UNA REPUBBLICA FONDATA SULLE BANCHE - VALGONO UN QUARTO DELL'INTERA BORSA DI MILANO. RACCOLGONO DENARO A BASSO COSTO E PUNTANO IN TUTTE LE PARTITE CHE CONTANO - LA BATTERIA DI PARTECIPAZIONI DI INTESA SANPAOLO È IMPRESSIONANTE (L'INGRESSO IN OLIMPIA).
Da "Il Foglio"
"Repubblica" ieri ha riferito del possibile ingresso di IntesaSanpaolo nel capitale di Olimpia, ipotesi che circola da tempo sul mercato. L'eventualità che la banca possa acquistare il 20 per cento della holding che controlla Telecom rilancia non solo il rovatismo, ma anche il tema del peso del potere bancario sull'economia, la finanza, l'industria e come elemento accessorio l'intreccio con il sistema dell'informazione. Dall'aprile 2005, quando iniziò l'offensiva giudiziaria di AbnAmro per il controllo dell'Antonveneta, il sistema bancario italiano è profondamente cambiato. L'introduzione di nuove norme di diritto societario e di nuovi criteri contabili ha reso più trasparente il rapporto fra banche e imprese, e più difficili quei collateralismi che avevano minato la reputazione delle banche italiane (ed estere) con gli scandali finanziari, Parmalat in testa.
Con l'arrivo di Mario Draghi la moral suasion, che Antonio Fazio aveva esercitato con uno stile sostanzialmente dirigista, è tornata a essere veto di ultima istanza. La Banca d'Italia non pretende più di essere messa preventivamente a conoscenza dei progetti di integrazione. Quest'apertura al mercato ha innescato una serie di aggregazioni ancora non terminate, ma non ha cambiato il bancocentrismo del sistema capitalistico italiano.
L'assenza, finora, di fondi pensione e l'apporto limitato da parte del capitale di ventura rendono le banche interlocutore unico, assieme alla Borsa, per le aziende in cerca di finanziamento. A febbraio l'intera capitalizzazione di Borsa ha superato gli 800 miliardi di euro, una percentuale che corrisponde al 53 per cento circa del pil italiano. Le banche quotate hanno una capitalizzazione complessiva di poco meno di 264 miliardi di euro, più di un quarto del valore dell'intera Borsa italiana e oltre un settimo del pil.
Questa cifra non comprende importanti realtà non quotate come la Popolare di Vicenza e Veneto Banca (che a breve ingloberà la Popolare di Intra), l'intero universo delle Casse di Risparmio (fatta eccezione per la Cassa di Risparmio di Firenze), né le Banche di credito cooperativo. E non comprende nemmeno le banche controllate da gruppi non bancari quotati come, per esempio, Unipol Banca e Banca Mediolanum. Ai 264 miliardi andrebbero aggiunti 43,7 miliardi di capitalizzazione delle Generali, che secondo l'Antitrust sono di fatto gestite da Mediobanca, suo primo azionista con una quota del 14,1 per cento del capitale.
Un peso, quello degli istituti di credito, che è ben riflesso dalla composizione dello S&P/Mib, l'indice più rappresentativo di Borsa italiana. Delle 40 società che lo compongono, nove sono banche (cui si deve aggiungere la solita Generali). Il potere delle banche non deriva dalla capitalizzazione ma soprattutto dalla ricchezza di mezzi. Secondo le stime dell'Abi, l'intero universo bancario italiano al 31 dicembre 2006 poteva contare su una raccolta, costituita da depositi e obbligazioni, pari a 1.193,5 miliardi di euro. I soli depositi da parte di clientela residente sono stimati a 716 miliardi, poco meno della metà del pil.
Sui depositi, cioè i soldi giacenti sui conti correnti, le banche pagano interessi attivi che spesso non superano lo 0,25 per cento netto. Un'inezia, se si pensa che il tasso di riferimento della Banca centrale europea è al 3,5 per cento. Le nostre banche, quindi, sono cariche di munizioni che pagano pochissimo. Non c'è praticamente alcuna vicenda finanziaria che non veda una o più banche giocare il ruolo di ago della bilancia. Anche per questo il fondo infrastrutturale F2I va maneggiato con cura.
La privatizzazione di Alitalia, alla fine, si risolverà in una partita a tre fra la cordata guidata da AirOne, sostenuta da IntesaSanpaolo, quella di Management & Capitali, cui con ogni probabilità si uniranno Air France e Mediobanca, e quella di Unicredit, al momento senza partner commerciale (anche se tutti scommettono su Lufthansa). Al di là del coinvolgimento o no di IntesaSanpaolo, la vicenda Telecom non può prescindere anch'essa dal placet degli istituti di credito. Mediobanca e la partecipata Generali, hanno sottoscritto un patto di consultazione con Olimpia, la holding controllata all'80 per cento da Pirelli e al 20 da Edizione Holding dei Benetton, apportando i loro pacchetti di azioni Telecom, pari rispettivamente all'1,54 e al 3,67 per cento (cui si aggiunge un altro 0,4 per cento circa che Generali ha tenuto fuori dall'accordo).
