PASOLINI E’ VIVO – WALTER SITI: “CREDO CHE ‘’LA RICOTTA’’ SIA IL PIÙ BEL FILM DI PASOLINI NEL SENSO DEL PIÙ PERFETTO E DOMINATO DALLA GRAZIA, DA UNA FELICITÀ CREATIVA CHE VIEN VOGLIA DI DEFINIRE MOZARTIANA - C’È NEL FILM QUALCOSA DI SFACCIATO E AGGRESSIVO (“L’ITALIA HA IL POPOLO PIÙ ANALFABETA E LA BORGHESIA PIÙ IGNORANTE D’EUROPA’’); TRATTA DA SERVO IL MALCAPITATO GIORNALISTA, A CUI DÀ IL NOME DI UN MAGISTRATO CHE GLI STAVA SUI COGLIONI” – “IL VERO SANTO È STRACCI, È LUI DIMENTICATO SULLA CROCE IL VERO CRISTO. UN POVERO CRISTO CHE INCARNA IL SACRO, CONTRAPPOSTO AL RELIGIOSO” - VIDEO

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Walter Siti per Dagospia – Siti ha curato i due ultimi Meridiani delle opere complete di Pasolini. Il suo ultimo libro: “Quindici riprese - Cinquant’anni di studi su Pasolini” (Rizzoli)

 

siti

Credo che La ricotta sia il più bel film di Pasolini nel senso del più perfetto e dominato dalla grazia, da una felicità creativa che vien voglia di definire mozartiana. A questo, certo, contribuisce la sua brevità: non a caso gli altri due miei preferiti sono altri due mediometraggi (Che cosa sono le nuvole ? e La terra vista dalla luna) girati per quei “film a episodi” che erano una specialità italiana degli anni Sessanta.

 

Ma la brevità da sola non basterebbe di sicuro, se non fosse accompagnata da una sorta di superiore noncuranza che permette di dire cose serie senza perdere leggerezza e quasi senza accorgersene. E quali sono queste cose serie ? 

 

pasolini La ricotta

La prima è uno sguardo finalmente spietato nel giudicarsi da fuori in quanto artista esteta e decadente. All’uscita di Mamma Roma aveva discusso con Arbasino se la morte di Ettore sul letto di contenzione fosse più ispirata a Mantegna o a Caravaggio, aveva chiamato Longhi a testimone che il suo amore per l’antica pittura si doveva considerare “un fatto stilistico interno, non una ricostruzione di quadri!”.

 

La ricotta

Qui invece Pasolini si mette in scena nella figura del “reggista” che ricostruisce quadri manieristi proprio secondo la lezione di Longhi e di Briganti; si prende per i fondelli con allegria perché si sente tra amici. La voce di Bassani che doppia Orson Welles pronuncia parole che scendono negli anfratti dell’inconscio (“ed io, feto adulto, mi aggiro/ a cercare fratelli che non sono più”), mentre Laura Betti fa la diva che più diva non si può (“tesoro, se non si gira subito io me la batto”).

 

 

Orson Welles - La ricotta

Fortini lamentava, giustamente e moralisticamente, che Pasolini avesse parlato così tanto di poveracci e pochissimo del mondo del cinema: qui lo fa ma non lo fa pesare nemmeno a se stesso, l’ironia è anche esorcismo. Le contraddizioni svaporano nei piccoli incidenti del set, nella simpatia dei figuranti borgatari; se l’intellettuale sceglie musiche snob (Scarlatti ma non Domenico bensì il padre Alessandro, assai meno conosciuto), i ragazzi della troupe ballano il twist (però non un twist qualunque, l’Eclisse Twist le cui parole erano state scritte da Antonioni); colui che si autodefinisce “una forza del Passato” è attratto dalla passione popolare per la modernità.

pasolini La ricotta

 

Pasolini si mostra nell’atto di creare, e questo (di nuovo senza parere) comincia a risolvere un’impasse che lo aveva bloccato negli anni immediatamente precedenti; come poeta aveva perso la metrica, come intellettuale stava perdendo la fede nel marxismo, come uomo si sentiva travolto dal rancore e dall’aridità.

laura betti e Pasolini La ricotta

 

In alcuni versi scritti mentre girava Mamma Roma comincia a capire che l’exit strategy si può trovare nell’ibridazione tra letteratura e vita, sporcando la forma con l’attesa della forma, in una aurorale intuizione delle possibilità del non-finito.

