IL BANDITO DONGIOVANNI - VALLANZASCA: “MAI UCCISO PER SOLDI. NON ME NE È MAI IMPORTATO NULLA DEL DENARO. UNA BAITA, CHAMPAGNE E BELLA COMPAGNIA, QUESTO CONTA. SEMBRA POCO?” - “LE MUTANDE RUBATE? QUALCUNO MI HA INCASTRATO E NON HO ANCORA CAPITO IL MOTIVO”

Parla il bandito della Comasina (solo Cutolo, il camorrista, ha passato più tempo di lui in prigione): “Chiunque ricorda cosa faceva l’11 settembre 2001. Io no: le galere non sono uguali ma rendono tutto uguale” - “I baffi? Li ho tagliati solo quando sono scappato dall’oblò di una nave: uno se li mette finti per non farsi riconoscere. Io, il contrario”...

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Carlo Verdelli per “la Repubblica”

 

Vallanzasca Vallanzasca

«Dei soldi non me ne è mai fregato niente». Vallanzasca sposta gli occhi azzurri opaco verso chissà dove. «Un baita in montagna, una bella donna, champagne. Sembra poco?». Beh, pochissimo rispetto ai 41 anni di carcere che le sta costando il sogno. «Quarantacinque, prego. Io sono nato in matricola, come si dice tra gente di galera». Nella sua sterminata fedina penale ne risultano 41.

 

Vallanzasca Vallanzasca

«Ma va’. A parte il minorile, che comunque sempre gabbio è, magari si sono dimenticati i due anni per una rapina a Lambrate nel 1969, o era il 1970, boh. Sì, sto un po’ perdendo la memoria. Lei dov’era l’11 settembre? O quando abbiamo vinto il Mondiale del 1982? Ogni persona sa perfettamente cosa faceva in giorni così. Io no, forse ero in qualche braccetto speciale. I carceri non sono tutti uguali ma rendono tutto uguale».

Francis Turatello e Vallanzasca Francis Turatello e Vallanzasca

 

Una stanzetta per colloqui della casa di reclusione di Opera, freddo polare nonostante le finestre chiuse. Vallanzasca ha un giubbotto blu abbottonato fino al collo, mani lunghe e curate, capelli corti e radi, e uno Swatch nero con lancette arancioni. «Me l’ha portato la mia donna. Qui non si può tenere il Rolex, perché è di metallo. Sempre indossato Rolex, anche se il mio ciulava un minuto al giorno. Questo almeno non ruba».

 

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Lei invece pare non aver smesso: un furto in un supermercato, almeno così ha stabilito il giudice, le ha cambiato il pezzo di vita che le restava davanti. «Qualcuno mi ha incastrato. Sul processo, lasciamo perdere: tutto quello che ho chiesto, dalle impronte sulla merce al confronto con chi mi accusava, mi è stato negato. Nei mille tribunali dove sono stato, mi sono preso anche responsabilità non mie. Quali? Acqua passata. Ma stavolta, dai».

 

 

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Stavolta è obiettivamente diversa da tutte le altre. Oggi, o domani, sarebbe potuto essere il primo giorno di libertà di Vallanzasca Renato. La domanda di scarcerazione era pronta, il cancello della prigione semiaperto. Magari, per festeggiare, andava alla cooperativa dove lavorava a offrire uno sciampagnino.

 

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Possibile, no? Federica, la direttrice del centro per orti e giardini, non prova neanche a sorridere. «Basta che non scriva che stava qui. Quando i clienti scoprivano che da noi c’era il bandito Vallanzasca, si tiravano indietro». L’ex bandito Vallanzasca sta dentro da un secolo, sono passati vent’anni dall’ultima evasione, gli hanno pure rubato la bicicletta quando era in permesso. «Però un cognome così non si dimentica». La cooperativa di Federica riunisce persone con varie disabilità e detenuti in via di reinserimento. Tra loro, per un anno, c’è stato anche il signor Renato, regolare contratto tra gli 800 e i 1100 euro al mese e pranzo gratis. «Aveva un bel modo, gentile coi ragazzi, tante operatrici ne erano affascinate. E lui ci giocava un po’: gli piace troppo piacere. Il personaggio vince sulla persona, e questo lo fotterà sempre».

Vallanzasca Gli angeli del male Vallanzasca Gli angeli del male

 

L’Italia ha avuto tanti delinquenti. Ma pochi, o nessuno, come Renato Vallanzasca. E uno solo lo batte per durata della pena scontata: Raffaele Cutolo da Ottaviano. Un boss della criminalità organizzata contro un bandito da strada: 49 per l’imperatore di camorra contro i 41 (o 45) del ras della Comasina. Che però stava per sfilarsi dall’ingrato podio.

