Claudio Plazzotta per "Italia Oggi"
Il piano non è ancora pronto e verrà presentato non prima di giugno. Ma nei corridoi del gruppo Espresso trapela già qualche indiscrezione circa le operazioni che l'amministratore delegato Monica Mondardini intende mettere in atto per affrontare la crisi. Non ci sarà una cura da cavallo tipo Rcs MediaGroup, dove, tanto per intenderci, si punta a tagliare 88 giornalisti dal Corriere della Sera e 21 dalla Gazzetta dello Sport.

Però, se le cose dovessero mettersi male, sono stati individuati i 70-80 giornalisti di Repubblica che, per questioni anagrafiche, potrebbero essere prepensionati con la dichiarazione di stato di crisi, facendo ricorso alla legge n. 416. In questo modo le oltre 400 firme del quotidiano guidato da Ezio Mauro scenderanno attorno alle 350 unità.
Approccio comunque soft, quello della Mondardini, che nei rapporti con i colleghi e con il sindacato ha finora manifestato tratti di durezza e di lealtà, sapendo ascoltare (non era una esperta di editoria) e parlando, tuttavia, con tutti schiettamente, senza mandarle a dire.
L'accesso alle procedure della 416 è, comunque, una ultima ratio. Si tratterà di vedere se i risparmi e i tagli già attivati dal nuovo a.d. avranno effetti sufficienti nel breve: per esempio, attraverso il piano di ferie forzate del personale di Repubblica, entro giugno verrà dimezzato il monte ferie arretrate, con un risparmio di 3 milioni di euro per il 2009. Anche la razionalizzazione dei centri di stampa, la riorganizzazione societaria e di gruppo, con semplificazione della struttura, offrirà notevoli risparmi, soprattutto sul fronte amministrativo e dei servizi generali.
Ci potrebbe però essere qualche ragionamento circa eventuali accorpamenti di Affari e finanza (inserto economico del lunedì) all'interno di Repubblica e sui destini dei mensili Velvet e XL, anche se su questo fronte il gruppo smentisce categoricamente una chiusura delle testate.

Il taglio indiscriminato del personale, e lo sa bene la stessa Mondardini, non è infatti una soluzione per uscire dall'impasse in cui versa tutta l'editoria. Il gruppo Espresso ha 3.266 dipendenti (dato al 31 marzo 2009), 78 in meno del dicembre 2008. In particolare, la divisione Repubblica ha 680 dipendenti (-35), quella Espresso 106 (-13), quotidiani locali 1229 (-49), la radio 157 (-9) e Rete A si alleggerirà molto dell'ottantina di dipendenti (perché qui il valore è dato dall'asset delle frequenze, e non tanto dal prodotto televisivo).
Quindi un po' di ristrutturazioni sono già state fatte. Si continuerà, pensando anche alla trasformazione multimediale di tutto il gruppo. In marzo, infatti, i dati Audiweb hanno mostrato che Repubblica.it è il sito di informazione più visitato, con 982 mila utenti unici al giorno. Un pubblico vasto, ormai vicino a quello che legge la versione cartacea del quotidiano. Peccato che a Repubblica.it lavorino solo 20 giornalisti, mentre al quotidiano tradizionale oltre 400. Uno squilibrio che, probabilmente, non ha più senso.
Certo, il web non assicura ancora redditi, e la gran parte del mezzo miliardo di euro di fatturato della divisione Repubblica arriva sempre dalla carta. Tuttavia, un buon imprenditore dovrebbe anticipare il mercato, e non subirne sempre le conseguenze. Che fine faranno i 400 giornalisti quando nessuno andrà più in edicola a comprare, per un euro, un prodotto di cui trova già quasi tutto, e gratis, su Internet?

«Siamo di fronte a uno scenario nuovo», rispondono dal gruppo Espresso, «e l'unica strada è quella di presidiare bene le nuove aree di sviluppo, quelle che potrebbero crescere, diventando leader in quei settori. Lo stiamo facendo col sito di Repubblica, con quelli delle radio, con le applicazioni per Iphone e Itunes. Certo, non investiamo centinaia di milioni di euro su questi comparti, non vale la pena giocare troppo di anticipo.
L'importante è farci trovare pronti nel momento in cui il mercato dovesse crescere. Quanto al cartaceo, pensiamo che non scomparirà, dovremo solo fare un mix intelligente tra le varie modalità di accesso al marchio Repubblica. Infine, quanto a Internet, non dobbiamo abbandonare l'idea che possa reggere un modello di business col web gratis. Ci sono gli esempi di Mediaset o delle radio lì a dimostrarci che quando un prodotto è fatto bene può sopravvivere solo con la pubblicità».