"AVREMO ALTRE PANDEMIE, BISOGNA PREPARARSI" - L'EPIDEMIOLOGO SETH BERKLEY: "LE MUTAZIONI SONO UN RISCHIO GLOBALE. SERVONO PIÙ FONDI PER LE DOSI O NON NE USCIAMO - SERVE INVESTIRE IN RICERCA E IMPIANTI. LA CESSIONE DEI BREVETTI NON PORTA PIÙ DOSI, PERCHÉ LA PRODUZIONE DI VACCINI NECESSITA DI PROCESSI MOLTO COMPLESSI. LA VIA MIGLIORE È IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA, CON CUI LE CASE FARMACEUTICHE (I CUI FARMACI SONO STATI SPESSO SVILUPPATI GRAZIE A FONDI PUBBLICI) - CONDIVIDONO IL LORO SAPER FARE"
-Francesco Rigatelli per "la Stampa"
«L'India è l'esempio di cosa può succedere se si lascia correre il virus nei Paesi in via di sviluppo». L'epidemiologo americano Seth Berkley, alla guida della Global alliance for vaccines and immunization (Gavi), fa il punto sulla situazione indiana e internazionale.
Cosa sta succedendo in India?
«Quel grande Paese vive una crisi sanitaria in peggioramento e questo, come successo in casi simili, può provocare un aumento delle varianti e una complicazione della pandemia anche altrove. Ora il governo indiano ha aperto alla vaccinazione di tutta la popolazione sopra ai 19 anni ed è uno dei motivi per cui dall'India, tra i grandi produttori mondiali di vaccini, arriveranno meno dosi per altri Paesi in difficoltà. Proprio per superare crisi simili esiste Gavi, che è in contatto con organizzazioni internazionali, governi, fondazioni e aziende».
Varianti come quella indiana, brasiliana o altre a venire quanto complicheranno la vaccinazione?
«La risposta globale al Covid è già stata ostacolata dall'emergere di nuove mutazioni, che si dimostrano più facili da trasmettere e maggiormente resistenti ad alcuni vaccini e terapie. Il loro insorgere sottolinea l'importanza di continui investimenti in ricerca e nello sviluppo di vaccini sempre più efficaci».
Su cosa state focalizzando la vostra attività?
«Siamo impegnati con molte organizzazioni del livello dell'Oms, dell'Unicef e della Banca mondiale, nel programma Covax per assicurare un accesso equo ai vaccini. Si tratta dell'unica iniziativa globale che mette insieme governi e case farmaceutiche per garantire che ci siano dosi sufficienti per i Paesi a basso reddito. Si chiude ora il primo round che porterà 40 milioni di dosi a 118 nazioni da parte di altre 142, ma c'è da fare molto di più per uscire dalla fase acuta della pandemia».
Quanto avete investito e quanto servirà?
«L'obiettivo è garantire a ogni Paese di proteggere i sanitari, i lavoratori in prima fila e i soggetti fragili. Questo richiederà almeno 1.3 miliardi di dosi per 92 Paesi bisognosi, per cui abbiamo raccolto 6.7 miliardi di dollari, ma servirà molto di più».
Oltre all'India, quali sono i Paesi più in difficoltà?
«La verità è che senza Covax tutti i Paesi a basso reddito non avrebbero accesso ai vaccini. Questo è il motivo per cui è importante evitare che si ripeta la pandemia H1N1 del 2009, quando alcune nazioni ricche bloccarono quasi tutta la fornitura globale. Ora con l'aiuto di tanti donatori, compresa l'Italia, abbiamo consegnato ai Paesi in via di sviluppo 20 volte i vaccini di allora e 2,5 volte più in fretta».
Quali vaccini distribuite?
«I nostri accordi riguardano 720 milioni di dosi di AstraZeneca, 500 di Johnson&Johnson, 40 di Pfizer, 200 di Sanofi e 1 miliardo di Novavax».
L'Italia cosa può fare di più?
«L'Italia supporta Covax fin dall'inizio, anche a livello europeo, e a maggio ospiterà a Roma il Summit mondiale sulla salute del G7, dove si discuterà dell'equo accesso ai vaccini».
Qual è la sua posizione sui brevetti?
«La cessione della proprietà intellettuale non porta più dosi, perché la produzione di vaccini necessita di processi molto complessi. La via migliore per una fornitura più ampia ed equa è il trasferimento di tecnologia, con cui le case farmaceutiche - i cui farmaci sono stati spesso sviluppati grazie a fondi pubblici - investono in nuove capacità di produzione e condividono il loro saper fare».
Come epidemiologo che futuro immagina?
«Avremo altre pandemie e per questo serve investire per tempo in ricerca e impianti di produzione. Ora dobbiamo limitare contagi e varianti con i vaccini, senza dimenticare mascherine, distanze, test e terapie. Potremmo farcela nel 2022, ma c'è ancora tanto lavoro da fare».