VENERDÌ TUTTI SU NETFLIX: ARRIVA “LOVE, DEATH AND ROBOTS”, LA SERIE/NON SERIE PIÙ INCREDIBILE, STRAORDINARIA E SCONVOLGENTE DISTRIBUITA DALLA PIATTAFORMA STREAMING – LA CURANO TIM MILLER E DAVID FINCHER ED È IL TRIONFO DELLA CREATIVITÀ. NON È SOLO UN INSIEME DI STORIE, DI PICCOLI FILM, DI PEZZI DI FILMMAKING; È ANCHE UNA SERIE DI SENSAZIONI, SUGGESTIONI, DI VIAGGI ONIRICI E SPAZIALI – VIDEO

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Gianmaria Tammaro per www.lastampa.it

 

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Abbastanza ciclicamente ricomincia la polemica del: ma perché Netflix non sperimenta di più? Perché s’adagia sui generi, sulle cose già viste? E abbastanza ciclicamente arriva la risposta: Netflix sperimenta, ma sperimenta quando ne vale la pena.

 

Quando il suo modello può essere sfruttato al massimo, e nel migliore dei modi. “Love death and robots” (dal 15 marzo in streaming) è, con buone probabilità, la serie/non-serie più incredibile, straordinaria e sconvolgente che sia stata distribuita dalla piattaforma streaming da molti anni – ed è una realtà giovane, lo sappiamo – a questa parte.

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È tutto quello che ci si aspetterebbe da chi ha fatto dell’innovazione la propria bandiera. È libera, estrema, è senza mezzi termini. È piena di violenza e di sesso, e di nonsense e di ironia, e di intuizioni geniali. È una serie antologica di corti animati (in totale ce ne sono 18, il minutaggio varia tra i cinque e i quindici minuti).

 

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La curano due signori che si chiamano Tim Miller, papà del “Deadpool” cinematografico, e David Fincher, il regista-autore-cineasta che prima di tutti ha intuito il potenziale di Netflix e ha deciso di lavorarci insieme: pensate a “House of Cards”, che portava la sua firma nelle prime stagioni; pensate pure, più recentemente, a “Mindhunter”.

 

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“Love death and robots” è il trionfo della creatività. L’animazione – che non è un genere e non lo sarà mai, e che al massimo è un modo, un medium, tramite cui raccontare qualcosa – è il linguaggio migliore per il tipo di storie che contiene. Ci sono futuri prossimi, futuri apocalittici, presenti alternativi, passati non così passati.

 

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Ci sono riscritture della storia, quella con la s maiuscola, e ci sono mondi spaziali informi e freddi, dove si è soli e abbandonati, e dove la paura è un mostro dai mille occhi, che t’addormenta, ti coccola, e ti sussurra bugie all’orecchio.

 

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In questa serie non c’è un’unica trama, un solo fil rouge, che collega i vari episodi – che episodi, quindi, non sono – e che tiene le redini di tutto l’andamento, narrativo e produttivo. Ogni corto è un’isola: sai che attorno a te, nell’oceano, ce ne sono altre, qualcuna più simile e qualcuna più diversa; ma la realtà che vivi nell’immediato è solo quell’isola, e quindi non ti sembra che ci sia altro da vedere o da sentire.

 

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“Love death and robots” non poteva essere sviluppata e distribuita da altri se non da Netflix: è un prodotto pensato per lo streaming, e che vive di streaming. Puoi guardare una puntata, due, tre, fermarti, ricominciare da capo. Decidere che un mondo ti interessa di più e concentrarti su quello. Optare per un horror – ma niente ti dice quale puntata sarà un horror se non, appunto, la puntata stessa.

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Oppure per una comedy. Per un survival. Per un thriller senza parole, fumettoso, pieno di balloon che spuntano dal nulla e danno voce ai suoi (come in “Spider-man: into the spider-verse”, film premio Oscar).

 

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In “Love death and robots” ci sono corti in 2D, in 3D e in CGI. E quindi ci sono storie più piatte, che s’affidano totalmente e completamente al disegno. Altre elaborate, diverse, complicate visivamente. E poi ci sono quelle così belle e così profonde da sembrare dei piccoli film, dove la computer grafica si confonde con la fotografia. Anche questo, l’alternanza di tre tipi d’animazioni, è sintomo di una voglia sfrenata di sperimentare.

 

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Qualcuno, nel tentativo di etichettare “Love death and robots”, lo accosterà ad “Animatrix” delle Wachowski. In un certo senso sì, le due cose si somigliano; ma qui c’è molta più libertà, molta più corda da tirare. Perché “Love death and robots” non è solo un insieme di storie, di piccoli film, di pezzi di filmmaking; è anche una serie di sensazioni, suggestioni, di viaggi onirici e spaziali; è la concretizzazione della potenza dell’animazione, dove, rispetto al live action, può succedere qualunque cosa, non ci sono limiti e non c’è nessuna – apparente – regola narrativa.

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