PRE-MANICOMIO - IL TESTICOLARE SGARBONE LEGGE ANNA OXA E SCOPRE "UN RICHIAMO ALLA POESIA FRANCESE DEL PRIMO '900 DA APOLLINAIRE A CENDRARS."

Vittorio Sgarbi per Panorama


Il progetto era (sarà) di ascoltare e poi di leggere le canzoni del Festival in un continuo rapporto con la grande poesia: Francesco Cossiga aveva preso molto sul serio il nuovo impegno. Dalla villa già di Ljuba Rizzoli a Cap Ferrat, avrebbe letto (leggerà) i testi di John Donne, Pascal, Novalis, Hölderlin, Hopkins. Ci saremmo attrezzati (e ci attrezzeremo) alla lettura con cuore duro, per il sentimento della poesia e il piacere della parola, evidentemente libero da interessi del mercato e delle case discografiche ma consapevoli che le canzoni degli ultimi cinquant'anni hanno assolto una funzione indispensabile: ci hanno garantito quella quantità di poesia che è necessaria a ogni uomo. Ci hanno accompagnato come una colonna sonora nei momenti di amore, di felicità e di sofferenza. Ciò che non hanno saputo fare i poeti laureati hanno fatto cantanti, autori e cantautori, riproducendo nella sostanza, le emozioni e le arie celebri delle opere liriche.

Alla fine della stagione che ha avuto come suoi campioni Pascoli e Puccini, pochi poeti parlano la lingua universale: D'Annunzio, Gozzano, Montale, Saba, Cardarelli. Ma, nel dopoguerra, i poeti nascondono i sentimenti dietro parole indecifrabili. Non ci sono in Italia i Neruda, i Prévert, i Boris Vian che abbiano la leggerezza di scrivere per musica; inizia così una letteratura impropria, ma pienamente legittima che si appoggia alla musica e si allinea, nella sostanza poetica, al Canzoniere di Petrarca, alle arie di Metastasio, ai canti di Leopardi. Si tratta di una vera e propria tradizione prevalentemente lirica, raramente narrativa (classici in questo genere, Il ragazzo della Via Gluck e Albergo a ore, oltre alla produzione superlativa di Fred Buscaglione e di Paolo Conte), che ritroviamo integra nei testi per il prossimo festival.

Fausto Leali e G. Panceri ripropongono metafore facili: «Eri come un lago quando piove/eri un letto di glicine/eri un tetto di nuvole» per poi cadere nella banalità: «Eri bacchetta magica/eri più di una favola» fino alla conclusione amara: «Guarda un po' adesso come sei tutto fumo e niente più». Più complessa la canzone Nessuno tocchi Caino di Enrico Ruggeri con ambizioni filosofiche: «Io sono l'uomo che non volevi/sono più di tutto quello che temevi/domattina sai che ti porterò/al di là dei tuoi stessi pensieri».

Più semplice e lineare la canzone di Cristiano De André con parole dirette, senza retorica: «Ci sarò/e proverò ad essere vivo e più forte che mai.../Ti ho cercata nel mondo tra la guerra e la pace./ Nelle onde del mare/che hanno odore di casa e calore di braccia tese». Si tratta di pezzi semplici ma abbastanza poveri senza particolari ricerche linguistiche come vediamo anche nella canzone di Antonella Ruggiero: «E per le strade del mondo andrò/ma io sarò lì con te/Tornerò a sorridere dei giorni sai/in cui ho pianto per te».



Più ardita ma non più originale Amami di Manuela Zanier con esplicite allusioni erotiche: «Scorri forte dentro me/travolgendo ogni argine/come un'onda di marea/inarrestabile». Siamo lontani dalle ricerche linguistiche di Mogol e anche dal sentimentalismo contenuto di Bruno Lauzi. Più radicale e diretto il linguaggio di Alex Britti, oscillante fra crudezza e ironia: «Settemila caffè/li ho già presi perché sono stanco di stare al volante e vorrei arrivare entro sera da te/che aspetti me nel castello lassù/con la treccia già sciolta affacciata al balcone vestita di blu». Autoironica è la canzone fatta in coppia da Little Tony e Bobby Solo, abituati a una larga retorica: «Un amico sai è come la chitarra/per i marinai che sognano la terra/un po' come noi tanto non si cresce mai».

Amedeo Minghi sceglie il grado zero del linguaggio sentimentale: «Sarà una canzone/che ti dice /parlami di te/vivi/e in un viso/ mi ricorderai». Maggior impegno, ma con la medesima intenzione di Minghi nell'immediatezza di immagini e sensazioni è un Morirò d'amore di Giuni Russo: «Morirò per te/il tuo sorriso, l'allegria quanto mi mancano».

Lo sforzo maggiore è, però, nelle canzoni di Sergio Cammariere, Alexia, Iva Zanicchi, Nino D'Angelo e Anna Oxa. D'Angelo propone un complesso testo napoletano di forte realismo: «Disoccupato per mestiere/ma a me piaceva 'e fà carriera/correnno appriesso a 'na bucia/me so' truvato mmiez"a via/cu' 'e senza legge e l'omertà/e aggio vista 'a galera». Cammariere esprime un lirismo rigoroso senza sbavature, limpido nella lingua anche se piuttosto scontato: «Perché senza te io non vivo/e mi manca il respiro se tu te ne vai». Anche la canzone di Alexia non è particolarmente originale, ma ha una semplicità disarmante, di grande immediatezza, con un ritmo metastasiano: «Per dire di no. Per dire vai via/Per dire dai resta qui/Va bene così». Iva Zanicchi sembra l'interprete naturale di una canzone zingaresca: «Fossi un tango lo so ti ballerei/come so fare io/e tu lo sai/fossi un tango su me ti prenderei/per poi sorprenderti/a modo mio».

Il linguaggio più originale è probabilmente quello di Cambierò di Anna Oxa, lirico e rabbioso, con un richiamo alla poesia francese del primo Novecento da Apollinaire a Cendrars: «Sette e tre/la radiosveglia blatera/mi alzo con la sindrome/da crisi d'inutilità/e voglia di far ordine/infilo il bagno/Sette e sei/Divento consapevole/Che tutto il nuovo che vorrei/ E dentro che ce l'ho». Avrà sicuramente successo, perché il linguaggio è così efficace da evocare la musica. Sento che avrà successo. E tanto più paradossale mi appare che qualcuno abbia potuto dire che io avevo un giudizio negativo di Anna Oxa, interprete rigorosa e convincente proprio per la tensione di verità umana che trasmette anche a testi di non particolare qualità. Perché, alla fine, l'interprete comunica la sua energia anche alle parole più consunte e aggiunge la sua impronta anche a testi semplici o banali. È la vita che prevale sulla forma.


Dagospoia.com 28 Febbriao 2003