LA SITUAZIONE E’ SIRIA! IL FOTOREPORTER GABRIELE MICALIZZI COLPITO DALL’ISIS: “AVREBBE PERSO UN OCCHIO MA NON E’ IN PERICOLO DI VITA”, LO RIFERISCONO FONTI IN CONTATTO CON I FAMILIARI – IL SOCCORSO DEGLI AMERICANI - IN UN VIDEO DIFFUSO DALLO STATO ISLAMICO IL RAZZO CHE POTREBBE AVER COLPITO MICALIZZI – VIDEO

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Francesco Battistini per corriere.it

 

gabriele micalizzi gabriele micalizzi

«Ueh, zio. Tutto bene? Qui un casino, domani andiamo al fronte». Il tono scanzonato, al solito, qualche ora prima d’infilarsi nel casino peggiore che gli potesse capitare. Sabato scorso, l’ultimo WhatsApp diceva tutto: della concentrazione, della tensione, della preoccupazione. E ieri mattina presto, perché i fotoreporter sono già lì quando le cose stanno per succedere, Gabriele Micalizzi si stava muovendo sulla primissima linea di Baghuz Tahtany, Sud-Est siriano, sei chilometri quadrati di villaggio nell’area di Deir el-Zor, fra le case basse e devastate dalla furia dell’estrema ridotta Isis.

 

In tre giorni, gli ultimi seicento irriducibili dello Stato islamico sono arretrati sotto gli Agm-114 tirati dai droni americani e francesi, assediati da curdi e forze di Assad. Centinaia di sfollati, scudi umani, gli orrori infiniti. Qui, dopo cinque anni, i fedelissimi di Al Baghdadi stanno per ammainare la bandiera nera e prima o poi si faranno esplodere, pur di non sventolare quella bianca. Afghani, pakistani, iracheni, ceceni. Europei, anche. Qui, Gabriele voleva esserci. A fotografare l’agonia di terroristi che non hanno più nulla da perdere, e sono disposti a tutto. La granata montata sull’ Rpg è arrivata con un sibilo, sulla palazzina dove Gabriele era appena salito: l’elmetto e il giubbotto antiproiettile gli hanno salvato la vita, ma non la faccia investita dalle schegge. Secondo il Rojava Information Center, «il giornalista italiano ha perso un occhio», ma per ora non ci sono conferme ufficiali.

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A soccorrere Micalizzi, è stato un collega brasiliano della Cnn, Gabriel Chaim, colpito solo di striscio a un orecchio. Le ferite agli occhi sono sembrate subito serie e il fotografo italiano, 34 anni, è stato portato all’ospedale americano di Omar Field, nella zona dei pozzi petroliferi, due ore di macchina. Di qui, un elicottero l’ha trasportato nel Kurdistan iracheno, a Suleimanye, assieme al comandante curdo Heval Baghuz preso in pieno dalla granata. L’idea era di portare Gabriele a Bagdad, in attesa d’un aereo che lo potesse riportare a Roma. Al momento, però, la presenza di frammenti d’ordigno da asportare consiglierebbe di non muoverlo.

 

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«In Siria siamo arrivati insieme dieci giorni fa — racconta l’inviato del Giornale, Fausto Biloslavo — e anch’io ho lavorato in quella zona fino a domenica sera. Si partiva dalle retrovie, s’andava lì e si rientrava a dormire in posti meno pericolosi. Gabriele aveva deciso di rimanere almeno un’altra settimana. Mi ha detto: voglio vedere la caduta dell’ultimo fazzoletto del Califfato».

 

Non stupisce: dalla Siria alla Libia, dal Donbass a Gaza, Micalizzi è uno dei più brillanti fotografi di guerra italiani. Coraggio e visione. Altre ferite sul corpo. Uno che non molla mai. Che trovi dove pochi osano andare. Allievo di Alex Majoli, elogiato da David La Chapelle e Oliviero Toscani, conosciuto dal pubblico tv quando vinse la prima edizione del Master of Photography di Sky, Gabriele è il clic che ha ritmato premiati reportage dal fronte, ma pure portfolio di società italiana, set di moda, ritratti finiti su Newsweek e sul New Yorker, messi in prima pagina dal New York Times, dal Wall Street Journal, dal Corriere della Sera. «Per fotografare le cose più brutte del mondo — dice spesso —, ho imparato a essere testimone passivo e a non sovrappormi mai».

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Una volta ci trovammo in Cirenaica nel bunker di Khalifa Hafar, per intervistare l’allora misterioso generale libico che, come tutti i militari, pretendeva solo inquadrature marziali e ufficiali. Gabriele sbuffava. Di colpo, mentre bombardavano, ci fu un blackout. Ed ecco il lampo di talento: nel buio, sorprese un Haftar meno sicuro di sè, irritato dall’imprevisto. Sparandogli in faccia il flash. E catturando l’espressione più vera - pubblicata in tutto il mondo - dell’uomo che sogna d’essere il nuovo Gheddafi.

 

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Com’è sempre in questi casi, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per attentato con finalità di terrorismo. Il pm, Sergio Colaiocco, ha affidato l’indagine ai Ros. Di rado, queste inchieste portano a qualcosa. Ma qualche volta, sì. Nel 2014 in Ucraina fu ucciso Andy Rocchelli, fotoreporter del collettivo piacentino Cesura Lab di Pianello Val Tidone, dove Micalizzi lavora e vive assieme a Ester e alle loro due bambine. «Andy era un amico vero», spiegò Gabriele. E da amico vero si mise a indagare, lui, su chi aveva tirato quel colpo di mortaio. Lo trovò. Lo aspettò. E alla fine lo fece arrestare dai Ros.

 

 

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