MORTO IL PRINCIPE, ARRIVA BANKITALIA - TRE ISPETTORI DI VIA NAZIONALE SI SONO INSEDIATI ALLA BANCA DEL FUCINO, FEUDO DEI PRINCIPI TORLONIA, IN LITE TRA LORO DOPO LA MORTE DEL CAPOFAMIGLIA ALESSANDRO LO SCORSO 1 GENNAIO - I 4 FIGLI NON HANNO VERSATO L’AUMENTO DI CAPITALE DA 60 A 110 MILIONI, E HANNO MOLLATO LA PATATA BOLLENTE AL NIPOTE, IL 35ENNE ALESSANDRO POMA MURIALDO, CHE GUIDA IL CDA

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PAOLO VI CON ALESSANDRO TORLONIA E ASPRENO COLONNA ULTIMI ASSISTENTI AL SOGLIO PONTIFICIO PAOLO VI CON ALESSANDRO TORLONIA E ASPRENO COLONNA ULTIMI ASSISTENTI AL SOGLIO PONTIFICIO

Rosario Dimito per il Messaggero

 

 Faro di Bankitalia sulla Banca del Fucino, 32 filiali delle quali 20 a Roma, 335 dipendenti, di proprietà della famiglia Torlonia. Da alcuni giorni tre ispettori di via Nazionale guidati da Biagio De Varti si sono insediati presso il quartier generale di via Tomacelli per una verifica a tutto campo con la finalità di traghettare l'istituto oltre il guado, possibilmente con un allargamento della compagine azionaria, visto che gli attuali soci non hanno completato un aumento di capitale di 50 milioni.

 

Rothschild è l'advisor assunto dalla Fucino. Due banche (Banco Desio e della Brianza e Banca Sella) avrebbero di recente manifestato interesse a condizione che i soci facessero la loro parte. Ma ci sarebbero anche le offerte non vincolanti di Jc Flowers, più gradito ai soci, e di Barents, più congeniale al management: entrambi i fondi sarebbero disponibili a intervenire, a condizione che i Torlonia mettano mano al portafoglio. Quest'ultima soluzione, però, suscita perplessità all'interno della banca dove si preferisce invece un intervento-ponte dello Schema Volontario sul modello Cassa di Cesena, tutt'altro che scontato, in attesa di pilotarne l'acquisizione da parte di qualche grande banca.

 

ALESSANDRO POMA MURIALDO GIUSEPPE DI PAOLA ALESSANDRO POMA MURIALDO GIUSEPPE DI PAOLA

Ieri pomeriggio si è riunito il cda presieduto da Alexander Francis Poma Murialdo, nipote del Principe Alessandro di Torlonia, scomparso l'1 gennaio scorso, per fare il punto sulle evoluzioni dei vari negoziati in corso che rendono sempre più urgente una ricapitalizzazione di fronte a indici ormai a livello di guardia: l'istituto ha circa 320 milioni di crediti deteriorati, un Npe ratio di oltre il 30%, un Cet1 del 6,1%, un indice di liquidità dell'82%, un cost/income vicino al 100% e l'uscita di manager.

 

Il vicedirettore generale Salvatore Pignataro assieme ad Alessandra Casanova De Marco dovrebbe passare presto alla Banca Cesare Ponti, anzi Bankitalia starebbe cercando di ritardarne di qualche settimana il trasferimento per il timore di una fuga di depositi. Le masse attuali si attestano a 2,7 miliardi di cui circa 1 miliardo di raccolta. La Fucino ha chiuso il 2017 con una perdita di 7 milioni dopo il rosso di 46 milioni del 2016.

 

FORTE CONCENTRAZIONE

 

Banca del Fucino Banca del Fucino

I Torlonia (i quattro figli di Alessandro, non in sintonia tra loro) hanno mandato deserta la sottoscrizione di un aumento di capitale da 60 a 110 milioni deliberato il 2 agosto 2017 con il termine per il versamento prima al 15 gennaio, infine al 9 febbraio. Eppure il rafforzamento è indifferibile e Bankitalia preme da tempo sebbene, di là delle molte lettere di richiamo, non abbia deliberato sanzioni di sorta. In una missiva del 23 dicembre 2016 la Vigilanza minacciava che qualora «uno dei ratio dovesse scendere al di sotto della misura vincolante» l'istituto avrebbe dovuto «dar corso a iniziative di ripristino immediato dei ratio».

 

A maggio 2017, al termine di un'ispezione di due mesi, venne contestata «un'esposizione al rischio di credito elevata a causa dell'alta percentuale di Npl (31%) e della forte concentrazione nei settori edile e immobiliare (29%)». Il 20 dicembre, sempre 2017, altra lettera con la quale si invitava la banca a «individuare politiche idonee a contrastare l'ulteriore scadimento qualitativo del portafoglio prestiti e favorirne una maggiore diversificazione settoriale».

IGNAZIO VISCO IGNAZIO VISCO

 

L'Autorità ribadiva il perseguimento «di politiche di rafforzamento patrimoniale» che potessero mantenere «adeguati margini dopo aver assicurato la congruità dei livelli di copertura delle partite deteriorate».

 

Il management guidato dal dg Giuseppe Di Paola non è stato con le mani in mano e alla fine del 2017 con l'ausilio di un ex banchiere ha abbozzato un piano industriale lacrime e sangue: taglio del costo del personale del 40% di cui 30% di esuberi con 24 giornate annue di solidarietà.

 

 

 

 

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