ARCURI, GIU' LA MASCHERINA! - L'EX COMMISSARIO NON È ACCUSATO SOLO DI PECULATO, COME RIVELATO DA "LA VERITÀ", MA PURE DI ABUSO D'UFFICIO - GLI 800 MILIONI DI MASCHERINE ACQUISTATE NEL 2020, TRAMITE BROKER IMPROVVISATI PER 1,25 MILIARDI, ERANO FALLATE E NON PROTEGGEVANO DAL COVID (QUANTE DI QUESTE SONO FINITE A CITTADINI, MEDICI E INFERMIERI ITALIANI?) - LE MASCHERINE SONO STATE PURE PAGATE PRIMA CHE NE FOSSE VERIFICATA L'EFFICACIA. E NONOSTANTE FOSSE PREVISTO DAI CONTRATTI, NON AVEVANO CERTIFICAZIONE CE - PER I PM ARCURI E IL SUO BRACCIO DESTRO FABBROCINI "SI APPROPRIAVANO, DISPONENDONE" DA PADRONI "A VANTAGGIO DI BENOTTI" DI CIRCA 12 MILIONI DI EURO…

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domenico arcuri

Giacomo Amadori François De Tonquédec per "la Verità"

 

Adesso è ufficiale. Anche la Procura di Roma, dopo quella di Gorizia, ha certificato che buona parte degli 800 milioni di mascherine acquistate nel 2020, tramite broker improvvisati, al «modico» prezzo di 1,25 miliardi dalla struttura del commissario per l'emergenza Covid erano fallate. Ieri i pm capitolini hanno disposto il sequestro di 161 milioni di dispositivi che nell'aprile scorso risultavano ancora giacenti nei magazzini della struttura sino a marzo guidata dall'ad di Invitalia Domenico Arcuri.

 

MARIO BENOTTI

Quest' ultimo è indagato per peculato e abuso d'ufficio («un'iscrizione aggiornata» la settimana scorsa, fanno sapere i pm) insieme con il suo braccio destro Antonio Fabbrocini. Un'informazione, quella della contestazione del peculato, che questo giornale aveva già dato ai suoi lettori l'11 aprile scorso. Parimenti avevamo pubblicato la notizia che Arcuri e Fabbrocini erano ancora indagati per corruzione, nonostante la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura nel novembre scorso e non ancora accolta dal gip.

 

Jorge Solis

Ma ieri è diventato di dominio pubblico l'avviso di garanzia inviato ad Arcuri in vista dell'interrogatorio che lo stesso ha reso sabato davanti ai pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone. Un invito a presentarsi che sa già di avviso di chiusura delle indagini essendo ricostruite nei dettagli le accuse degli inquirenti. Per esempio si apprende che sono indagati per traffico di influenze illecite otto persone e non più solo sei.

 

domenico arcuri e i banchi monoposto

Oltre al giornalista Mario Benotti e alla compagna Daniela Guarnieri, al banchiere sammarinese Daniele Guidi, agli imprenditori Andrea Tommasi e Jorge Solis e al manager Fares Khouzam, alla lista occorre aggiungere un altro imprenditore, Nicolas Venanzi, e il cinese Cai Zhongkai, accusati tutti di aver messo in contatto tre consorzi cinesi con i mediatori italiani e, in particolare Zhongkai, di aver pattuito e promosso la «corresponsione dei compensi per le mediazioni illecite».

 

BENOTTI ARCURI MESSAGGI

Il reato è aggravato dal numero dei partecipanti e dalla transnazionalità dell'illecito visto che sarebbe stato commesso oltre che a Roma anche a Hong Kong, dove, come ha rivelato La Verità, sarebbero stati siglati accordi economici e sarebbe stato aperto un conto corrente ad hoc. Le accuse nei confronti di Arcuri e Fabbrocini sono piuttosto pesanti. Per quanto riguarda il peculato, nella convocazione si legge che i due «si appropriavano, disponendone» da padroni «a vantaggio di Benotti» di circa 12 milioni di euro «traendoli dal Fondo costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (soggetto ad obbligo di rendicontazione)».

