“MAMMA, SONO TRISTE PERCHÉ DA MASCHIO NON MI PIACCIO” – GRETA CHE VENIVA CHIAMATA “FROCIO” IN STRADA, LUDOVICA, NATA LUCA, CHE AMAVA METTERSI LE SCARPE DELLA MADRE E LE GONNE IN TESTA PER “ALLUNGARSI” I CAPELLI E ALESSIO, AUTORIZZATO DA UNA SENTENZA A TOGLIERE IL VECCHIO NOME FEMMINILE DALLA CARTA D’IDENTITÀ E A RIMUOVERE UTERO E OVAIE A CARICO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE – QUATTO STORIE DI SOFFERENZA E VOGLIA DI ESSERE LIBERI DI TRANS MINORENNI ITALIANI

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Silvia Nucini per "www.vanityfair.it"

 

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«Già da piccolissimo Luca amava mettersi le mie scarpe e le mie gonne in testa, per fare finta di avere i capelli lunghi. Quando mi è sembrato che questo gioco stesse diventando un’ossessione, io e suo padre ci siamo rivolti a una psicologa.

 

È con lei che tutto è diventato dolore, pena e colpa: colpa del papà che doveva simbolicamente rompere tutti i giocattoli rosa che Luca ci chiedeva e che erano gli unici a renderlo felice; della nonna stilista: poteva essere lei a ispirare i travestimenti; colpa mia, non so nemmeno più per cosa. Luca capiva tutto: le pressioni, i non detti, l’idea che fosse sbagliato. E allora mi prometteva: mamma, quando cresco smetto».

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Luca oggi ha 13 anni, si chiama Ludovica ed è una dei tanti adolescenti gender variant in attesa che il Comitato Etico autorizzi (non lo ha ancora mai fatto) la somministrazione dei farmaci bloccanti dello sviluppo sessuale, introdotti un anno fa anche nel nostro Paese dall’Agenzia del Farmaco. La sua è una delle quattro storie di minori trans italiani che Vanity Fair racconta, in un’inchiesta di Silvia Nucini, nel numero in edicola.

 

Alessio, 17 anni, è stato autorizzato da una sentenza a togliere il vecchio nome femminile dalla carta d’identità, e da un’altra (primo caso in Italia per un minorenne) a rimuovere utero e ovaie a carico del Servizio Sanitario Nazionale (non lo ha ancora fatto). Il giorno più triste della sua vita, racconta la madre a Vanity Fair, è stato quello del 2013 in cui gli è arrivato il ciclo.

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Ma solo tre anni più tardi ha manifestato ai genitori la volontà di assumere un aspetto maschile. Dopo il consulto con l’endocrinologo e la psichiatra ha iniziato a prendere il testosterone: se anche fossero stati già disponibili, sarebbe stato troppo tardi per i bloccanti, «siamo passati direttamente agli ormoni». Nel 2017, dopo aver portato per un po’ il binder, una fascia che comprime il seno, si è sottoposto in Spagna all’intervento di mastectomia totale. Costo, 5 mila euro.

 

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«Greta, a 13 anni, non sa ancora che cosa sia l’amicizia. L’hanno chiamata “frocio”, l’hanno presa in giro per i colori “sbagliati”», dice a Vanity Fair la mamma di Greta, nata Marco, anche lei in attesa dei bloccanti. Vorrebbe che arrivassero presto perché sta crescendo alla svelta: la doccia se la fa con la luce spenta.

 

Si è fatta i colpi di sole, i buchi alle orecchie, sogna il giorno in cui potrà permettersi le extension. «Dell’accettazione degli altri non mi interessa», spiega Greta. «Mi dispiace solo per il mio gemello… Dice che se divento donna lui non è più mio fratello. Ma non lo so se è vero».

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L’unica storia senza foto, nel servizio di Vanity Fair, è quella di Elisa (nome di fantasia), bambina di 9 anni, biologicamente maschio, andata via dall’Italia con mamma e fratello, che non svela la sua identità né si mostra perché dove vive ora è per tutti – anche per lo Stato, che le ha cambiato il nome sui documenti in una settimana – una bambina.

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Un giorno, racconta sua madre, quando ancora abitavano in Italia, Elisa si è fatta comprare un vestitino a fiori che prima metteva solo a casa, poi man mano anche in vacanza, e poi nel tempo libero dalla scuola, ai giardinetti. «Alla fine della prima elementare io e il papà siamo stati chiamati dalla Procura: qualcuno ci aveva segnalati perché vestivamo nostra figlia da femmina.

 

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Siamo stati interrogati separatamente, a lungo. A mio marito è stato chiesto se, in quanto padre, non riusciva a educare Elisa come un maschio. Non abbiamo mai saputo chi ci avesse segnalato né se il procedimento sia mai stato archiviato. Non è per questo che abbiamo lasciato l’Italia, ma l’episodio è sintomo di qualcosa che non funziona».

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