COSSIGA FUORI DAL CORO
"RISOLVERE L'EQUIVOCO: È CONFLITTO E NON MISSIONE DI PACE"
"SI VA A SPARARE E A UCCIDERE L'AVVERSARIO. NON A LIBERARE GLI OSTAGGI"
"IN ZONA DI GUERRA L'INTELLIGENCE È SUBORDINATA ALLE ESIGENZE MILITARI"
"RISOLVERE L'EQUIVOCO: È CONFLITTO E NON MISSIONE DI PACE"
"SI VA A SPARARE E A UCCIDERE L'AVVERSARIO. NON A LIBERARE GLI OSTAGGI"
"IN ZONA DI GUERRA L'INTELLIGENCE È SUBORDINATA ALLE ESIGENZE MILITARI"
Lorenzo Fuccaro per il Corriere della Sera
Sceglie il registro che gli è più congeniale: dire cose controcorrente.
Francesco Cossiga ritiene che il tragico incidente di Bagdad sia figlio di un equivoco di fondo. Quale?
«Quanto successo non è colpa dei servizi, è la conseguenza della solita sciocchezza secondo cui si può fare la guerra e si può non fare la guerra. Si vuole essere pacifisti e non essere pacifisti. Insomma non si può essere soldati e militari per la pace».
Presidente Cossiga, l'errore di chi è?
«Di chi continua a dire, dal Capo dello Stato in giù, che la nostra missione in Iraq è una missione di pace. Quando si inviano carriarmati, intelligence, reparti speciali, elicotteri Apache, si fa una missione di guerra per la pace. Non è una missione di pace. Si va a sparare e a uccidere l'avversario. E l'avversario è il terrorista».
La sua è una posizione molto netta.
«Certo, non si può, come ho sentito dire in giro, attribuire ai servizi di informazione che sono tra l'altro una branca non militare, una posizione equivoca in quel Paese».
Nessuno però attribuisce colpe ai servizi.
«Finché non si chiarisce quale strategia adottare, c'è il rischio che permanga un equivoco che io ho denunciato da molto tempo. Non si comprende, insomma, se noi facciamo o non facciamo parte della coalizione, se siamo nella catena di comando prevista dall'ultima risoluzione 1546 delle Nazioni Unite con il comando unificato o facciamo per conto nostro. Più volte, con interrogazioni e interpellanze, ho chiesto di sapere se fosse vero che le nostre regole di ingaggio sono diverse da tutte le altre forze che fanno parte della coalizione. Ricordo, infatti, che fare parte di una coalizione significa non prendere nessuna iniziativa, neppure nel campo dell'intelligence, che non sia coordinata con il comando unificato, perché in zona di guerra l'intelligence è subordinata alle esigenze delle operazioni militari».
Quanto accaduto a Bagdad che cosa le fa pensare?
«Che in una zona di guerra l'intelligence non può che subdordinare gli obiettivi a quelli dell'operazione militare in corso».
E allora che cosa deve fare il governo?
«Deve scegliere una strategia antiterroristica. Gli americani e gli inglesi hanno scelto da tempo come combattere i terroristi: annientarli o catturarli e non di liberare gli ostaggi. Quando ero ministro dell'Interno, mi sono occupato di queste cose e ho girato l'Europa e l'America. E in questi viaggi incontrai il comandante di un'unità di élite il quale mi raccontò che, quando l'autorità politica dava loro il via, il loro compito era catturare i terroristi. E solo secondariamente liberare gli ostaggi».
Presidente Cossiga, suggerisce di scegliere questa linea?
«Certo, perché temo che i giovani americani che hanno premuto il grilletto non fossero solo scioccati. Temo che abbiano creduto che nella macchina, oltre all'ostaggio liberato, ci fossero i terroristi e che per questo abbiano sparato. Ripeto, occorre decidere: se si va in guerra si vuole fare la guerra, altrimenti si sta casa o si fa ritorno a casa. E tutto questo lo dice uno che non è pacifista. Per essere chiari, se per catturare i capi delle Brigate rosse io avessi dovuto sacrificare la vita di Aldo Moro, avrei pianto, mi sarei strappato i capelli ma non avrei esitato un istante».
Dagospia 06 Marzo 2005
Sceglie il registro che gli è più congeniale: dire cose controcorrente.
Francesco Cossiga ritiene che il tragico incidente di Bagdad sia figlio di un equivoco di fondo. Quale?
«Quanto successo non è colpa dei servizi, è la conseguenza della solita sciocchezza secondo cui si può fare la guerra e si può non fare la guerra. Si vuole essere pacifisti e non essere pacifisti. Insomma non si può essere soldati e militari per la pace».
Presidente Cossiga, l'errore di chi è?
«Di chi continua a dire, dal Capo dello Stato in giù, che la nostra missione in Iraq è una missione di pace. Quando si inviano carriarmati, intelligence, reparti speciali, elicotteri Apache, si fa una missione di guerra per la pace. Non è una missione di pace. Si va a sparare e a uccidere l'avversario. E l'avversario è il terrorista».
La sua è una posizione molto netta.
«Certo, non si può, come ho sentito dire in giro, attribuire ai servizi di informazione che sono tra l'altro una branca non militare, una posizione equivoca in quel Paese».
Nessuno però attribuisce colpe ai servizi.
«Finché non si chiarisce quale strategia adottare, c'è il rischio che permanga un equivoco che io ho denunciato da molto tempo. Non si comprende, insomma, se noi facciamo o non facciamo parte della coalizione, se siamo nella catena di comando prevista dall'ultima risoluzione 1546 delle Nazioni Unite con il comando unificato o facciamo per conto nostro. Più volte, con interrogazioni e interpellanze, ho chiesto di sapere se fosse vero che le nostre regole di ingaggio sono diverse da tutte le altre forze che fanno parte della coalizione. Ricordo, infatti, che fare parte di una coalizione significa non prendere nessuna iniziativa, neppure nel campo dell'intelligence, che non sia coordinata con il comando unificato, perché in zona di guerra l'intelligence è subordinata alle esigenze delle operazioni militari».
Quanto accaduto a Bagdad che cosa le fa pensare?
«Che in una zona di guerra l'intelligence non può che subdordinare gli obiettivi a quelli dell'operazione militare in corso».
E allora che cosa deve fare il governo?
«Deve scegliere una strategia antiterroristica. Gli americani e gli inglesi hanno scelto da tempo come combattere i terroristi: annientarli o catturarli e non di liberare gli ostaggi. Quando ero ministro dell'Interno, mi sono occupato di queste cose e ho girato l'Europa e l'America. E in questi viaggi incontrai il comandante di un'unità di élite il quale mi raccontò che, quando l'autorità politica dava loro il via, il loro compito era catturare i terroristi. E solo secondariamente liberare gli ostaggi».
Presidente Cossiga, suggerisce di scegliere questa linea?
«Certo, perché temo che i giovani americani che hanno premuto il grilletto non fossero solo scioccati. Temo che abbiano creduto che nella macchina, oltre all'ostaggio liberato, ci fossero i terroristi e che per questo abbiano sparato. Ripeto, occorre decidere: se si va in guerra si vuole fare la guerra, altrimenti si sta casa o si fa ritorno a casa. E tutto questo lo dice uno che non è pacifista. Per essere chiari, se per catturare i capi delle Brigate rosse io avessi dovuto sacrificare la vita di Aldo Moro, avrei pianto, mi sarei strappato i capelli ma non avrei esitato un istante».
Dagospia 06 Marzo 2005