CHI POTEVA ODIARE IL LAVAPIATTI DI TORINO COSÌ TANTO DA DECAPITARLO? - SI INDAGA SULLA MORTE MACABRA DEL 25ENNE MOHAMED IBRAHIM, DEL BANGLADESH: LA PISTA È QUELLA DI UNA "VENDETTA CONSUMATA IN CASA": UN'ESECUZIONE? UN RITUALE? - I SUOI DUE COINQUILINI ALL'ORA DELL'UCCISIONE LAVORAVANO, E LA VITTIMA NON AVEVA MAI CREATO PROBLEMI AL RISTORANTE - "NEL 2019 ERA TORNATO NEL SUO PAESE, SI ERA SPOSATO E STAVA PER DIVENTARE PAPÀ. POI, QUALCHE MESE FA..."

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Irene Famà per "La Stampa"

 

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Una vendetta. Questa l'ombra sull'omicidio di Mohamed Ibrahim, 25 anni, del Bangladesh, decapitato l'altra notte a Torino, in un alloggio al terzo piano di un palazzo quasi fuori dalla città, al confine con Collegno, che condivideva con altri due connazionali.

 

Il giovane è stato ucciso con un colpo al collo, inferto con un coltello da cucina, forse una mannaia. Un'esecuzione? Un rituale? Una cosa è certa. Le modalità del delitto fanno pensare a un omicidio simbolico.

 

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A contattare la polizia è stato un coinquilino e collega della vittima. Anche lui si chiama Mohamed, anche lui arriva dal Bangladesh, anche lui lavora da «Donna Margherita», una pizzeria dell'hinterland.

 

È tornato a casa una volta finito il turno, intorno alle 23.30. Ha aperto la porta e ha trovato l'amico steso a terra, morto in camera da letto. I due giovani che vivevano con Mohamed sono stati sentiti per oltre dodici ore negli uffici della Questura. Entrambi sembrano avere un alibi: l'altro giorno lavoravano.

 

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Gli inquirenti, coordinati dal pubblico ministero Valentina Sellaroli, stanno cercando di capire chi poteva odiare Mohamed al punto da ammazzarlo decapitandolo. Anche perché tutti, dagli amici ai colleghi ai vicini di casa, lo descrivono come una persona mite, tranquilla, affidabile, dedita al lavoro. Mai uno screzio, mai una lite.

 

«Io e la mia ragazza lo vedevamo spesso sul balcone ad ascoltare la musica» racconta Ovidio, il dirimpettaio. L'altra notte, in quel palazzo di sette piani, dove abitano perlopiù studenti, nessuno ha sentito nulla.

 

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C'è chi, in quello stabile, è arrivato da poco. Chi invece, come Stella, ci abita da trent'anni. Conosceva Mohamed? «Di vista. So che faceva il lavapiatti e che era in pizzeria praticamente tutta la settimana».

 

Antonio, il cuoco del ristorante, quel giovane l'aveva preso in simpatia: «Abbiamo lavorato insieme per circa due anni e mezzo. Nel 2019 era tornato in Bangladesh, si era sposato e ora stava per diventare papà. Poi, qualche mese fa, è ricomparso».

 

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Passioni? Interessi? «La sua preoccupazione era svolgere al meglio i compiti al ristorante.

Nulla più». Problemi economici? «Non ha mai chiesto un aumento o un anticipo. Mi creda: era un ragazzo d'oro».

 

Lunedì era il suo giorno di riposo e quando la notizia è arrivata alla pizzeria il titolare ha pensato a «uno scherzo di cattivo gusto. Non potevo credere che qualcuno avesse ucciso Mohamed».

 

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Le indagini della Squadra Mobile proseguono su due fronti. Da un lato la scena del crimine: le impronte di scarpe da ginnastica che l'assassino avrebbe lasciato sul pavimento, l'arma del delitto, che al momento non è stata ritrovata. In casa c'erano diversi coltelli, che verranno analizzati.

 

E l'analisi delle immagini delle videocamere di sorveglianza della zona, in particolare della telecamera del palazzo. «È stata messa circa due anni fa - spiega l'amministratrice -. Di problemi non ne abbiamo mai avuti, ma abbiamo preferito così per sicurezza. Si attiva ogni volta che qualcuno passa». Dall'altro il racconto dei due coinquilini.

 

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