 

Placido con il cast di Vallanzasca Placido con il cast di Vallanzasca

Non fosse stato per due paia di mutande marca Sloggi, che lui assicura non metterebbe mai perché indossa solo boxer Versace, più altra minutaglia da giardinaggio, per un totale di 65,97 euro; non fosse stato per un giudice molto puntiglioso, che gli ha rifilato10 mesi per tentata rapina (2 in più di quelli richiesti dall’accusa); non fosse stato per le conseguenze (revoca della semilibertà e stop a ogni beneficio per almeno 3 anni), Renato Vallanzasca sperimenterebbe un’ebbrezza dimenticata: rivivere fuori. Non succederà, e moltissimi, non solo i parenti delle vittime che ha fatto, saranno sollevati.

moglie vallanzasca moglie vallanzasca

 

Quando Vallanzasca diventava Vallanzasca, Matteo Renzi aveva un anno, Berlusconi 40 e neanche una tv, il muro di Berlino sembrava infrangibile, la lira eterna e Nicola Di Bari vinceva Sanremo. La prima cosa incredibile è che, quarant’anni dopo, Vallanzasca è saldamente conficcato nella memoria di questo Paese e fa ancora notizia, basta che respiri o riporti la soffiata di un camorrista sulla morte di Pantani.

 

RAFFAELE CUTOLO NEGLI ANNI OTTANTA RAFFAELE CUTOLO NEGLI ANNI OTTANTA

La seconda è che il regno del balordo che prese Milano per la coda e con la sua banda la fece girare fu brevissimo: neanche sette mesi, il tempo di gestazione di un orso. Una settantina di rapine, 6 omicidi (tra cui 4 poliziotti, tutti in scontri a fuoco stile western), 4 sequestri di persona, più una guerra vinta col clan Turatello. Il tutto tra il 28 luglio 1976, prima fuga di Vallanzasca da un penitenziario, e il 15 febbraio 1977, arresto definitivo a Roma. Seguiranno tre evasioni in stile col personaggio, macabri regolamenti di conti dentro le mura, persino uno smargiasso matrimonio a Rebibbia come fosse Broccolino.

Raffaele Cutolo Raffaele Cutolo

 

Ma il più, a inizio 1977, è già alle spalle: all’epoca il “fiore del male”, come l’ha colto nell’essenza Carlo Bonini nell’unico libro che il protagonista ha controfirmato, ha soltanto 26 anni e 10 mesi. Eppure le ferite che si lascia dietro non si rimarginano, come non sbiadisce la traccia delle sue spavalderie, lo sguardo beffardo e assassino, una specie di codice d’onore mai disonorato (nessun tradimento di compagni, una strafottenza per qualsiasi potere portata all’estremo).

 

Circeo Angelo Izzo Circeo Angelo Izzo

Solo una tardiva dichiarazione di resa, 1999, proprio nella prefazione del libro di Bonini: «La mia esistenza è un naufragio assoluto ». Sessantaquattro, anzi 65 il prossimo 4 maggio, di cui solo una ventina vissuti fuori da una prigione, infanzia compresa. Il fiore del male è appassito, ma stava per uscire dalla serra in ferro che si era costruito con le proprie mani. Quattro ergastoli (più 295 anni), e lo lasciavano andare? Succede per diversi criminali lungodegenti: scontata una cospicua fetta di pena, si prova a ridargli un lembo di dignità. Qualcuno usa male la carta, come Izzo Angelo, il demonio del Circeo: 4 mesi dopo che era libero, omicidio di altre due donne. Il jolly toccava a Vallanzasca.

Angelo Izzo trent anni fa al momento dell arresto per il massacro del Circeo Angelo Izzo trent anni fa al momento dell arresto per il massacro del Circeo

 

Non c’è modo di verificare se l’avrebbe sprecato. «Lo Stato ha voluto infierire sul suo nemico, di fatto condannandolo a morte per due mutande », dice disperato, nel senso proprio di “senza speranza”, Ermanno Gorpia, il suo ultimo e giovane avvocato. «Ma sì, ci appelleremo, se va bene fisseranno l’udienza tra due o tre anni, intanto non è che lui ringiovanisce».

