IL CIELO È AZZURRO SOPRA HOUSTON! - GIUSEPPE CATALDO FA PARTE DEL TEAM DELLA NASA PER IL LANCIO DEL TELESCOPIO SPAZIALE “JAMES WEBB” PREVISTO PER NATALE – ARRIVATO NEGLI STATI UNITI 12 ANNI FA, “AVEVO MANDATO QUASI PER GIOCO LA DOMANDA DI AMMISSIONE AL CORSO AVANZATO. NON PENSAVO MINIMAMENTE DI ESSERE SCELTO” – “MA NON PARLATE DI CERVELLO IN FUGA: SEMPLICEMENTE HO..."

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Alberto Simoni per "la Stampa"

 

Ci sono anche la creatività, la competenza e la passione di un ingegnere italiano, Giuseppe Cataldo, 36enne di origini pugliesi, nel telescopio spaziale James Webb che a Natale sarà lanciato nello spazio da una base nella Guyana francese per scrutare le origini dell'universo. Il lancio è stato rimandato più volte per problemi tecnici o meteorologici. 

 

Alla Nasa si tiene il fiato sospeso confidando che la finestra di tempo - attorno alle 12,30 italiane di sabato - consenta a una delle più attese imprese spaziali pianificata 25 anni fa e frutto della collaborazione fra europei, canadesi e statunitensi, di diventare realtà. Davanti al televisore ci sarà anche Cataldo, da 12 anni negli Stati Uniti dove è approdato giovanissimo scelto dall'accademia della Nasa. «Avevo mandato - racconta - quasi per gioco la domanda di ammissione al corso avanzato. Era il 2009, non pensavo minimamente di essere scelto». 

 

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E invece il ragazzo che veniva dall'Esa, nel curriculum la laurea in ingegneria spaziale a Milano e due specializzazioni in aerodinamica conseguite al Politecnico di Torino e in Francia, appassionato di musica («Nel weekend suono il violino, bisogna staccare dal lavoro»), è riuscito a fare il balzo. Guai però a chiedergli se si sente un cervello in fuga: «Non ho mai avuto l'idea di fuggire, semplicemente ho cominciato a lavorare qui, quella definizione proprio non mi appartiene». 

 

Non sono facili gli inizi. Catapultato in un mondo competitivo come quello americano, è senza riferimenti culturali e la rete di amicizie consolidate negli anni. «Non ero mai stato negli Stati Uniti prima del 2009. Non sono mancati - ammetto - i momenti difficili, non conoscevo nessuno e ho visto una differenza profonda sotto il profilo culturale con l'Italia e l'Europa». La Nasa resta però il baricentro e Cataldo emerge. 

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Diventa il capo del team di ingegneri che lavora sullo scudo termico che protegge Webb. «Abbiamo studiato i modelli matematici per capire e prevedere il comportamento del telescopio in orbita». Webb è grande come un campo da tennis, 21 metri per 14, impossibile testarlo sulla Terra. «Il sistema termico - sottolinea l'ingegnere - è il più critico perché sarà chiamato a funzionare a una temperatura di meno 230 gradi». 

 

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Quel che succederà quando Webb sarà lanciato dal razzo europeo Ariane 5, Cataldo lo spiega come se fosse la cosa più semplice e naturale: «Il telescopio è tutto ripiegato su se stesso per poter entrare nella capsula che lo catapulterà in orbita. Quando il razzo rilascia Webb, questo si apre. Lo specchio gigantesco composto da tantissimi piccoli specchi si dispiegherà fino alla massima apertura». 

 

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È l'operazione più delicata poiché comporta il movimento di centinaia di meccanismi con sequenza perfetta e «basta che un cavo si attorcigli e tutto diventa problematico». Serviranno 29 giorni a Webb per arrivare in orbita, poi ci saranno 6 mesi di verifiche e test. Il telescopio ha carburante per «vivere» dieci anni, poi resterà a vagare nello spazio come un oggetto morto. Ed è in questi dieci anni che si conta di trovare risposte alle molteplici domande sull'origine e la natura dell'universo. 

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Uno degli obiettivi è osservare la composizione chimica di tanti pianeti fuori dal sistema solare e vedere se possono ospitare forme di vita semplici. «Il mio lavoro è finito, ora tocca agli scienziati leggere e capire i dati che Webb manderà sulla Terra», dice Cataldo che da un po' è focalizzato sulla prossima impresa: Marte. 

 

Da qualche mese il robot approdato sulla superficie marziana lavora per recuperare campioni di rocce. «Ora il mio compito è proteggere il nostro Pianeta», dice con una mezza risata l'ingegnere, che poi spiega: chi ci dice che da Marte non possiamo «importare» forme di vita o agenti pericolosi per la specie umana? 

 

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«Il mio compito è elaborare modelli per poi fare delle protezioni per la capsula contenente le rocce marziane o impedire che queste non si brucino durante il rientro sulla Terra». Tutte cose che non si possono testare prima, così come Webb non poteva essere dispiegato sulla Terra. E per la quale servono modelli matematici elaborati da un cervello italiano. Non in fuga.

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