UN PO' DI DECENZA: A SCUOLA NON POTETE FA' COME CAZZO VI PARE - A LECCE ESPLODE L’ENNESIMA POLEMICUCCIA DOPO CHE IN UN LICEO LA PRESIDE HA "OSATO" STILARE LE LINEE GUIDA SULL’ABBIGLIAMENTO: NIENTE MINIGONNE E SCOLLATURE NÉ BERMUDA - UN NORMALE RICHIAMO AL DECORO CHE I PISCHELLI DEVONO IMPARARE AD AVERE (MA VA' A SPIEGARE A 'STE TESTE DI COCCO CHE AI RAGAZZI VA INSEGNATO ANCHE IL RISPETTO DELLE REGOLE) – OVVIAMENTE È ESPLOSO IL CAOS TRA GENITORI DIVISI, STUDENTI INVIPERITI E...

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Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”

 

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Signori, diciamocelo subito: la (sacrosanta) libertà di vestirci come ci pare, qui, c'entra solo a metà. Al bando i bacchettoni e guai alle imposizioni (siamo mica nella Kabul dei talebani che rinfilano il burqua alle donne): però serve anche un po' di senso del decoro. E, soprattutto, di rispetto del luogo.

 

Al liceo scientifico Banzi di Lecce la preside Antonella Manca l'ha messo nero su bianco: niente minigonne e scollature né bermuda, sono inammissibili quando si è chiamati alla lavagna. Si è aperta la (solita) polemica con genitori divisi, chat di classe frizzanti e studenti che l'han presa a maluccio.

 

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Ma-come-neanche-le-infradito? No, ragazzi: e non per una questione di autodeterminazione o quel che credete, ma per un fatto di sobrietà. Manca, tra l'altro, non ha nemmeno stilato un elenco modello diktat del dress-code: però ha dato delle "linee guida" che (come è giusto) non intaccano la sfera privata e ciò che succede fuori dall'aula.

 

«Si rammenta- ha dunque scritto in una circolare, - che la scuola è un ambiente educativo che merita un adeguato rispetto. Questo implica che ciascuno lo frequenti con un abbigliamento sobrio e decoroso, cioè consono».

 

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RISPETTO PER GLI ALTRI

Primo: la libertà (lo ripetiamo: sacrosanta) di metterci addosso quel che ci fa sentire meglio non significa licenza alla sciatteria o alla trascuratezza o noncuranza nei confronti degli altri. E secondo: una scuola questo fa, insegna.

 

Non solo l'italiano o l'algebra, ma anche che ci sono posti in cui conviene non presentarsi in ciabatte perché (con buona pace di quelli del io-faccio-come-mi-pare), semplicemente, non sta bene. Allora via «gli abiti che evocano tenute estive o anche balneari» (i top che mostrano l'ombelico sono perfetti in spiaggia, ma un filino meno durante l'interrogazione di inglese) e gli abiti che lasciano scoperto più del dovuto (si chiamano "da cocktail" e non "da verifica di geografia": un motivo ci sarà).

 

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È un tiremmolla antico, quello che ha investito il liceo Banzi. C'è addirittura chi (come il portale Skuola.net) ha condotto un'indagine secondo la quale uno studente su quattro, nel nostro Paese, non può indossare canottiere, pantaloni strappati, gonne sopra al ginocchio e pantaloncini una volta varcati i cancelli del plesso nel quale studia. E allora vale la pena fare un (piccolo) atto di onestà intellettuale: ché va bene tutto.

 

Va bene l'espressione della propria personalità che passa anche da quel che uno si ritrova nell'armadio; va bene la rivendicazione del diritto a non essere tutti uguali (ci mancherebbe); va bene il sentirsi comodi e non strizzarsi dentro a camicie ermetiche fino al mento quando fuori, magari, ci sono trenta gradi. Ma occorre pure un po' di misura. Un briciolo di buonsenso. Lo stesso che vale da entrambi le parti, sia chiaro.

 

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Perché è altrettanto fuori luogo il commento che un insegnante ha scritto, in questi giorni, sui social riferendosi a una vicenda avvenuta al liceo classico Pilo Albertelli di Roma dove una ragazza è stata ripresa per come era vestita.

 

CORRETTO EQUILIBRIO

 Lui, il prof finito sotto i riflettori, è di Genova. Cioè vive in un'altra città, lavora in un'altra scuola. Ma si è imbattuto in quella discussione, lanciata da qualche collega, e non ha saputo tenersi a freno.

 

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«'Sta zoccoletta avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa», ha scritto. Ecco, non si fa nemmeno questo. E per la stessa ragione per cui non si va a scuola abbigliati come in discoteca: perché non sta bene (e, nello specifico, pure perché l'insulto non è la via migliore verso la ragionevolezza). Anche questa è educazione. «Nell'ovvia considerazione che i concetti di decoro e sobrietà sono suscettibili di inevitabile varietà interpretativa- conclude la preside leccese, - e senza voler limitare la libertà individuale». Sta tutto qui. È il corretto equilibrio.

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