 

Angelo Izzo uno dei mostri del Circeo Angelo Izzo uno dei mostri del Circeo

La vita, anche quella di Renato Vallanzasca, è fatta di coincidenze. Il primo arresto importante, nel 1972, fu per una rapina a una Esselunga, in viale Monte Rosa a Milano. Aveva 22 anni, e fu il vero inizio del suo romanzo criminale. L’ultima condanna, nel novembre scorso, è per lo stesso reato e sempre in una Esselunga di Milano, viale Umbria: neanche un anno di punizione supplementare, che però basta a catapultare l’ombra ingrigita di Vallanzasca alla casella di partenza. Primo effetto: il trasferimento da Bollate, dove ormai dimorava in una cella aperta e col Rolex al polso, a un istituto di tutt’altra pasta come Opera, 37° penitenziario sperimentato in carriera. Un altro record; come l’enormità dei 5 chili e 700 grammi alla nascita.

carlo verdelli carlo verdelli

 

Oppure le sigarette. «Sono arrivato a 110 al giorno, 5 pacchetti e mezzo. Risparmiavo sugli accendini: con una appicciavo quella dopo». Ingabbiato nel giubbotto blu, Vallanzasca ricorda e ricorda, come se girare la testa indietro fosse l’unica salvezza per affrontare quel che ha davanti. «Poi ho smesso. Di botto. Cazzo, 35 giorni senza cagare, il mio corpo non capiva. Appena sono arrivato a Opera ho comprato una stecca di Marlboro rosse. Saranno le ultime. Fino a qualche anno fa, a calcio, davo ancora la paga a tutti. Adesso mi viene il fiato grosso anche a scendere le scale. Devo avere qualcosa ai polmoni. E non è che l’arietta di Opera aiuta».

 

BERNARDO PROVENZANO BERNARDO PROVENZANO

Un diverso, Vallanzasca, nel “gene” e nel male. E impermeabile alla superstizione. È un venerdì 13, metà dello scorso giugno, 7 di sera. Il signor Renato stacca dal lavoro nella cooperativa dei fiori e va a fare spesa in un supermarket da 17 casse; mette nel cestello una fetta d’anguria, insalata, mortadella e una busta di salmone, paga gli acquisti, fa per uscire quando un vigilante che l’ha tenuto d’occhio dalla “travespia”, un corridoio sopraelevato da cui si sorvegliano i vari comparti (numero 1, giardinaggio; numero 5, intimo), lo ferma e gli chiede di aprire il borsone nero che ha con sé. Dentro, una mesta refurtiva: le Sloggi, una forbice rasa erba, un flacone di fertilizzante.

moretti mario brigate galera moretti mario brigate galera

 

Il signor Renato dice che qualcuno gli ha infilato dentro quella roba per incastrarlo e che comunque è pronto a saldare, e poi è meglio per tutti chiuderla lì per evitare casini. Il vigilante, Emmanuele Mento, esclude di aver visto qualcuno infilare alcunché nel borsone. Documenti, prego: “Vallanzasca”. Arrivano i carabinieri, al comando del maresciallo Milo Fidelibus, e finisce il resto. Al processo per direttissima, il giudice Ilaria Simi decide che l’imputato ha mentito e in più ha minacciato il vigilante, quindi lo punisce. Ma Vallanzasca le ha rubate o no le mutande e il resto della paccottiglia da giardiniere fai da te? Il bottino fa pensare a un omaggio ai colleghi della cooperativa, un “ghe pensi mi” da trapassata grandeur. O magari una malevola manina voleva davvero vendicarsi per qualcosa. Chissà.

Mario Moretti Mario Moretti

 

Tra le 225 carceri italiane, Opera è la più grande per numero di condannati in via definitiva (quasi mille). Un imponente cronicario di ex “qualcosa”: Bernardo Provenzano, ex capo della mafia; Mario Moretti, ex comandante delle Br; gli Schiavone, ex signori di Gomorra; fino a Fabrizio Corona, ex ragazzo spericolato. Tra le navate di questi sciagurati, contano zero le eventuali motivazioni psicologiche di Vallanzasca: una bravata, magari inconscia, per scongiurare il terrore di saltare da un muro che in quarant’anni è diventato un Everest.

 

Nemmeno il direttore del carcere, Giacinto Siciliano, ha una spiegazione: «Forse la condanna nella condanna di Vallanzasca è l’impossibilità di diventare uno come gli altri».

FABRIZIO CORONA IN MANETTE FABRIZIO CORONA IN MANETTE

Qualcuno bussa alla porta della cella frigorifera che ospita il colloquio. Vallanzasca dice sarcastico: «Mi reclamano. Sa, ho un’agenda fittissima». Lo aspetta una cella singola. «Se sogno di notte? Sempre cosette a sfondo sessuale. Saranno tutti i porno che girano in galera ». Sorriso sotto i baffi. Mai visto in una foto senza baffi. «Solo una volta li ho tagliati, quando sono scappato dall’oblò di una nave a Genova. Di solito uno se li mette finti per non farsi riconoscere. Io, il contrario».

 

 

 

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