LA 19ENNE AMERICANA VIOLENTATA DA TRE RAGAZZI A CATANIA AVEVA PROVATO A CHIEDERE AIUTO CON 11 CHIAMATE AL 112 - HA INVIATO ANCHE CINQUE MESSAGGI AUDIO A UN SUO AMICO (“PER FAVORE AIUTAMI, CI SONO DEI RAGAZZI, NON VOGLIO”) E LUI, PRIMA HA RISPOSTO CHE NON CAPIVA, POI “CHE NON AVEVA L'AUTO” - IL RACCONTO DELLA RAGAZZA: “MI HANNO AFFERRATA PER UN BRACCIO, MI DICEVANO: STAI ZITTA. E MI HANNO SPINTA SUL SEDILE POSTERIORE. HANNO CERCATO DI FARMI…”

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1 - L'AMERICANA VIOLENTATA DAL BRANCO CHIEDEVA AIUTO: 11 CHIAMATE AL 112

Valentina Raffa per “il Giornale

 

È andata negli Usa per provare a dimenticare lo stupro subito, ma dovrà tornare in Italia per ribadire la sua testimonianza in un incidente probatorio, per cristallizzare le prove contro i tre aguzzini che, a turno, ne hanno abusato. Oppure per testimoniare nel processo che vede il terzetto, adesso in carcere, accusato di violenza sessuale di gruppo.

CATANIA - I TRE RAGAZZI ACCUSATI DELLO STUPRO DI UNA TURISTA AMERICANA CATANIA - I TRE RAGAZZI ACCUSATI DELLO STUPRO DI UNA TURISTA AMERICANA

 

La 19enne americana che da tre mesi era ospite alla pari a Catania di una famiglia per cui faceva la babysitter, vittima di una violenza sessuale il 15 marzo, dovrà ancora rivivere quell' orribile serata, iniziata piacevolmente in un pub del centro etneo con un' amica e terminata vicino agli scogli del lungomare con Roberto Mirabella, 20 anni, Salvatore Castrogiovanni e Agostino Spampinato, entrambi 19enni, che da gentili si sono trasformati in stupratori, «cacciatori della preda sessuale» dice la pm di Catania Maria Scavo, che con il collega Andrea Ursino si è occupata del caso.

 

La ragazza ha provato a chiedere aiuto, ma non è stata ascoltata. È l'agghiacciante verità testimoniata da 5 messaggi audio inviati a un amico, sos lanciati nei momenti concitati in cui si è vista dapprima costretta a salire in auto e poi violentata malgrado i suoi no.

L'amico, che non ha fatto niente per aiutarla, potrebbe non rischiare nulla, ma i suoi concittadini, che hanno preso sul web una ferrea posizione contro i tre ragazzi, definendoli «la vergogna di Catania», non la farebbero passare liscia nemmeno a lui. Lei gli ha persino comunicato dove si trovava esattamente: «Per favore aiutami, ci sono dei ragazzi, non voglio».

CATANIA - I TRE RAGAZZI ACCUSATI DELLO STUPRO DI UNA TURISTA AMERICANA CATANIA - I TRE RAGAZZI ACCUSATI DELLO STUPRO DI UNA TURISTA AMERICANA

 

E lui, prima ha risposto che non capiva, poi che non aveva l'auto. E la giovane ha detto ai carabinieri: «Scrivete pure di Salvo. Sono riuscita a mandargli 5 messaggi vocali mentre mi violentavano, l' ho chiamato due volte. Ma continuava a dire che non capiva». La 19enne ha fatto 11 chiamate al 112 in meno di un'ora, impedita dai suoi aguzzini a parlare con l'operatore, e una al 911. «I richiami d' aiuto si sono susseguiti in un arco di ben un'ora e 45 minuti» annota il gip Simonetta Ragazzi.

 

«Sarà la procura a verificare eventuali responsabilità» commenta l'avvocato Mirella Viscuso, che rappresenta la vittima. La ragazza ha fatto mettere a verbale che avrebbe subito altre violenza sessuali in passato. Il questo caso il terzetto si difende dicendo che la ragazza «ci stava». E uno dei tre le ha pure inviato sul suo profilo social il video dello stupro invitandola a un nuovo incontro, non come intimidazione, ma, puntualizzano i carabinieri di piazza Verga. «Per i vermi violentatori che hanno stuprato una turista, nessuno sconto: certezza della pena e castrazione chimica!» ha commentato il ministro dell' Interno Matteo Salvini. Per evitarle un rientro della vittima in Italia il legale pensa intanto a «una rogatoria internazionale o una teleconferenza».

