SUONALA ANCORA QUINCY (JONES) – LA LEGGENDA DELLA MUSICA AMERICANA APRE UMBRIA JAZZ – “THRILLER”? CON MICHAEL JACKSON ABBIAMO ASCOLTATO 800 PEZZI PER SCEGLIERNE NOVE E CINQUE SONO DIVENTATI NUMERO UNO“ - SINATRA SULLA LUNA – “UNA VOLTA CON BONO E GELDOLF ANDAMMO A TROVARE GIOVANNI PAOLO II. IO DISSI: ‘GUARDA, HA LE SCARPE ROSSE CHE SEMBRANO DA PAPPONE. LUI SENTÌ E…’”

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Marco Molendini per “il Messaggero”

 

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Che vita, Quincy Jones. La sua storia è gonfia di ricordi a 85 anni, compiuti a marzo e che ora festeggia anche in Italia aprendo, domani, Umbria jazz.

 

Non ci sono solo i successi fuori misura con Michael Jackson o gli incontri speciali con Frank Sinatra, Miles Davis, Count Basie, Ray Charles, amico d' infanzia, e delle prima avventure musicali, i 27 grammy o We Are the World.

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La sua storia è la storia della musica del Novecento e della spettacolare evoluzione di un ragazzo nero americano cresciuto nella Chicago di Al Capone, che scopre il proprio talento fino a diventare il riferimento di tutte le variabili musicali della tradizione nera e testimone dell' emancipazione del black people, da Martin Luther King a Obama.

 

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Una vicenda americana, forte e esaltante. E che, ora, racconta, come farà domani a Perugia, con tanti ospiti coi quali ha collaborato in passato da Dee Dee Bridgewater, al brasiliano Ivan Lins, al gruppo vocale Take 6, a Patti Austin, a Noa, a Paolo Fresu con la sua tromba, al pianista Alfredo Rodriguez.

 

Mister Jones, lei ha cominciato la sua carriera da trombettista nell' orchestra di Lionel Hampton, ma il primo successo è stato nel 1965 con il brano Fly Me to the Moon per Frank Sinatra e Count Basie.

«Quella collaborazione ha cambiato la vita a tutti. Ricordo che Frank non stava nella pelle quando ha saputo che Buzz Aldrin, l' astronauta, aveva fatto suonare Fly Me to the Moon sulla Luna.

 

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Mi telefonava in continuazione: Hai capito? Il nostro pezzo è stato il primo a essere sentito sulla Luna. Ma a dare la prima svolta alla mia vita è stato anche Basie che mi ha adottato da adolescente, fino a 11 anni avevo vissuto nel mondo dei gangster e pensavo che lo sarei diventato anche io».

 

Cosa ha cambiato la sua vita?

«Un giorno sono finito con la mia gang in un magazzino dove avevamo saputo che ci sarebbero stati tre sapori nuovi di gelati.

 

jones fotografato da alan duplantier jones fotografato da alan duplantier

Finimmo negli uffici degli impiegati dove, in un angolo, c' era un piccolo piano. Non ho resistito e mi è bastato il suono di una nota per decidere quale sarebbe stato il mio futuro».

 

Una folgorazione e una fortuna, visto il successo che ha avuto, compreso il più grande con Thriller.

«Con Michael Jackson abbiamo lavorato a lungo, il risultato con 130 milioni di copie vendute non è stato affatto un caso. Abbiamo ascoltato 800 pezzi per sceglierne nove e cinque sono diventati numero uno».

 

Come vi siete incontrati con Michael?

«La prima collaborazione è The Wiz. Lui aveva 19 anni e pensava già di lasciare la Motown per fare un disco da solo.

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Mi ha chiesto se glielo avrei prodotto e la prima canzone che gli ho dato, per Off the Wall, è stata She' s Out of My Life, che avevo tenuto da parte per Sinatra».

 

L' altro suo successo cosmico è stata We Are the World.

«Bob Geldof stava organizzando il Live Aid e Harry Belafonte venne da me chiedendomi: E noi, in America, non facciamo nulla?. Voleva organizzare un tour con 40 artisti in giro per gli Stati Uniti.

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Io gli dissi che era meglio puntare su una singola canzone da registrare con tutte le più grandi stelle. Con We Are the World abbiamo raccolto 63 milioni di dollari».

 

Lei è un jazzista, ma nella sua vita ha suonato qualsiasi tipo di musica.

«Jazz è libertà. Già con Ray Charles a 13 anni, suonavamo tutto quello che ci chiedevano perché avevamo bisogno di guadagnare. E così ho continuato.

 

Poi ho fatto studi classici a Parigi con Nadia Boulanger e Olivier Messiaen, innamorandomi delle orchestrazioni di Ravel, un mio idolo. Ma restare connessi alle radici è essenziale».

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Lei è stato anche uno dei primi a interessarsi del rap, che oggi domina la scena.

«C' è grande confusione sul rap, si pensa che venga dal Bronx. Ma viene da molto lontano, viene dall' Africa, dal Brasile. E frutto di una rimasticatura. Il 50 per cento del suo slang viene dal be bop. Negli anni Trenta i neri facevano già rap».

 

L' ultima volta in Italia venne nel 2004 col progetto We Are the Future al Circo Massimo.

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«Ricordo sul palco Zucchero e Carmen Consoli. Ma io sono molto legato all' Italia. Sa che ho il compleanno nello stesso giorno di Michelangelo? Ho il ricordo fantastico di quando andai a visitare la Cappella Sistina con Leonard Bernstein.

 

Ricordo anche una visita a Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo con Bono e Geldof per chiedergli di aderire alla campagna sul debito per i paesi del Terzo Mondo, ma feci una gaffe tremenda.

 

Il papa aveva delle curiose scarpe rosse e dissi a Bono: Guarda, ha le scarpe che sembrano da pappone. Il papa sentì, ma si mise a ridere. La sua adesione portò, comunque, grandi risultati».

 

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