NON PRENDIAMOCI PER IL GURU - MARCO MONTEMAGNO DETTO MONTY, EX CAMPIONE DI PING PONG E COMUNICATORE PER MANCANZA DI CONTENUTI, INDOTTRINA 3 MILIONI DI FOLLOWER SUI SOCIAL CON CONSIGLI E "TRUCCHI" DEL MARKETING: "POSTO UN VIDEO AL GIORNO ANZICHÉ ANDARE DALLO PSICHIATRA. RADUNO ANCHE 10 MILA FAN. MI DANNO DEL MOTIVATORE, MA LA VERITÀ È CHE AL MATTINO FACCIO FATICA A MOTIVARE MONTEMAGNO AD ALZARSI DAL LETTO. COME CAMPO? INVENTO STARTUP E INCASSO QUANDO LE VENDO, POI YOUTUBE E FACEBOOK..."

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Stefano Lorenzetto per il "Corriere della Sera"

 

STEFANO LORENZETTO STEFANO LORENZETTO

Sarà che il suo destino era scritto nel cognome e anche nel soprannome, fatto sta che Marco Montemagno, detto Monty, prima di ogni risposta leva gli occhi al cielo e scruta l’infinito, come se dovesse affrontare la catena himalayana.

 

Partendo dal ping-pong e con molta più fantasia di chi lo ha ribattezzato «il guru del web», di montagne ne ha dovute scalare parecchie per arrivare a conquistarsi sui social una platea virtuale di 3 milioni di follower, o forse adepti, che pendono dalle sue labbra.

 

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Dal 2015, tutti i giorni che Dio manda in Terra, «se non sono in giro per eventi, super malato o con le palle girate», carica online almeno un video, durata dai 3 ai 33 minuti, che può superare l’ora quando intervista i vip.

 

Nei 10 più cliccati su YouTube, oltre 7 milioni di visualizzazioni, indottrina («10 frasi “magiche” per convincere qualsiasi persona», «11 tecniche per ricordare quello che leggi», «4 consigli per parlare in pubblico»), dispensa consigli («Non mandare il curriculum»), svela i trucchi del marketing, guida gli internauti nei meandri nella Rete tra cookie, banner, bitcoin, blockchain e Nft, «non-fungible token, servono per entrare e riconoscersi in Monty Lab, il mio ecosistema».

 

Da chi ha ereditato la favella sciolta?

«Da Romana Garassini, mia madre: nel 1984 portò in Italia il public speaking».

 

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Però è partito dal ping-pong.

«A 9 anni. L’ho lasciato da professionista a 24. Ero fra i cinque campioni nazionali. Mi ha impartito una lezione fondamentale: qualunque cosa accada, la colpa è solo tua. Oggi gioco per diletto contro un robot, ma vince sempre lui».

 

Dopodiché è diventato avvocato.

«No, sono stato praticante per 18 mesi in studi legali di Milano e Gallarate. Detestavo l’ambiente. Servivano due requisiti che non ho: mentire e litigare. Ho cambiato strada.

 

MARCO MONTEMAGNO MARCO MONTEMAGNO

Allestivo lo stand allo Smau, contattavo i giornalisti e creavo siti per un’azienda di Cad, progettazione assistita dal computer. Tanta gavetta. Per anni ho parlato di tecnologia in trasmissioni di Sky Tg24. Dicono che in Italia sia il precursore del citizen journalism, tutti cronisti grazie al telefonino. Mah».

 

Era anche su Radio Monte Carlo.

«Il programma andava in onda all’alba. Ricorda Kay Rush, la conduttrice? Difficile rifiutare il suo invito. Poi ho affiancato Fabio Volo nel “Volo del mattino” e Fiorello nel “Rosario della sera” su Deejay».

 

Adesso che cosa fa?

«L’imprenditore nei media. Posto video anziché andare dallo psichiatra».

 

Perdoni l’invadenza: e come campa?

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«Invento startup e incasso quando le vendo. La più importante è stata Blogosfere, che ho ceduto al Sole 24 Ore».