Difficile credere che la cessione di una quota di minoranza della holding possa avvenire senza il loro assenso o quello delle altre banche creditrici delle società di Marco Tronchetti Provera. Olimpia controlla una quota del 18 per cento di Telecom, quota che sale al 23,2 assieme alle azioni in mano a Mediobanca e Generali. Per l'equilibrio della gestione è raccomandabile un gioco di sponda con Hopa, che ha in pancia il 3,7 per cento della società. Fra i soci con diritto di veto della finanziaria vi sono due banche, Mps e Popolare Italiana, e un'assicurazione, Unipol, che con il suo no ha fatto per ora slittare le nozze con la Mittel del presidente di IntesaSanpaolo Giovanni Bazoli. L'influenza delle banche in partite come quella di Alitalia e Telecom è diretta, nella misura in cui sono attori decisivi. La grande mole di investimenti effettuati in società, quotate e non, rende gli istituti di crediti protagonisti indiretti (ma molto ascoltati) delle sorti delle aziende al cui capitale partecipano.
La principale banca italiana, IntesaSanpaolo, a oggi ha quote sopra la soglia del due per cento, rilevanti quindi ai fini delle comunicazioni Consob, in diciassette società quotate (cui si aggiunge la totalità di Banca Fideuram, delistata lo scorso 24 gennaio a seguito del completamento dell'Opa lanciata da Eurizon). La banca ha in portafoglio, a vario titolo, il 3,6 per cento di Acegas-Aps, il 2,2 delle Assicurazioni Generali, il 7,01 di Banca Generali, il 4,2 di Banca Ifis, il 2,1 di Popolare di Intra, il 9,2 di Bolzoni, il 18,6 di CariFirenze, il 2,1 di Guala Closures, l'8,2 di Immobiliare Lombarda, il 10 di Ipi, il 4,8 di Iride, il 4,4 di Jolly Hotels, il 4,8 di Rcs, il 6,8 di Retelit, il 30,1 di Sirti, il 5,7 di Cit e il 2 per cento di Unipol.
La batteria di partecipazioni di Intesa Sanpaolo è impressionante, e in futuro verrà razionalizzata. A partire dalla quota in Generali, che dovrà essere ridotta sotto la soglia del due per cento entro il prossimo 28 aprile, data dell'assemblea della compagnia, pena il congelamento dei voti in virtù della normativa sulle partecipazioni incrociate. Generali infatti ha il 5 per cento della banca ed era azionista rilevante di entrambi gli istituti di credito prima della loro integrazione. Analoga pervasività su tutto il listino hanno i portafogli di partecipazioni di Unicredito e Capitalia. E indirettamente le banche hanno anche un certo peso sui giornali. Non solo Rcs.
Dagospia 20 Febbraio 2007
"Repubblica" ieri ha riferito del possibile ingresso di IntesaSanpaolo nel capitale di Olimpia, ipotesi che circola da tempo sul mercato. L'eventualità che la banca possa acquistare il 20 per cento della holding che controlla Telecom rilancia non solo il rovatismo, ma anche il tema del peso del potere bancario sull'economia, la finanza, l'industria e come elemento accessorio l'intreccio con il sistema dell'informazione. Dall'aprile 2005, quando iniziò l'offensiva giudiziaria di AbnAmro per il controllo dell'Antonveneta, il sistema bancario italiano è profondamente cambiato. L'introduzione di nuove norme di diritto societario e di nuovi criteri contabili ha reso più trasparente il rapporto fra banche e imprese, e più difficili quei collateralismi che avevano minato la reputazione delle banche italiane (ed estere) con gli scandali finanziari, Parmalat in testa.
Con l'arrivo di Mario Draghi la moral suasion, che Antonio Fazio aveva esercitato con uno stile sostanzialmente dirigista, è tornata a essere veto di ultima istanza. La Banca d'Italia non pretende più di essere messa preventivamente a conoscenza dei progetti di integrazione. Quest'apertura al mercato ha innescato una serie di aggregazioni ancora non terminate, ma non ha cambiato il bancocentrismo del sistema capitalistico italiano.
L'assenza, finora, di fondi pensione e l'apporto limitato da parte del capitale di ventura rendono le banche interlocutore unico, assieme alla Borsa, per le aziende in cerca di finanziamento. A febbraio l'intera capitalizzazione di Borsa ha superato gli 800 miliardi di euro, una percentuale che corrisponde al 53 per cento circa del pil italiano. Le banche quotate hanno una capitalizzazione complessiva di poco meno di 264 miliardi di euro, più di un quarto del valore dell'intera Borsa italiana e oltre un settimo del pil.
Questa cifra non comprende importanti realtà non quotate come la Popolare di Vicenza e Veneto Banca (che a breve ingloberà la Popolare di Intra), l'intero universo delle Casse di Risparmio (fatta eccezione per la Cassa di Risparmio di Firenze), né le Banche di credito cooperativo. E non comprende nemmeno le banche controllate da gruppi non bancari quotati come, per esempio, Unipol Banca e Banca Mediolanum. Ai 264 miliardi andrebbero aggiunti 43,7 miliardi di capitalizzazione delle Generali, che secondo l'Antitrust sono di fatto gestite da Mediobanca, suo primo azionista con una quota del 14,1 per cento del capitale.