 

CATANIA - I TRE RAGAZZI ACCUSATI DELLO STUPRO DI UNA TURISTA AMERICANA CATANIA - I TRE RAGAZZI ACCUSATI DELLO STUPRO DI UNA TURISTA AMERICANA

2 - "NON VOGLIO, AIUTAMI" QUEI CINQUE AUDIO ALL'AMICO CHE NON È INTERVENUTO

Salvo Palazzolo per “la Repubblica”

 

Quando mi hanno spinta in macchina con forza, sono riuscita a mandare un messaggio vocale a un amico - racconta - gli ho sussurrato: "Per favore aiutami, ci sono dei ragazzi, non voglio". E lui, prima mi ha risposto che non capiva, poi che non aveva l' auto e non poteva aiutarmi. Una cosa assurda». Ventiquattrore dopo lo stupro - è la notte fra il 16 e il 17 marzo - la diciottenne americana sta denunciando i suoi tre aggressori, ma continua a ripetere anche il nome dell' amico (o presunto tale).

 

«Scrivete pure di Salvo - dice ai carabinieri - sono riuscita a mandargli cinque messaggi vocali mentre mi violentavano, l'ho chiamato due volte. Ma continuava a dire che non capiva. E quando quella notte da incubo è finita, gli ho scritto un ultimo sms: Ti odio davvero».

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Eccoli, i Whatsapp rimasti senza risposta. Questo è un dramma che si poteva evitare.

Ore 23,12: «Io sto male, aiuto me». Ore 23,14, si sente la voce di uno degli stupratori: «Compare, te la posso dire una cosa? A chidda ma isu iu». A quella me la alzo io. Ore 23,17: «Aiuto, aiuto, sono nell' auto».

 

A mezzanotte e 3 minuti, la ragazza riesce a mandare anche la sua posizione esatta, il lungomare di Catania, all' altezza del "Caito", dove si riuniscono le coppiette. A mezzanotte e 12 minuti, la violenza si sente in diretta. «Vieni qua», dice uno dei ragazzi. «Non voglio», urla lei. «Sì che vuoi», dice un altro. «No, basta. Non voglio, non voglio». Ma l' amico continuava a non preoccuparsi.

 

Lei racconta: «Quando si sono accorti che avevo il cellulare in mano, hanno provato a togliermelo, ma sono riuscito a tenerlo». E con quel telefono la giovane ha provato poi a lanciare l' allarme al 112, il numero unico di emergenza. Undici volte ha chiamato fra mezzanotte e 13 e l'una. Lei chiamava e i suoi aggressori la bloccavano. L'operatore del 112 ha provato a richiamare, ma niente. L'ultima telefonata durante quell' incubo è al 911, il numero di emergenza americano. «I richiami d' aiuto si sono susseguiti in un arco di ben un' ora e 45 minuti», annota il giudice delle indagini preliminari Simona Ragazzi per tratteggiare il dramma.

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Ventiquattrore dopo lo stupro, la ragazza decide di denunciare. La famiglia che la ospita ha avvertito un amico carabiniere, un maresciallo del nucleo Investigativo. La ragazza consegna le sue calze nere strappate, una gonna blu, un foulard e un paio di slip. Ai militari della Compagnia di Piazza Verga dice: «Qui ci sono le prove di quello che hanno fatto». Piange e si arrabbia. Un cascata di riccioli neri, due occhi grandi. E inizia il suo lungo racconto.

 

«Venerdì mi trovavo con un'amica al Lupo bar di via teatro Massimo. Si sono avvicinati tre giovani, hanno poggiato i loro bicchieri sul nostro tavolo e hanno iniziato a parlare. Erano gentili». La ragazza fa anche un video, lo manda a una sua amica, che le risponde: «Roberto lo conosco, ha frequentato la mia stessa scuola, stai tranquilla, è un ragazzo per bene». Ma poco dopo la invitano a salire sulla loro auto. «Mi hanno afferrata per un braccio, mi dicevano: stai zitta. E mi hanno spinta sul sedile posteriore». La portano in una strada buia. «Hanno cercato di farmi fumare della marijuana, ma ho rifiutato. E a quel punto hanno iniziato a mettermi le mani addosso».

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Sabato scorso, la giovane ha deciso di tornare in America. Prima di salire sull' aereo, ha scritto un sms al maresciallo che l' aveva accompagnata a denunciare, Claudio Rapisarda si chiama, un ragazzone che ha fatto missioni all' estero e adesso si occupa di antimafia. Ma quasi si commuove quando legge le parole della ragazza ai suoi colleghi: «Vi ringrazio di tutto, ma ora devo andare via, non ce la faccio, sono un fascio di emozioni. Troppo per me».

 

 

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