“DOPO L’ABORTO SPONTANEO HANNO SEPOLTO IL FETO CON IL MIO COGNOME” – IL RACCONTO DI UNA DONNA DI BRESCIA CHE HA SCOPERTO CHE IN UNA DELLE TOMBE VASCHETTA DEL CIMITERO DI VANTINIANO, C’È LA SUA BIMBA NATA MORTA: “MI FU CHIESTO SE VOLEVO ORGANIZZARE UN FUNERALE. DISSI DI NO. ORA HO SCOPERTO CHE ESISTE UNA LAPIDE CON IL NOME CELESTE E IL MIO COGNOME CHE RISALE AL 2015. QUELLO CHE HANNO FATTO NON È DECOROSO E NON È RISPETTOSO…” - VIDEO

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Elisa Messina per "www.corriere.it"

 

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«Dopo l’aborto spontaneo non avevo acconsentito a nessuna sepoltura. E invece qui c’è la tomba del feto con un cognome, il mio». Dopo la scoperta delle croci al cimitero Flaminio di Roma ecco un altro caso, stavolta a Brescia, raccontato in prima persona dalla donna che lo ha vissuto.

 

Siamo al Cimitero Vantiniano e in uno spazio grande quasi come un campo da calcio si notano molte tombe diverse dalle altre: piccole, tutte uguali, disposte in file ordinate una accanto all’altra. In verità, guardandole da vicino si scopre che sono vaschette di plastica appoggiate al terreno. Ma la visione è comunque impressionante. Lo chiamano “Il cimitero dei bambini mai nati”.

 

O dei nati morti, quelli che per legge (loro sì) hanno un nome e un cognome e, quasi sempre, due genitori che, consapevolmente e con dolore, si sono occupati della loro sepoltura perché sono nati dopo la 28esima settimana. Ma in questo luogo i “nati morti” sono una minoranza. 

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Qui le tombe-vaschetta hanno, nella maggior parte dei casi, lo stesso nome, “Celeste” ma cognomi tutti diversi. Soprattutto stranieri. Si tratta di feti o “prodotti abortivi” o “prodotti del concepimento” (così li chiama la legge) di aborti spontanei o volontari (Ivg) prima della 20esima settimana di gestazione. E sepolti, quasi sempre, senza che le donne ne sappiano nulla. Come nel caso di Anna.

 

«Alla domanda “vuoi un funerale?” Risposi no»

Anna (il nome è di fantasia) è la donna che ha deciso di raccontare la sua vicenda, davanti alla tomba del suo feto. «Ho letto sui giornali della giovane romana che ha trovato al cimitero Flaminio la croce con il proprio nome. E ho pensato alla mia di storia: nel 2015 ho avuto un aborto spontaneo alla 12esima settimana. Mi ricordo che mi chiesero se volevo dare un nome al feto per la sepoltura. Io dissi di no. Allora l’operatore scrisse “Celeste”. Mi fu chiesto poi se volevo organizzare un funerale. Dissi ancora di no. E poi non ho più pensato a questa vicenda. Fino al giorno in cui ho letto il caso della donna di Roma».

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A questo punto Anna decide di andare sui registri online del cimitero:«Così ho scoperto che esiste una piccola lapide con il nome di Celeste e il mio cognome che risale al 2015. Sono venuta subito a vedere. Quello che hanno fatto non è decoroso e non è rispettoso».

Le donne non sanno che fine fanno “i resti”

 

La lapide esiste. È li, insieme alle altre “Celesti” dai cognomi italiani, arabi, latini… nel grande spazio del Vantiniano. Anna decide di scrivere all’avvocata Cathy La Torre che, dopo il caso romano ha aperto una mail per offrire probono informazioni e consigli alle donne che ne avessero fatto richiesta. Ricordiamo che dopo il caso romano il Garante della Privacy ha aperto un’istruttoria «per fare luce su quanto accaduto e sulla conformità dei comportamenti adottati dai soggetti pubblici coinvolti, con la disciplina in materia di privacy».

 

Le mail ricevute da La Torre sono decine e decine ma quando legge quella di Anna sceglie di accompagnarla al cimitero: «sono le prime testimonianze di qualcosa che avviene da anni nel silenzio generale», dice la Torre. «Qui ho visto moltissime tombe con cognomi reali, ma nessuna delle dirette interessate lo sa e lo saprà mai».

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Un funerale collettivo una volta al mese

La pratica di seppellire in modo cristiano prodotti abortivi anche se la donna non ne ha fatto richiesta è diffusa in Italia e affidata ad associazioni di volontariato antiabortiste. Nel caso di Brescia, come ha raccontato un recente articolo sul quotidiano Il Giornale di Brescia, è l’associazione cattolica del Movimento per la Vita a farsi carico di tutto, dal recupero dei feti negli ospedali pubblici e privati al funerale e alla sepoltura: una piccola cerimonia cattolica per una sepoltura collettiva una volta al mese. Infatti le piccole lapidi riportano, a gruppi, la stessa data che è quella del “funerale”, non della “morte”. Ed è immaginabile che sia stata data sepoltura cattolica anche a feti di donne (o di coppie) di altre fedi. O di nessuna fede.

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Che cosa dice la legge

In quali margini legali si inquadra questa pratica? Per legge (articolo 7 del Regolamento di Polizia Mortuaria), i “prodotti abortivi” o feti (quelli che vanno dalla 20esima alla 28esima settimana) vanno seppelliti. Parliamo di aborti terapeutici o di aborti spontanei. In questo caso viene chiesto alla donna o ai genitori se vogliono la sepoltura. In caso contrario provvede l’Asl che a sua volta demanda la cosa al Comune e ai servizi cimiteriali. 

 

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Ma prima della 20esima settimana, ovvero per tutte le interruzioni volontarie di gravidanza ma anche per tutti gli aborti spontanei come quello di Anna, non esiste nessun obbligo di sepoltura (anche se dal 2007 al 2019 in Lombardia era in vigore una legge, voluta dalla giunta Formigoni che imponeva la sepoltura anche per questi casi).Quindi l’Asl procede allo smaltimento come fa per tutti i “prodotti organici”.

 

A meno che la donna non ne faccia richiesta nei tempi e nei modi in cui chiede la legge: “i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto”.

 

Quasi nessuna lo fa. E qui si inserisce l’attività “di pietas” di molte associazioni. Salvo poi commettere veri abusi, come nel caso delle tombe con i nomi e i cognomi delle donne. Ma a questo punto vale la pena chiedersi quanto, aldilà della violazione della privacy, sia legittima la sepoltura in sè, visto che le donne non ne sanno niente.

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«Quelle che ci hanno scritto e hanno condiviso con noi le loro storie di aborti, volontari e non, hanno lamentato tutte la stessa cosa: non essere state messe a conoscenza della sorte di quei “resti”» racconta La Torre. «E realizzare che qualcuno può aver deciso al posto tuo è ingiusto e doloroso».

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