter 11, il posto in consiglio di amministrazione). Tutte le operazioni effettuate dalla banca in oltre quindici anni con le società della famiglia Magnoni sono state fatte - questa è la tesi - a condizioni di mercato.

Inoltre alla Lehman è stata man mano fornita tutta la documentazione relativa alle aziende di cui il banchiere è azionista o consigliere. In questa lista c'è anche la Likipi6, una società fondata nel 1999, lo stesso anno dell'OPA Telecom, e che di fatto è una specie di cassaforte della famiglia Magnoni.

Il banchiere compila la sua dichiarazione dei redditi e paga le tasse in Italia, ma soltanto per la componente di reddito dipendente che percepisce come dipendente di Lehman prima e di Nomura adesso. Tutto il resto, ovvero dividendi e plusvalenze realizzate sulle aziende partecipate, finisce in Lussemburgo nella Likipi: è una società di partecipazione finanziaria (soparfi) soggetta alla legge fiscale comune lussemburghese che appare
regolarmente nella documentazione della CONSOB come strumento controllato dal banchiere".

 

 

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