 

Credevo che la foraggiassero i social.

«Sono su YouTube, Facebook, Instagram, TikTok, Twitter, LinkedIn, Spotify e iTunes. All’inizio non ci guadagni niente. Quando raggiungi milioni di follower, qualche migliaio di euro al mese dagli inserzionisti dei primi due ti arrivano».

 

Forse ignora che il reddito medio degli italiani è di 21.570 euro lordi l’anno.

«Ho 12 dipendenti. Li pago con iniziative nate dalla mia popolarità sui social».

 

Poteva diventare un altro Jeff Bezos.

«L’ho intervistato. Intelligenza fuori dal comune e risata contagiosa».

 

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Ha intervistato anche Al Gore.

«Il primo a capire il climate change. Anche se indossa stivali da cowboy».

 

Scarpe grosse, cervello fino: Bertoldo.

«Precisamente. Come Oliver Stone. Il regista di Platoon mi ha dato l’impressione di non essere il tipo con cui puoi cianciare. Su qualunque argomento, ti costringe ad andare in profondità».

 

Ha interrogato pure Steve Ballmer.

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«Oooh! L’ex patron della Microsoft è uno dei più grandi venditori al mondo. Ma Gary Vee è più bravo di lui».

 

Chi è Gary Vee?

«Gennady Vaynerchuk, russo-americano, pioniere del web marketing. Solo lui ti procura un posto al sole sui social».

 

Lei invece non ha mai dato interviste.

«Il mercato italiano non m’interessa, benché il 70 per cento dei video sia nella mia lingua nativa. Da 10 anni vivo a Brighton, nel Regno Unito. Luogo ideale, sul mare, per due figli di 13 e 8 anni. Mia moglie Amanda è di Windsor, lavorava a Excite. Prima abitavamo a Roma».

 

Parla come i camalli, «belìn» a raffica.

«Vent’anni a Finale Ligure d’estate».

 

Però torna spesso nel nostro Paese.

«Prima della pandemia, avevo in programma un evento al Palalido di Milano con 10.000 persone già registrate. Erano incontri chiamati Meet Monty. Arrivavo a Riccione e twittavo: ci vediamo per un po’ di cazzeggio? Solo che arrivavano in 1.000. Mi sono dovuto organizzare».

 

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Spettatori paganti?

«No, mai. Partecipano gratis».

 

Non penserà di replicare i raduni svoltisi sul lago di Tiberiade 2.000 anni fa?

«Non c’è dietro nessuna operazione del genere “paghi, entri, poi ti vendo le dispense”. Solo il mio desiderio d’incontrare la gente. Sa che cosa significa dialogare ogni giorno con una telecamera?».

 

Ma lei dove vota?

«In Italia. Non lo faccio da 25 anni. Non m’interessa la democrazia recitativa analizzata dallo storico Emilio Gentile».

 

Nel 2017 certificò che «la comunicazione di Beppe Grillo funziona».

«Non l’ho più seguito. Teneva desto l’uditorio per due ore con argomenti come le rinnovabili. Impressionante».

 

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Distruggeva a mazzate i computer.

«Certo. Ma neanche Silvio Berlusconi, comunicatore nato, aveva quella forza».

 

Altri tribuni degni della sua stima?

«Barack Obama era fortissimo. Dava l’idea di essere sincero a prescindere dal fatto che lo fosse davvero oppure no».

 

La cercano mai come testimonial?

«Ogni giorno. Ho un collaboratore pagato solo per rifiutare. Accetto se credo nel messaggio. Per esempio, ho fatto uno speciale sull’energia per l’Enel».

 

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Uno spot televisivo?

«In Rete. Per me la tv non esiste. Il suo codice linguistico preclude lunghe conversazioni su business, tecnologia e innovazione, i miei cavalli di battaglia. Ha 210 minuti solo per L’isola dei famosi».

 

In che modo si avvicinò al web?

«A Stoccolma, a casa di un giocatore di ping-pong. Un suo amico universitario aveva il pc. Mi mostrò Gopher, il protocollo di rete ideato nel 1991, antenato degli odierni motori di ricerca».

