Michele Anselmi per \"Il Riformista\"
MARIO MARTONESarà contento l\'ex presidente Ciampi. A ogni incontro al Quirinale, fosse per i David di Donatello o i premi De Sica, rivolgeva ai nostri cineasti sempre la stessa, accorata preghiera: \"Raccontate il Risorgimento italiano\".
Sarà contento perché, dopo lunga gestazione, qualche intoppo finanziario e una complicata messa a punto del cast, Mario Martone, il regista partenopeo oggi direttore del Teatro Stabile di Torino, sta girando dal 16 febbraio \"Noi credevamo\".
Un budget di oltre 6 milioni di euro, tanti personaggi, riprese a Torino, Saluzzo e sulle Alpi, poi dalle prossime settimane fino a giugno nel Cilento, a Bovino (Foggia) e Cinecittà. Producono la Palomar di Carlo Degli Esposti con Conchita Airoldi e Giorgio Magliulo, in collaborazione con Raicinema e Raifiction, più la francese Les Films d\'Ici e la Film Commission Torino Piemonte.
Progetto ambizioso per il regista di \"Morte di un matematico napoletano\", che firma il copione, liberamente ispirato al romanzo di Anna Banti, insieme a Giancarlo De Cataldo. L\'idea è di trarne una sorta di \"La meglio gioventù\" in chiave risorgimentale.
A suo modo un kolossal in costume, diviso in quattro quadri, per rievocare trent\'anni e passa di storia, suppergiù dal 1830 al 1863, visti con gli occhi di tre giovani patrioti italiani, \"giacobini\", sventati e romantici, pronti a tutto per l\'ideale: ad armarsi di pugnali e bombe per uccidere i tiranni, a ordire congiure, a eliminare i \"traditori\", a patire il carcere.
Giancarlo De Cataldo - Copyright PizziIl titolo bello e simbolico, \"Noi credevamo\", sembra indicare una stagione della vita, anche dell\'impegno politico totale, destinata a soccombere sotto i colpi della ragion di Stato.
Inutile cercare Martone, al ritorno sul set cinque anni dopo lo sfortunato
\"L\'odore del sangue\", per chiedergli se i suoi rivoluzionari alludano un po\' anche all\'Italia del secolo successivo: magari agli antifascisti degli anni Trenta, ai brigatisti dei Settanta. Troppo impegnato dalle riprese, l\'ufficio stampa assicura che parlerà più avanti.
Due anni fa, quando sembrava che il film dovesse partire, spiegò: \"Non mi interessano paragoni schematici. Mi piace la stoffa di questi cospiratori, oppressi davvero\", aggiungendo di essersi \"via via appassionato a pagine di storia che non conoscevo bene, in parte affogate nella pallida memoria scolastica\".
Naturalmente Martone e De Cataldo, nell\'affrontare l\'argomento non proprio consueto, hanno consultato documenti e volumi, intervistato storici, rivisto ogni film legato a quel periodo: da \"Allonsanfan\" e \"San Michele aveva un gallo\" dei Taviani a \"Viva l\'Italia\" e \"Vanina Vanina\" di Rossellini, passando per \"1860\" di Blasetti. \"Un\'immersione totale nell\'iconografia risorgimentale\", sorride il giudice-scrittore di \"Romanzo criminale\".
\"L\'impianto è ambizioso, la sfida è di rievocare un passato eroico non così lontano per suggerire anche una riflessione sull\'Italia di oggi, un Paese che spesso mi sembra senza memoria\", aggiunge De Cataldo, per il quale il richiamo a \"La meglio gioventù\" non appare campato per aria: \"Può essere, ma se esiste non è consapevole\".
toNY SERVILLOVedremo quando il film uscirà, prima al cinema, poi probabilmente in tv in una versione più lunga, alla maniera dei \"Viceré\" di Roberto Faenza. Quanto alla vicenda, come si diceva, tutto ruota attorno a tre cospiratori: cioè Domenico, Angelo e Salvatore, incarnati sullo schermo da Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco e Luigi Pisani.
Si conoscono sin dall\'infanzia (due sono \"figli dei signori\", uno di un \"trappetaro\", un uomo di fiducia già contadino), quando videro fallire sanguinosamente a Palinuro l\'impresa di alcuni \"banditi giacobini\", fucilati e poi decapitati a mo\' di esempio.
Poi c\'è Cristina Trivulzio di Beljoioso, interpretata da Francesca Inaudi, ossia la principessa colta e progressista, in anticipo sui tempi, quasi una protofemminista, che i tre ragazzi del sud, ormai cresciuti e fedeli agli ideali imperituri di \"Giustizia e Libertà\", incontrano a Parigi, presentandosi come \"amici del signor Pippo Strozzi\".
Ovvero Giuseppe Mazzini, che avrà la faccia carismatica di Toni Servillo. Nel cast, fitto di partecipazioni illustri, Luca Zingaretti nel ruolo di Francesco Crispi, più Renato Carpentieri, Ivan Franek, Anna Bonaiuto, Fiona Shaw, Luca Barbareschi e tanti altri.
LO CASCIOL\'idea, pare di capire, è di imprimere al film una narrazione ampia, prendendo i personaggi da giovani, partendo dal Cilento dei Borboni, per approdare alla Parigi salottiera dei \"rifugiati\", alla Ginevra mazziniana, alla Sicilia dei Mille, in un intreccio di sventure, amori, viltà e prove di coraggio, attentati a Napoleone III, infatuazioni socialisteggianti e sconfitte politiche. In fondo l\'unico ad aver fatto sul serio l\'unità d\'Italia è Cavour, se poi l\'ha fatta bene o male è un altro discorso. E non sarà il film a sciogliere il quesito.
Di sicuro \"Noi credevamo\" è un\'impresa inconsueta per il nostro cinema. E incuriosisce sapere come il regista riuscirà a governare i destini dei suoi eroi insurrezionalisti, intrecciandoli - a mo\' di affresco - con le mosse di personaggi realmente vissuti: Carlo Poerio, Carlo Pisacane, Saffi e Menotti, Felice Orsini, Urbano Rattazzi, Garibaldi.
Soprattutto Mazzini: sempre abbigliato di nero, murato vivo in un febbricitante carisma. Secondo alcuni storici, fu rivoluzionario incapace di legarsi alla grande politica, vittima di una pratica sovversiva che lo porterà a morire in Italia, ancora clandestino, nel 1872. Anche lui, in fondo, molto \"Divo\".