 

mario benotti quarta repubblica

Un «compenso privato» che sarebbe stato compreso «nella stipulazione del prezzo dei contratti di fornitura» e che il produttore cinese avrebbe poi girato a Benotti. Con il quale, il commissario avrebbe intrattenuto, «in violazione» di legge «un rapporto di mediazione commerciale non contrattualizzato, sottraendo la determinazione della provvigione al controllo» della struttura. C'è poi la contestazione dell'abuso d'ufficio.

BENOTTI SMS CON ARCURI

 

In questo caso Arcuri e Fabbrocini sono accusati di aver «omesso intenzionalmente di formalizzare e palesare il rapporto, qualificabile quale mediazione, che la struttura commissariale costituiva e intratteneva» con gli indagati Benotti e Tommasi, a cui avrebbero assicurato «una illecita posizione di vantaggio patrimoniale», garantendogli «l'opportunità di monetizzare il credito illecito» derivante dal traffico di influenze e «la facoltà di avere rapporto commerciale con la pubblica amministrazione senza assumere alcuna responsabilità sul risultato della loro azione e sulla validità delle forniture che procuravano».

 

Una doglianza che è la conseguenza di una nuova ipotesi di reato, la frode nelle pubbliche forniture, in questo caso aggravata dal fatto che le commesse riguardavano «cose destinate ad ovviare a un comune pericolo». Un filone investigativo che era stato anticipato dal nostro quotidiano a gennaio, ma non era ancora stato formalizzato in atti depositati.

 

DOMENICO ARCURI

A chi viene contestato il nuovo reato? Probabilmente sia ai produttori che ai venditori che agli intermediari. Ieri la Guardia di finanza ha consegnato alla struttura commissariale un decreto di sequestro che rende ufficiale la contestazione. Un decreto probatorio (volto a dimostrare i difetti dei dispositivi) che riguarda non solo le mascherine già «giudicate inidonee», ma anche quelle «appartenenti a partite non esaminate-potenzialmente inidonee o pericolose».

 

Non ci voleva molto a scoprire che qualcosa nei dispositivi procacciati da Benotti & C. non andasse. Per esempio dalle carte risultava già che per ottenerle erano state pagate provvigioni salatissime (ufficialmente del valore di 72 milioni, ma nelle mail degli indagati superavano i 200 milioni), commissioni che rivelavano in partenza un rapporto qualità/prezzo sfavorevolissimo.

mario benotti quarta repubblica

 

Una sòla confermata dai test sui dispositivi di protezione effettuati , a inizio febbraio, dalla trasmissione Fuori dal Coro e poi dalla Procura di Gorizia. Esami che avevano rivelato la totale inidoneità di diversi lotti di mascherine a proteggere dal Covid. Per questo gli inquirenti friulani avevano ordinato sequestri a partire dal mese di febbraio, mentre i colleghi romani si erano limitati a chiedere alla struttura quanti Dpi sub judice fossero ancora nei magazzini.

 

mascherine non a norma sequestrate

E il 15 aprile, gli uffici del commissario, «preso atto» delle risultanze dei test avevano comunicato ai magistrati capitolini la «giacenza aggiornata» al 12 aprile 2021 di 161.587.990 di «Dpi e mascherine "non conformi"» riferibili ai 16 produttori cinesi fuorilegge, sui 36 che hanno realizzato gli 800 milioni di mascherine. Ma se sappiamo quante ne fossero rimaste in magazzino ad aprile, non è chiaro il numero complessivo di quelle sospettate di essere difettose atterrate in Italia. A distanza di sei mesi da quella comunicazione i pm Tucci e Varone hanno ordinato i sequestri, chiedendo contestualmente al commissario di «fornire i dati afferenti la giacenza - aggiornata alla data di esecuzione del provvedimento - dei Dpi e delle mascherine prodotte da tutte le aziende rientranti nei consorzi oggetto di indagine» e di «comunicare ai magazzini Sda di riferimento il blocco della merce».

