Giusi Fasano per il Corriere della Sera
Ospedale San Paolo di Savona, mercoledì 12 luglio. Una dottoressa anestetista esce dalla sala operatoria con l' aria di una che prenderebbe volentieri a sberle chi l' ha fatta arrabbiare. Chiama il suo primario, Brunello Brunetto. «È successa una cosa da non crederci - esordisce -. È venuto il chirurgo in sala operatoria e mi ha detto che il paziente non vuole più farsi operare. E sai perché? Perché non si fida dell' anestesista donna. Dice che si sa che le donne anestesiste del San Paolo non sono brave e rifiuta di scendere. Devo dirti che sono piuttosto inc... Che devo fare?».
Seguono pochi minuti di consulto e qualche commento sul comportamento del paziente, un settantenne del Savonese in lista - uno dei cinque di quella mattina - per un intervento di ernia inguinale. La dottoressa chiude la chiamata con il primario, fa un respiro profondo e sale verso i reparti. Punta alla stanza del paziente. Se si potessero leggere i pensieri come nelle nuvolette dei cartoon, si vedrebbero parole poco concilianti accompagnarla fino al letto del signor tal dei tali. Ma lei è una professionista e quando se lo ritrova davanti, già pronto per l' operazione e seduto sul letto a dire «no» come un bambino capriccioso, trattiene la rabbia e dice gentilmente: «Buongiorno. Sono io l' anestesista che non vuole. Mi sa dire qual è il problema?».
Come se niente fosse lui ripete quello che aveva già detto al chirurgo. E cioè: ha sentito dire che le anestesiste del San Paolo non sono brave e quindi - che non la prendesse come un affronto personale, per carità - ma lui non avrebbe accettato che ad addormentarlo fosse lei. Sua moglie, più insistente, ripete la storia delle voci sulle dottoresse incapaci e arriva a dire «non ci faremo mettere le mani addosso da una donna». L' anestesista conta fino a dieci prima di rispondere, mette assieme tutta la pazienza che ha e spiega: «Non so che farci, anche perché il primario che ho appena sentito conferma la mia presenza in sala operatoria». Niente. I due, più lei che lui, «addirittura sono arrivati a pretendere che noi facessimo arrivare un anestesista qualunque purché maschio» racconta ancora sbigottito il primario mentre ricostruisce la vicenda.
Fatto sta che davanti a quella situazione e a quel colloquio surreale, la dottoressa richiama il capo per aggiornarlo sulla nuova pretesa. Altro consulto e altra carica per affrontare la coppia. Stavolta l' anestesista torna in camera e scandisce bene ogni parola. «Quello che vi posso dire è che questa non è una clinica privata, non si va per scelte attraverso i cataloghi. Noi abbiamo questo organico e oggi sono previste queste presenze. Se vi va bene d' accordo, andiamo in sala operatoria e facciamo quello che dobbiamo fare, altrimenti il mio primario vi consiglia una firma sulla cartella di dimissioni e un intervento in una struttura privata dove potrete pretendere qualunque cosa vogliate. Adesso, se non vi dispiace, ho da fare. Buongiorno».
È finita che il paziente ha firmato la lettera di dimissioni ed è tornato a casa, probabilmente con i complimenti di sua moglie per aver tenuto testa alla dottoressa.Pare che l' azienda sanitaria gli addebiterà il costo degli esami pre intervento che sono stati eseguiti inutilmente. E la sua «nemica»? Dopo ore di rabbia pura, «ha capito che aveva semplicemente avuto a che fare con la stupidità umana» per dirla con il suo primario che l' ha convinta a riderci su. «Io sono indignato per il dilagare di opinioni senza senso», commenta lui oggi.
«E sul tema donne/bravura sono indignato perché lo devo a mia madre, mia moglie, mia figlia e alle donne che ogni giorno lavorano con me. Ma non me la prenderei più di tanto nel caso specifico, se no diamo importanza a qualcosa che non ne ha. Questo ho detto alla dottoressa». «Sai cosa ti dico? - ha risposto lei - Che hai ragione, meglio una sana risata. Che io e le mie colleghe siamo brave e che personalmente ho già vinto perché sono riuscita a trattenermi e a non dargli un cazzotto».