Miska Ruggeri per “Libero quotidiano”
«Le donne non ci devono scassare la minchia!». Questa ormai mitica frase del deputato siracusano Pippo Gianni (Ccd), pronunciata in aula nel 2005, durante la discussione sulle "quote rosa" nella legge elettorale, è la summa perfetta di un Paese maschilista.
Anche e soprattutto in politica, visto che nella classifica mondiale sulla parità di genere ci troviamo ancora (2014) al 37° posto, dietro nazioni come Bangladesh e Mozambico, e le sindache, giusto per fare un esempio, sono 789 a fronte di 7.238 colleghi. Abbiamo dovuto aspettare il 1951 per la prima sottosegretaria (Angela Maria Guidi Cingolani), il 1976 per la prima ministra (Tina Anselmi), il 1978 perché una donna prenda un voto per il Colle (Ines Boffardi), il 1982 per la prima senatrice a vita (Camilla Ravera)...
Tutti i dettagli - insulti, discriminazioni, pregiudizi, citazioni letterarie e "scientifiche", appelli ideologici, concessioni paternalistiche ecc. dall' immediato dopoguerra fino al governo Renzi, a opera di padri costituenti e presidenti della Repubblica, premier e segretari di partiti, peones di destra, sinistra e centro in perfetta trasversalità - ce li offre ora, un occhio alle cronache e un altro agli atti parlamentari, Filippo Maria Battaglia, giornalista di Sky TG24, nel volumetto Stai zitta e va' in cucina. Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo (Bollati Boringhieri, pp. 120, euro 10).
E le sorprese non mancano. Se, infatti, il machismo dei missini poteva essere scontato, che dire di partigiani, padri della Patria, comunisti e socialisti doc? Quando, alla fine del 1943, l' azionista Olga Prati raggiunge in montagna la sua brigata, il comandante l' accoglie così: «Meno male che sei arrivata, guarda come sono strappati i miei pantaloni».
«Vai a fare la calzetta», è l' invito ricevuto da Elsa Oliva, nome di battaglia Elsinki, scesa in piazza a festeggiare il primo anniversario della Liberazione. Il 20 ottobre 1945, il presidente del Consiglio Ferruccio Parri commenta così l' appena introdotto diritto di voto alle donne: «Per sbagliare bastiamo noi».
L' Unità è chiara nel definire i ruoli: a lui il compito operativo, a lei le mansioni defilate. Nell'accogliere «lo sposo reduce», consiglia a una lettrice la rivista di sinistra Noi donne, «dovrai essere molto arrendevole, non dovrai imporre la tua volontà, dovrai far vedere che hai fatto progressi nel tenere la casa, che deve essere per lui accogliente e gradita».
Alla fine va bene il diritto di voto, anche se «invece di andare a votare farebbero meglio a occuparsi di cucina» come spiega Giovannino Guareschi, ma la donna, scrive L' Avanti, non va allontanata «dalla casa, che è il suo regno». «Abbiamo bisogno di voi soprattutto come spose e madri», sostiene Alcide De Gasperi.
La moglie «deve occuparsi del focolare», gli fa eco Giorgio La Pira. Altro che indossare la toga: non si può, è una questione di attitudini, le donne non hanno le capacità di giudicare, lo certificano anche Shakespeare e il neurologo francese Jean-Martin Charcot (perciò niente magistatura fino al 1963). E le - poche (all' Assemblea costituente ne entrano 21 su 556) - candidate devono essere timide, dolci, grasse, sposate e con parecchi figli.
Vietato mettere i pantaloni, fumare o bere whisky.
Bruttezza e bellezza vengono spesso innalzate a categoria politica. Dalle «virago comuniste» come «Miss racchia» Teresa Noce (bella «come un fiore di Rafflesia», noto per puzzare di carne putrefatta) alla deforme senatrice socialista Lina Merlin, da Rosy Bindi («Neppure un donna», per il governatore del Lazio Francesco Storace) a Mercedes Bresso e alla Merkel «culona inchiavabile», da un lato; dalla pin-up di Montecitorio Laura Diaz a Margherita Boniver, da Mara Carfagna a Maria Elena Boschi, dall' altro.
Da semplice oggetto, anche se sempre infide e viziose, nel corso del tempo le donne diventano grazioso ornamento del potere; ed ecco, con Craxi, le hostess nei congressi socialisti, e, con Berlusconi, le vallette alle convention di Forza Italia o addirittura, per dirla con Paolo Guzzanti, la «mignottocrazia».
Nelle pagine di Battaglia si trova di tutto e di più e la lettura diverte e fa riflettere. Peccato solo per quell' eccesso di seriosità e di sudditanza al politicamente corretto che porta l' autore a mettere sullo stesso piano offese indifendibili e battute a loro modo geniali. Come questa, datata 1994, di Storace: «Lo sapete perché il Ppi rimane così piccolo?
Perché ce l' ha in mano Rosy Bindi».