DI MALE IN GREGGIO - PERCHÉ AFFONDA IL PREZZO DEL PETROLIO? PERCHÉ LA CRISI ECONOMICA HA RIDOTTO IL BISOGNO DI ENERGIA, E LE NUOVE TECNICHE DI ESTRAZIONE HANNO INONDATO IL MERCATO DI SHALE OIL

Nel 2008, quando la Cina aveva una sete inesauribile di petrolio e l’economia globale correva, si sono programmati investimenti e ricerca per estrarne di più. Ma sono operazioni a lungo termine, e ora che quel greggio arriva sui mercati, non serve più - Per gli esperti il prezzo è stato gonfiato dalla speculazione...

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Luigi Grassia per “la Stampa

 

Il crollo della Borsa ha fra le sue cause il prezzo del petrolio che va giù e fa perdere punti ai titoli dell’energia. Ma questo pone due problemi di interpretazione.

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1) Di solito, se ci sono crisi geopolitiche in zone delicate per il petrolio e il gas (come sta succedendo adesso in Iraq, Siria e Ucraina) il prezzo del barile sale, non scende.

2) Se il prezzo del petrolio scende, tutte le altre azioni, escluse quelle dell’energia, avrebbero spazio per salire, perché si prospettano mesi o anni di energia a buon mercato che favorisce la ripresa economica. E invece tutti giù per terra con il petrolio. C’è qualcosa che non quadra.

 

Perché il greggio si deprezza?

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Una tensione al ribasso sui prezzi del petrolio e del metano viene dai nuovi idrocarburi «shale» che hanno enormemente aumentato l’offerta mondiale. Ma fanno la loro parte anche gli idrocarburi convenzionali. «Nel 2008 il barile era a 150 dollari e la sete di greggio della Cina, in pieno boom, sembrava infinita» dice Massimo Siano (di Etf Securities), che a Londra negozia titoli sul petrolio e le materie prime. «Tutte le compagnie hanno fatto investimenti enormi in trivellazioni, con la certezza di essere remunerate. Ma negli idrocarburi ci vogliono 6 o 7 anni prima di raccogliere i frutti degli investimenti. Dal 2008 a oggi è passato il tempo giusto a inondare il mercato di nuovo greggio, come sta succedendo ora. Da qui una concausa del ribasso dei prezzi».

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Ma perché il crollo proprio ora?

Rafforza il concetto Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia: «In Medio Oriente ci sono zone dove estrarre il greggio costa meno di 10 dollari al barile. Io sostengo che il prezzo sia troppo alto fin da quando ha superato i 40 dollari, e adesso siamo a 85. Ancora troppo». Ma perché il mercato se n’è accordo solo adesso? Semplicemente perché, secondo Tabarelli, «la finanza ha deciso di prenderne atto all’improvviso, come fa sempre. I soldi devono pur andare da qualche parte e per anni si è speculato al rialzo sul petrolio. Adesso si vende, poi quando i prezzi saranno allettanti la finanza ricomincerà a comprare, senza che la svolta sia giustificata da qualcosa successo nel frattempo. Va sempre così».

 

La guerra in Ucraina ha un ruolo?

Tabarelli concede che qualche evento giustifica in parte la svolta del mercato, sia pure senza determinarla. «La Russia ha vinto la guerra in Ucraina. È così, secondo i mercati. In estate, quando Kiev era al contrattacco, il petrolio un po’ rincarava. Ma l’offensiva è fallita, e gli investitori non credono più che ci possa essere una rivincita ucraina. La guerra è finita e il greggio va giù. Quanto all’Iraq e alla Siria, per i mercati, che sono cinici, si tratta di guerricciole: tanti poveri morti, ma solo pochi e vecchi pozzi coinvolti».

Pozzi di petrolio Pozzi di petrolio

 

L’Arabia manovra il mercato?

Nessun credito all’ipotesi, diffusa sui mass media, che l’Arabia Saudita manovri la caduta dei prezzi per mandare fuori mercato gli idrocarburi «shale» (che hanno un costo di produzione di 65 dollari) o per deprezzare il greggio russo e quindi danneggiare Putin: dice Tabarelli che «quando l’Opec contava, produceva 32 milioni di barili su 60 nel mondo. Oggi sono solo 30 su 95, di cui 9,5 sauditi. No, quando l’Arabia dice che “il prezzo giusto del petrolio è fra 70 e 80 dollari” non determina il mercato, si limita a constatare che questo dicono i fondamentali. Anzi è già fin troppo, secondo me».

 

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Che fare con i titoli dell’energia?

Massimo Siano invita a distinguere: «Quando le quotazioni sono in calo, lo speculatore vende oggi a 15 con la speranza di ricomprare in seguito lo stesso titolo a 10. Anche il piccolo risparmiatore può fare così, se vuole. Ma se invece segue la logica del cassettista, e tiene conto di quello che varrà fra cinque anni il titolo che oggi sta perdendo punti, farebbe bene a non vendere. Perché tutti i titoli dell’energia che in questi giorni precipitano hanno un forte valore a lungo termine, e anzi possono rimbalzare anche a breve».

 

Come mai? «Prendiamo quelli delle aziende che costruiscono infrastrutture per l’energia. Sono dei gioielli tecnologici italiani, con ricchi contratti in tutto il mondo. Costruiranno le reti dello shale gas e dello shale oil, faranno utili e dividendi». L’investitore coraggioso dovrebbe comprare, quando penserà che le quotazioni abbiano toccato il fondo. Quanto alle azioni degli altri comparti, Siano prevede «un recupero generale grazie anche al basso costo dell’energia, che favorirà la crescita». La «triste scienza» dell’economia a volte può anche regalare speranze.

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Benzina e gasolio costano meno?

Sì, il calo del prezzo del barile porta benefici agli automobilisti italiani. La verde è scesa sotto 1,8 euro (ma solo con Eni). Limature anche per il diesel.

 

 

 

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