MONTEPASCHI STORY - COME IN DIECI ANNI I DIESSINI SENESI (E ROMANI) SI SONO MANGIATI LA TERZA BANCA ITALIANA - PRIMO FLOP: L’ACQUISTO A PESO D’ORO NEL 1999 DELLA “BANCHETTA” 121, CARA AL DALEMIANO DE BUSTIS. CON SEGUITO DI MEGA DEBITI DA RIPIANARE E INCHIESTE GIUDIZIARIE SUI PRODOTTI FINANZIARI FASULLI - L’OCCASIONE MANCATA: CAPITALIA A PORTATA DI FUSIONE, CON GERONZI INDEBOLITO, MA MUSSARI SI OPPOSE (PERCHÉ?) - IL DISASTRO ANTONVENETA: PAGATA 9 MILIARDI, QUASI 20 VOLTE I RICAVI - E ORA LA FONDAZIONE È COSTRETTA A SCENDERE SOTTO LA FATIDICA QUOTA DEL 51%...

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SEDE CENTRALE MONTE DEI PASCHI DI SIENASEDE CENTRALE MONTE DEI PASCHI DI SIENA

1- MONTEPASCHI STORY
Dal Blog di Giuseppe Chiellino per "Ilsole24ore.com"


Le prossime settimane saranno decisive per la banca Monte dei Paschi di Siena. Come è ovvio l'attenzione è tutta rivolta alle mosse della Fondazione e dei vertici della banca. La prima deve raccogliere le risorse per ridurre il debito contratto con 11 banche lo scorso anno per sottoscrivere l'aumento di capitale della banca. Non solo: deve decidere anche chi sarà il successore di Giuseppe Mussari. Alessandro Profumo, indicato dallo stesso Mussari, sembra ad un passo dalla nomina. La banca, poi, deve prendere una decisione sull'aumento di capitale da oltre 3 miliardi chiesto dall'Eba entro giugno. Tutte vicende di cui diamo conto ogni giorno sul Sole, di carta e online.

Giuseppe MussariGiuseppe Mussari

Ma nel guardare al futuro, è bene non dimenticare quanto è accaduto nel recente passato del Monte dei Paschi che va fiero di essere «più antica banca del mondo». Giusto per ricordare le tappe che l'hanno portata ad essere la terza banca italiana ma anche «una delle due banche, insieme alla tedesca Commerzbank, che, secondo l'autorità europea, hanno più probabilità di dover chiedere l'intervento dello Stato» come ha ricordato, con esagerazione, il Financial Times.

Sempre secondo FT, il Mps «rischia di diventare la terza vittima di Abn Amro» dopo Royal Bank of Scotland e Fortis. Ma questa vicenda è stata solo l'ultima, la più costosa, il colpo di grazia, a novembre 2007, quando il Monte dei Paschi guidato da Mussari "strappa" a suon di miliardi Antonveneta all'incredulo Santander (guidato in Italia da Ettore Gotti Tedeschi oggi allo Ior) che aveva appena preso la banca veneta dallo spezzatino di Abn Amro.

2- IL DISASTRO ANTONVENETA: COMPRATA A 9 MILIARDI, PIU' DEL DOPPIO DELLA VALUTAZIONE ODIERNA DELL'INTERA BANCA MPS

«Non ci fu nessuna valutazione economica. L'acquisizione fu fatta senza fairness opinion» racconta oggi un banchiere d'affari. Mussari paga Antonveneta 9 miliardi di euro, quasi 20 volte i ricavi, il doppio della media di mercato. Cifra che consente al Santander di realizzare nel giro di poche settimane una plusvalenza di 3,2 miliardi di euro, pari - ironia della sorte - più o meno all'aumento di capitale che oggi l'Eba chiede alla banca senese. A gennaio 2012 l'intero Monte dei Paschi, compresa Antonveneta, in Borsa vale meno della metà di quei nove miliardi.