 

La sceneggiatura stessa, se la consideriamo opera d’arte autonoma, è un testo che ha bisogno di essere integrato da quel che è esterno a sé (le immagini); proprio nel testo della Ricotta, come poi lo pubblicherà in Alì dagli occhi azzurri, c’è uno stupendo tour de force longhiano per descrivere il rosso e il verde dei panneggi di Pontormo, una ventina di righe di prosa d’arte per illustrare un oggetto che nel film si vede per pochi secondi.

 

La ricotta

Il film allora può sentirsi più libero perché la letteratura fa il lavoro sporco, quello della Bellezza, da un’altra parte. E’ questa libertà che incanta nella Ricotta film, anzi filmetto: una rivoluzione formale che celebra qui, ingenuamente, il proprio battesimo.

Stracci - La ricotta

 

C’è nel film qualcosa di sfacciato e aggressivo: Pasolini risponde alla sensazione di esser preso di mira come capro espiatorio (sta ancora vivendo le conseguenze dell’assurdo episodio del Circeo) ma questa volta non recita da vittima, anzi assale a sua volta sottolineando le provocazioni (“l’Italia ha il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d’Europa”); tratta da servo il malcapitato giornalista di “Tegliesera”, a cui dà il nome di un magistrato che gli stava sui coglioni.

Orson Welles Pier Paolo Pasolini La ricotta

 

Ha voglia di ridere e non si sottrae a un comico facile, dalla fame atavica di Pulcinella fino a Charlot o meglio a Ridolini. Le ufficialità della religione franano miseramente sotto gli inconvenienti del set e l’implacabile umorismo romanaccio; il realismo trascolora in parodia e gli frutterà un’accusa di vilipendio alla religione di Stato (con conseguente sequestro del film).

 

 

Pasolini - La Ricotta

Nessuna atmosfera cupa, però (come per esempio avverrà nel diavolo che caca monaci nei Racconti di Canterbury), anzi un’adesione agli impulsi creaturali; il vero santo è Stracci, è lui dimenticato sulla croce il vero Cristo. Un povero cristo che incarna il Sacro, contrapposto al Religioso. Questa è l’altra cosa seria che ci dice il film, nella sacralità delle inquadrature finali e nel famoso “segno della croce sbagliato” del protagonista Mario Cipriani, che tocca prima la spalla destra poi la sinistra.

Stracci - La ricotta

 

Il Pasolini della Ricotta è un quarantenne che non ha paura, che ha assorbito la depressione e sta rilanciando perché si sente forte, il nuovo mezzo espressivo gli apre orizzonti entusiasmanti. Poi si appesantirà, già nel Vangelo sarà un po’ inibito dalla tradizione pittorica e dal bisogno di “rifarsi una onorabilità”.

 

Qui, con un soggetto veloce buttato giù alla brava, già offerto a un altro produttore che se n’era spaventato, si sente libero di scherzare anche sulle proprie tare cattoliche e sui propri sensi di colpa; il processo alla Ricotta gli costerà la rinuncia a un film sull’Africa a cui teneva moltissimo, e che Alfredo Bini non sarà più disposto a finanziare.

 

 

Ninetto Davoli e Pasolini si conobbero sul set de La ricotta

Ma il rischio (con le conseguenti delusioni e disavventure) è in questo momento un colore in più della vita, ci si può commuovere su Stracci e seguire ridacchiando il Santo platinato e frocio che si infratta con le giovani comparse. Il ritmo mozartiano significa capacità di non escludere nulla di ciò che è umano, con in corpo una gran voglia di innamorarsi: sul set della Ricotta incontra per la prima volta un quattordicenne figlio di calabresi immigrati – si chiama Giovanni Davoli, detto Ninetto.

    

 

 

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