Un peso, quello degli istituti di credito, che è ben riflesso dalla composizione dello S&P/Mib, l'indice più rappresentativo di Borsa italiana. Delle 40 società che lo compongono, nove sono banche (cui si deve aggiungere la solita Generali). Il potere delle banche non deriva dalla capitalizzazione ma soprattutto dalla ricchezza di mezzi. Secondo le stime dell'Abi, l'intero universo bancario italiano al 31 dicembre 2006 poteva contare su una raccolta, costituita da depositi e obbligazioni, pari a 1.193,5 miliardi di euro. I soli depositi da parte di clientela residente sono stimati a 716 miliardi, poco meno della metà del pil.
Sui depositi, cioè i soldi giacenti sui conti correnti, le banche pagano interessi attivi che spesso non superano lo 0,25 per cento netto. Un'inezia, se si pensa che il tasso di riferimento della Banca centrale europea è al 3,5 per cento. Le nostre banche, quindi, sono cariche di munizioni che pagano pochissimo. Non c'è praticamente alcuna vicenda finanziaria che non veda una o più banche giocare il ruolo di ago della bilancia. Anche per questo il fondo infrastrutturale F2I va maneggiato con cura.
La privatizzazione di Alitalia, alla fine, si risolverà in una partita a tre fra la cordata guidata da AirOne, sostenuta da IntesaSanpaolo, quella di Management & Capitali, cui con ogni probabilità si uniranno Air France e Mediobanca, e quella di Unicredit, al momento senza partner commerciale (anche se tutti scommettono su Lufthansa). Al di là del coinvolgimento o no di IntesaSanpaolo, la vicenda Telecom non può prescindere anch'essa dal placet degli istituti di credito. Mediobanca e la partecipata Generali, hanno sottoscritto un patto di consultazione con Olimpia, la holding controllata all'80 per cento da Pirelli e al 20 da Edizione Holding dei Benetton, apportando i loro pacchetti di azioni Telecom, pari rispettivamente all'1,54 e al 3,67 per cento (cui si aggiunge un altro 0,4 per cento circa che Generali ha tenuto fuori dall'accordo).
Difficile credere che la cessione di una quota di minoranza della holding possa avvenire senza il loro assenso o quello delle altre banche creditrici delle società di Marco Tronchetti Provera. Olimpia controlla una quota del 18 per cento di Telecom, quota che sale al 23,2 assieme alle azioni in mano a Mediobanca e Generali. Per l'equilibrio della gestione è raccomandabile un gioco di sponda con Hopa, che ha in pancia il 3,7 per cento della società. Fra i soci con diritto di veto della finanziaria vi sono due banche, Mps e Popolare Italiana, e un'assicurazione, Unipol, che con il suo no ha fatto per ora slittare le nozze con la Mittel del presidente di IntesaSanpaolo Giovanni Bazoli. L'influenza delle banche in partite come quella di Alitalia e Telecom è diretta, nella misura in cui sono attori decisivi. La grande mole di investimenti effettuati in società, quotate e non, rende gli istituti di crediti protagonisti indiretti (ma molto ascoltati) delle sorti delle aziende al cui capitale partecipano.
La principale banca italiana, IntesaSanpaolo, a oggi ha quote sopra la soglia del due per cento, rilevanti quindi ai fini delle comunicazioni Consob, in diciassette società quotate (cui si aggiunge la totalità di Banca Fideuram, delistata lo scorso 24 gennaio a seguito del completamento dell'Opa lanciata da Eurizon). La banca ha in portafoglio, a vario titolo, il 3,6 per cento di Acegas-Aps, il 2,2 delle Assicurazioni Generali, il 7,01 di Banca Generali, il 4,2 di Banca Ifis, il 2,1 di Popolare di Intra, il 9,2 di Bolzoni, il 18,6 di CariFirenze, il 2,1 di Guala Closures, l'8,2 di Immobiliare Lombarda, il 10 di Ipi, il 4,8 di Iride, il 4,4 di Jolly Hotels, il 4,8 di Rcs, il 6,8 di Retelit, il 30,1 di Sirti, il 5,7 di Cit e il 2 per cento di Unipol.
La batteria di partecipazioni di Intesa Sanpaolo è impressionante, e in futuro verrà razionalizzata. A partire dalla quota in Generali, che dovrà essere ridotta sotto la soglia del due per cento entro il prossimo 28 aprile, data dell'assemblea della compagnia, pena il congelamento dei voti in virtù della normativa sulle partecipazioni incrociate. Generali infatti ha il 5 per cento della banca ed era azionista rilevante di entrambi gli istituti di credito prima della loro integrazione. Analoga pervasività su tutto il listino hanno i portafogli di partecipazioni di Unicredito e Capitalia. E indirettamente le banche hanno anche un certo peso sui giornali. Non solo Rcs.
Dagospia 20 Febbraio 2007