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Il titolo Mps crollò in Borsa. Per il mercato l'acquisizione era troppo costosa. E forse anche un tantino superficiale, visto che già qualche mese prima s'erano manifestate le prime chiare avvisaglie della tempesta che avrebbe travolto i mercati un anno dopo, fino al fallimento Lehman. L'operazione dava a Mps la possibilità di insediarsi nelle regioni del Nord, soprattutto nel Nord-Est, area ricca e presidiata da Lega e Centrodestra. Ma le poche voci critiche non ebbero molto spazio. Si disse, per giustificare il prezzo salatissimo del "biglietto", che Antonveneta era l'ultimo treno che il Monte poteva prendere per fare il salto dimensionale e che bisognava battere un'offerta concorrente di Bnp.

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Ma la realtà è che di treni a Siena ne avevano già persi parecchi e probabilmente migliori. Ed è ben magra consolazione sapere che anche altri istituti di credito italiani nei due anni precedenti hanno compiuto errori simili.
Antonveneta è solo l'ultima operazione andata male nella storia recente di Mps, come abbiamo raccontato nel post precedente.

3- IL FLOP "BANCA DEL SALENTO": LA BANCHETTA DI DE BUSTIS (CARO A D'ALEMA) COMPRATA A PESO D'ORO

Per avere il quadro completo della logica che ha governato il Monte dei Paschi di Siena negli ultimi anni occorre fare qualche passo indietro. Fino al 1999, quando il Monte (Mussari ancora non era neppure in Fondazione) compra la Banca del Salento, una banca privata della famiglia pugliese Semeraro.

Grande tra le piccole, la Banca del Salento ha un ufficio a Londra ed è molto attiva soprattutto sul mercato dei titoli di Stato. In un'asta al rialzo con il SanPaolo di Torino, il Monte la paga 2.500 miliardi di lire, cui negli anni successivi bisognerà aggiungerne altrettanti per digerirla. Sembrò un favore a Massimo D'Alema. E il legame con D'Alema è Vincenzo de Bustis, manager della banca salentina che si era inventato anche Banca 121. Si sono conosciuti nel ‘94 quando D'Alema si era candidato nel collegio di Gallipoli. Dopo l'operazione De Bustis sbarca a Siena. Nel giro di un anno scoppia la grana "4 YOU" e "MY WAY", prodotti finanziari dell'ex Banca 121: un caso eclatante di risparmio tradito di cui Monte dei Paschi dovrà farsi carico rimborsando i sottoscrittori.

MASSIMO DALEMAMASSIMO DALEMA

Intanto il sistema bancario italiano non è più la foresta pietrificata degli anni '80 e '90. La legge Amato ha cambiato le regole e si è avviato un processo di consolidamento da cui il Monte giustamente non vuole essere tagliato fuori; Banca del Salento è poca cosa, per il salto di qualità ci vuole altro.


4- I TRENI PERSI DA SIENA: LA FUSIONE CON CAPITALIA DELL'ALLORA "DEBOLE" GERONZI", MUSSARI SI OPPOSE

Banche d'affari, studi legali, consulenti sono scatenate alla ricerca di prede e cacciatori, lavorano a piani industriali per fusioni "alla pari", propongono, a tutti possibili operazioni di aggregazione. Sono almeno tre i dossier che tra il 2003 e il 2006 vengono seriamente esaminati a Siena:

1) l'integrazione con SanPaolo-Imi;
2) la fusione con Capitalia prima dell'arrivo di Matteo Arpe;
3) la fusione con Bnl con il coinvolgimento degli spagnoli del BBVA attraverso un incrocio azionario con la Fondazione Mps.