 

E che cosa la affascinò di Gopher?

«Poter fare senza chiedere permesso».

 

Un suo video s’intitola «La semplicità è la cosa più facile da non capire». Dato il tema, era meglio intitolarlo «La semplicità è la cosa più difficile da capire».

«Per il prossimo titolo, la chiamo. Parliamo di risparmi? Non serve scomodare Wall Street e gli algoritmi, perché non è detto che la soluzione più complicata sia anche la migliore. Magari basta comprare un bitcoin e attendere cinque anni. Oggi vale 30.963 sterline, nel 2030 è previsto che arrivi a 1 milione di dollari».

 

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Lei quanti bitcoin ha acquistato?

«È un dato che tengo per me. Joe Biden li ha riconosciuti come una proprietà digitale. Ci sono in circolazione soltanto 21 milioni di bitcoin. Un asset digitale scarso, per ora. Quando comincerà a comprarli BlackRock, schizzeranno all’insù».

 

Altro suo video: «I 15 lavori super richiesti (che non esistevano 15 minuti fa)». Mi accontento se me ne dice uno.

«Il Web 3 ne offre già moltissimi».

 

Ne so quanto prima. Cos’è il Web 3?

«Se stanotte YouTube chiude il mio account e Google non indicizza più Montemagno, sono morto. Lo stesso capiterebbe se venisse bannata l’Italia: fine del turismo. Con il Web 3 si torna alla proprietà dei dati, ora in mano a pochi. E dai ribaltoni nascono nuovi lavori».

 

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Chi sono questi «pochi»?

«I signori del Gafam: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft. Con l’aggiunta dei cinesi di Tencent e TikTok».

 

E se un domani il Putin o lo Xi Jinping di turno oscurano il web, lei che fa?

«Con lo Splinternet è già così da anni. Non c’è soltanto il web della Russia e quello della Cina. Se in Italia voglio vedere un film dell’americana Hbo, non posso. Se nel Regno Unito cerco di guardare i canali della Rai, mi compare: “Unfortunately, Rai Tv is not available in UK”».

 

Ai suoi figli minorenni dà in mano smartphone e tablet?

«Sì, ma serve tanta cautela. Per la prima volta la loro scuola ha lanciato l’allarme: “Non fategli vedere Squid Game su Netflix”. Non è il caso dei miei bimbi. La triste realtà è che si tratta di una battaglia persa contro aziende che investono miliardi per creare dipendenza con contenuti rivoltanti. Alla fine dovremo scrivere sugli smartphone “Vietato ai minori di 18 anni” e “Nuoce gravemente alla salute”».

 

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Per lei lamentarsi non è una strategia.

«Quando torno in Italia, incontro solo gente che recrimina, dai tassisti ai camerieri. Eppure cibo, tempo e mare sono i migliori al mondo. A Brighton i postini fischiettano e persino gli spazzini paiono usciti da un episodio di Baywatch».

 

In questo momento che cosa sogna?

«È una domanda marzulliana».

 

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Lo considero un complimento. Perciò risponda a Gigi Marzullo.

(Ci pensa). «Non sogno. Sono proiettato nel presente, anziché nel futuro».

 

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Nei video appare molto sicuro di sé, come se discendesse da Carlo Magno.

«Ah sì? Strano, sono pervaso da mille dubbi. Dipenderà dal format. Il medium è il messaggio, Marshall McLuhan docet. Mi danno del motivatore, ma la verità è che al mattino faccio fatica a motivare Montemagno ad alzarsi dal letto».

 

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Differenze fra lei e un telepredicatore?

«Comparazione impossibile. Sono un incrocio fra un ateo e un agnostico. I telepredicatori truffaldini li smaschero».

 

Che cosa le manca di più dell’Italia?

«L’elasticità, a patto che non sconfini nell’aumma aumma. In Inghilterra è tutto o bianco o nero. Nel Belpaese prevale il grigio, una soluzione si trova sempre».

 

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