 

DOMENICO ARCURI

Significa che quando i pm hanno domandato, la scorsa primavera, informazioni su quelle mascherine non ne avevano chiesto il fermo e che, anzi, queste potrebbero essere state distribuite? Ci auguriamo non sia così. Sta di fatto che, adesso, le strutture regionali della Protezione civile avranno trenta giorni per «richiamare presso i propri depositi» i dispositivi sotto inchiesta.

 

I risultati dei test, in particolare quelli disposti dalla Procura di Gorizia erano senza appello. Un lotto di Ffp2 fornite dalla Wenzhou light è stato definito nei risultati delle analisi svolte dalla Fonderia Mestieri di Torino, su incarico degli inquirenti, «insufficiente alla protezione dal Covid-19».

 

mascherine ffps false in parlamento

I consulenti hanno anche aggiunto: «Sconsigliamo assolutamente di utilizzare la maschera come dispositivo di protezione Individuale». Mentre un'altra partita della stessa fornitura è stata bollata, in maiuscolo, così: «Attenzione! Dispositivo molto pericoloso!». Chissà quante di quelle mascherine sono finite sul viso degli italiani, in primis medici e infermieri. Addirittura, dal decreto di sequestro firmato da Tucci e Varone, abbiamo la conferma (come già denunciato dalla Verità) che i pagamenti del materiale farlocco sarebbero stati eseguiti prima che le mascherine ottenessero la certificazione dell'Inail e del Comitato tecnico scientifico.

DOMENICO ARCURI

 

Sul punto, l'atto della Procura di Roma è netto: la validazione dei dispositivi «ha quasi sempre seguito (e non anticipato) i pagamenti delle forniture; cosicché le strutture Inail e Istituto superiore di sanità a supporto del Cts (organo, quest' ultimo, che si è limitato ad assentire le valutazioni dei primi due istituti) si sono trovate nella scomoda condizione di dover sconfessare, in caso di giudizio negativo, pagamenti con denaro pubblico già erogati».

 

Non viene specificato se qualcuno abbia avuto il coraggio di denunciare il clamoroso errore. I magistrati, in compenso, evidenziano come le procedure di validazione siano state tutt' altro che lineari: per l'accusa, le mascherine erano certificate da test report incomprensibili (per lo più scritti in cinese), emessi a volte da enti non meglio identificati. Ma anche i test sostitutivi non sono risultati più attendibili «riportando», per esempio, «una data [] antecedente la fornitura».

MARIO BENOTTI 1

 

In certi casi avevano «addirittura, la medesima data dell'atto sostituito». In pratica, secondo i pm, ci troveremmo di fronte a una «pura e semplice sostituzione modulare di un atto inidoneo, con uno omologo, privo di alcuna garanzia di veridicità».Eppure in alcuni dei contratti riguardanti le mascherine sotto inchiesta era posta come condizione per il pagamento il «certificato Ce dei prodotti consegnati».

MASCHERINE GOVERNATIVE 4

 

Presupposto che non è evidentemente stato rispettato. Ieri a dare notizia dell'interrogatorio di Arcuri è stato l'ufficio stampa di Invitalia: «È stato così possibile un confronto e un chiarimento che si auspicava da molto tempo con l'autorità giudiziaria» si legge nella nota, «rispetto alla quale sin dall'origine dell'indagine il dottor Arcuri ha sempre avuto un atteggiamento collaborativo, al fine di far definitivamente luce su quanto accaduto». Un interrogatorio a cui si era detto disponibile già nel novembre di un anno fa, quando inviò una lettera in Procura dopo lo scoop della Verità che svelava l'inchiesta sull'affaire delle mascherine.