MATTEO ARPEMATTEO ARPE

Nessuna delle tre opzioni va in porto. In tutti e tre i casi è determinante il terrore che la Fondazione Mps, governata da Comune e Provincia di Siena storicamente appannaggio della sinistra, possa perdere per un motivo o per l'altro il controllo della banca. Il 51% è il limite al di sotto del quale non si può scendere. Oggi per forza di cose questo tabù sembra destinato a cadere. Ma nei anni scorsi è stato il punto fermo intorno al quale hanno ruotato le strategie della banca che dal 2001 sono affidate a Mussari, prima come presidente della Fondazione (con un'operazione che scatenò un putiferio a livello nazionale ed ebbe il sapore di un regolamento di conti tutto interno ai Ds) e poi, dal 2006 fino ad oggi, come presidente della banca. Carica che nel 2010, anche grazie all'appoggio di Alessandro Profumo, lo porta anche alla presidenza dell'Associazione bancaria italiana.

Le occasioni mancate negli ultimi dieci anni.
La fusione con il SanPaolo metteva insieme banche dal dna molto simile, entrambe retail particolarmente forti nei rispettivi territori. «Torino era molto determinata e il progetto industriale era valido» racconta un consulente di allora. «Fu un tentativo serio. Ma il SanPaolo era di taglia più grande del Monte e l'operazione rischiava di mettere in minoranza la Fondazione senese. Perciò fu accantonata».

Cesare GeronziCesare Geronzi

Capitalia invece saltò soprattutto per paura di Cesare Geronzi. «Siena sarebbe rimasta in maggioranza perché la valutazione di Capitalia era bassissima e Geronzi, molto vulnerabile, era disposto per salvare il salvabile. Invece Mussari convinse i senesi che era un rischio troppo grosso mettersi in casa una personalità così forte e con indiscusse capacità relazionali, anche nel mondo politico, soprattutto di area cattolica. In realtà Geronzi era talmente debole (il legame con il governatore Fazio si era già rotto) che sarebbe stato disposto anche a mettersi da parte. Era un'operazione tutta italiana e Bankitalia l'avrebbe favorita».

ANTONIO FAZIOANTONIO FAZIO


5- SCALATA BNL: FAZIO PREFERI' I FURBETTI DI CALTAGIRONE AL MONTE

Infine Bnl. Ci furono tantissimi incontri, in Fondazione a Siena e a Madrid. Ma anche in questo caso non se ne fece nulla. L'incrocio azionario con il BBVA spaventava troppo Siena e in particolare il sindaco di allora, Cenni. Decisivo fu però il "no" della Banca d'Italia di Antonio Fazio che stava mettendo in piedi il matrimonio dell'istituto romano con la Unipol di Consorte. Anche questa operazione (da cui Mps era comunque fuori) non ebbe sèguito se non nelle aule dei tribunali, e Bnl finì nelle mani dei francesi di Bnp.

Così il Monte è arrivato ad oggi. Tredici anni di «errori ed occasioni mancate» di cui Abn-Antonveneta è solo l'ultima tappa. Due acquisizioni che si sono rivelate disastrose, con logiche che poco avevano di economico. Le stesse che hanno portato a rinunciare ad operazioni che probabilmente avrebbero avuto più chance di successo anche perché avrebbero costretto la politica ad un ruolo di secondo piano, come accade nell'azionariato delle altre grandi banche in cui le fondazioni, ancora governate dai partiti, non hanno poteri di controllo.

CONSORTECONSORTE

Fatta eccezione per Banca del Salento (voluta dal presidente Fabrizi e dal sindaco Piccini), tutto il resto è avvenuto con Mussari alla presidennza, prima della Fondazione poi della banca. Vedremo se il successore (qualche maligno pensa che l'indicazione di Profumo da parte di Mussari sia stata un gesto di riconoscenza per il sostegno ricevuto nel 2010 per conquistare la presidenza dell'Abi) riuscirà a dimostrare più autonomia dalla politica e maggiore abilità come banchiere.

Intanto, oltre a tutto il resto, dovrà gestire la trattativa per il taglio del costo del lavoro, probabilmente con contratti di solidarietà per i 31mila dipendenti dell'istituto.

 

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONEFRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE

 

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